Corsi e ricorsi storici:
il ParkSì come la beffa
dei quadri del 1933?

MACERATA SOMMERSA - La vicenda dei falsi che avevano suscitato l'attenzione da parte del podestà Cesare Benignetti, il "salvataggio" ad opera dei funzionari Giovanni Spadoni e Amedeo Ricci e il parallello con la riscossione del parcheggio dalla Saba nei piani dell'attuale amministrazione comunale
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silvano iommi

L’architetto Silvano Iommi

 

 

Dalle fonti d’acqua alle fonti storiche. Pur rimanendo nel campo della “Macerata sommersa” l’architetto Silvano Iommi sposta la lente dall’acqua ai documenti amministrativi per raccontare la storia dimenticata della città. A colpire l’attenzione di Iommi è la storia della truffa ai danni del Comune tentata nel dicembre del 1933. La vicenda riguardava l’acquisto di un lotto di 286 quadri, tra antichi e moderni, comprendente capolavori di Tintoretto, Tiziano, Botticelli e Renoir, solo per dirne alcuni. Dei falsi scoperti solo all’ultimo momento da Amedeo Ricci e Giovanni Spadoni. Una “beffa” malriuscita che secondo Iommi ricorderebbe in alcuni aspetti l’attuale operazione ParkSì. 

delibera beffa dei quadri

Le delibera adottata d’urgenza dal podestà Cesare Benignetti per la nomina della commissione

di Silvano Iommi

Il controverso dibattito sull’acquisto del ParkSì dalla multinazionale spagnola Saba chissà perché, mi ha fatto ricordare la vicenda della famosa “Beffa” tentata ai danni del Comune nel dicembre del 1933 e mirabilmente raccontata da Goffredo Binni nel suo saggio “Un sessantennio di vita artistica maceratese” (“La città sul palcoscenico” I volume, edizioni Il Labirinto 1991). Forse il collegamento tra le due vicende, così lontane nel tempo e nello spazio, nasce dal fatto che in ambedue i casi l’acquisto è stato presentato come una sorta di donazione privata (salvo un “modesto” rimborso), considerata vantaggiosissima per le future e progressive sorti della città.

In ogni caso, la storia raccontata e documentata da Binni merita di essere ricordata. Con delibera di giunta numero 746 del 2 dicembre 1933 il podestà Cesare Benignetti nomina con urgenza una commissione di tre esperti a livello nazionale per stimare il valore economico e artistico di una grande collezione d’arte privata, offerta in “donazione” al Comune da un corregionale residente a Roma, salvo un modesto rimborso spese di 1.200.000 lire. La collezione raccolta in lunghissimi anni di ricerca dall’anconetano F.M. consisteva in 80 quadri antichi e 206 moderni tra i quali figuravano opere del Tintoretto, Tiziano, Tiepolo, Antonello da Messina, Maratta, Longhi, Luca Signorelli, Botticelli, Renoir, Wan Dick, Rosa, Rousseau, Morelli, Mancini, Michetti, e via dicendo.

giovanni spadoni

Giovanni Spadoni

“L’occasione appare ghiotta per arricchire il patrimonio della pinacoteca Comunale che potrebbe richiamare a Macerata da tutta Italia e dall’estero molti amatori d’arte”, si legge nelle valutazioni dell’epoca. Naturalmente tutto viene fatto di gran corsa e appena due giorni dopo lo stesso Benignetti ringrazia con apposita lettera i tre consulenti nazionali per aver accettato l’incarico. I commissari incaricati sono Biagio Biagetti direttore della pinacoteca Vaticana (impegnato alcuni anni prima nell’esecuzione di dipinti presso la basilica della Misericordia a Macerata), Giuseppe Gonnella libero docente, Ugo Flores direttore della Galleria d’arte moderna. Oltre a questi tre luminari vengono nominati in rappresentanza del Comune Giovanni Spadoni, direttore della pinacoteca comunale e Amedeo Ricci, ispettore locale della sovrintendenza ai Monumenti, con l’incarico di seguire tutti i lavori della commissione.

Secondo Binni i due personaggi locali furono scelti più che per la loro specifica competenza nel riconoscere l’autenticità delle opere d’arte, per la loro “saggezza” e “prudenza” di uomini probi al servizio della funzione pubblica. Tuttavia, già il 7 dicembre la commissione aveva completato l’esame dei 286 quadri e steso larelazione finale che definiva la collezione di “straordinario valore” (“superiore, di gran lunga, alla somma indicata nell’atto di donazione”). Di fronte a tanta scienza i due modesti appassionati d’arte locali rimasero interdetti e non poterono che ratificare con l’eloquente frase “Vista la relazione approvano”.

amedeo ricci

Amedeo Ricci padre dell’artista Nino

Ma il Ricci e lo Spadoni non erano certo degli sprovveduti e si comportarono da buoni funzionari. Capirono in base ad alcune informazioni raccolte che qualcosa non andava. Ricci scrisse al podestà, esponendo dubbi sull’autenticità delle opere chiedendo la sospensione della delibera. La collezione infatti era già stata offerta ad Ancona e, fatte le dovute analisi, i quadri erano risultati dei falsi. Molto probabilmente il corpulento e infuriato Benignetti, ricordando di essere stato tenente colonnello dell’esercito e “sbattendo con forza il suo arto artificiale” inviò a Ricci l’ordine telegrafico: “Avvocato Somma (Segretario Comunale) giungerà stasera mezzanotte Roma, Hotel Moderno, munito mie istruzioni et anche per conferire sua eccellenza il prefetto, costì presente. Stop. Saluti podestà Benignetti”. Da quel momento della faccenda non si parlò più. A distanza di oltre settant’anni la “donazione-transazione” del ParkSi comporterebbe un rimborso spese di €. 1,6 milioni e, anche per mancanza di funzionari di quella razza, è possibile che dalla “beffa” si passi alla “stangata”.

 

 



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