di Giancarlo Liuti
Mentre stai sognando qualcosa di bello, magari di partecipare da atleta alle Olimpiadi brasiliane, è un pessimo richiamo alla realtà venire scaraventato giù dal letto da uno scossone che quasi ti butta sul pavimento. Questo è capitato a me e a milioni di persone dell’ Italia centrale quando alle ore 3,36 di mercoledì scorso due faglie rocciose si sono scontrate nel ventre appenninico dell’incrocio fra il Lazio, le Marche e l’Umbria provocando un terremoto del sesto grado Richter. A quale profondità? Appena 4-5 chilometri, sicché gli effetti più devastanti del sisma si sono avuti in una zona relativamente poco ampia, quella comprendente i Comuni di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto con le loro frazioni. Se l’impeto del sesto grado fosse giunto da una maggiore profondità, le devastazioni si sarebbero propagate in un’area molto più vasta e in ogni direzione, Macerata compresa. E’ stata questa la nostra “fortuna”. Ma non di quei paesi. I cui abitanti hanno avuto l’ulteriore “sfortuna” di non essere stati messi in guardia da precedenti scosse di minore intensità che li avrebbero indotti a uscire di casa e passare la notte all’aperto o in macchina. No. Per loro è stato tutto improvviso, nel sonno. L’ultimo bilancio, non ancora definitivo, è tremendo: 291 morti, 388 feriti estratti dalle macerie, decine di dispersi, migliaia di case rase al suolo o irrimediabilmente lesionate. Per loro – teniamone conto ai fini di ciò che dovremo fare sul piano della solidarietà concreta, anche economica – è stata la fine del mondo.
Gli effetti del terremoto ad Amatrice
In linea d’aria l’epicentro del sisma – grosso modo Amatrice – dista pochi chilometri dai nostri Sibillini e gli effetti, via via meno gravi procedendo verso nord, ci sono stati, senza vittime ma con danni anche severi, nel Vissano, nel Sarnanese, nel Ginesino, nel Cingolano e, man mano, fino a Macerata, dove la scossa delle ore 3,36 ha provocato l’inabitabilità di decine e decine di case con centinaia di persone chissà per quanto tempo ancora sotto le tende o in strutture di ricovero, tanto da indurre il presidente della nostra provincia a chiedere lo stato di emergenza. Grazie alla superficialità del sisma, dunque, il destino ci è stato generoso. Ma fino a un certo punto, perché, ad eccezione della fascia costiera, l’intero Maceratese oggi si trova in difficoltà. Vero è che secondo un dovere umano e morale dovremmo pensare a chi sta peggio di noi. Ma pensare anche a noi stessi, che bene non stiamo, non è affatto un peccato. Se in quelle maledette ore 3,36 di mercoledì si fosse trattato soltanto di uno scuotimento di letti sarebbe assurdo lamentarsene troppo. Ma c’è stato molto di più. E se ce ne lamentiamo non siamo egoisti.
«Il paese non c’è più». Le prime parole del sindaco di Amatrice, pochi minuti dopo il terremoto di magnitudo 6.0 delle 3,36
Ma veniamo all’Italia in generale. Tempo fa, riflettendo sull’incredibile disfacimento della nostra coscienza nazionale, mi chiesi se magari per caso potesse verificarsi una sola occasione capace di unirci, noi italiani, in un impeto di amor di patria come si diceva una volta e adesso non si dice più. E pensavo proprio all’eventualità di un catastrofico nubifragio o di un grosso terremoto. Quest’occasione, adesso, c’è stata. E ad Amatrice e dintorni, preceduti dalle mani nude di quella gente di montagna, i soccorsi delle pubbliche istituzioni provinciali, regionali e statali sono stati adeguati alle necessità e soprattutto tempestivi, fino a suscitare gratitudine fra gli abitanti dei luoghi colpiti. Sembrerà paradossale, ma è stato detto “mai così bene come stavolta”. Qualcosa ha dunque funzionato in un’Italia dove per un verso o per l’altro pare che nulla funzioni? Si fa fatica a dirlo, intendiamoci, riflettendo sulla sostanziale irreparabilità della sciagura. Siamo precipitati nel ventre del male assoluto, vero, ma poteva andar peggio. E lo si deve ammettere. Cosa che ha fatto perfino un organo di stampa antigovernativo come il “Giornale”, che a tutta pagina ha sorprendentemente titolato “Forza Renzi!”. Ma ancora una volta quel’’unione fra tutti è mancata. Non c’è stata né in un altro quotidiano di destra come “Libero”, secondo il quale la stabilità che preoccupa Renzi è solo quella del palazzo del Governo, né in un giornale “paragrillino” come “Il fatto quotidiano” che se l’è presa con l’ipocrisia delle “lacrime di coccodrillo” versate in quest’occasione. Questo per dire che, gira gira, pure i terremoti vanno a finire in politica. Inevitabile? Speravamo di no. E invece lo è. E peggio sarà nei prossimi giorni.
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Nemmeno le catastrofi nazionali riescono a far riflettere sulla inderogabile necessità di smetterla con un certo tipo di interventi verbali o scritti, contenenti insulti, banali ragionamenti e quanto altro, pur di dimostrare non tanto una contrapposizione politica, quanto un deteriore odio per lo avversario con un differente pensiero.
E’ vero che per un po’, ci si è assorti sul dolore per la perdita di tante persone, vittime della norte sotto le macerie delle loro case. E’ vero che abbiamo assistito a prove di grande altruismo e di preparazione nell’affrontare la catastrofe del terremoto.
Forse questo è il volto dell’Italia vera, dell’Italia bella a cominciare dalla lettera scritta dal Vigile del Fuoco indirizzata alla sorella della bimba estratta viva, lettera con la quale si scusava per essere arrivato tardi nel tentativo di salvare anche lei.
So bene che l’eco di tante voci belle si spegnerà. Fatalmente dovremo tornare ad assistere ad una ridda scomposta, incivile, indegna di un popolo che vanta tradizioni di grande civiltà.
Insieme a te,Giancarlo, io vorrei sperare che ciò non avvenga, ma, purtroppo, come te, so che verrà peggio.
Quello che mi disturba di più, poi, è il fatto che questi oppositori sono una minoranza che si agita e che, quindi, fa chiasso. La maggioranza silente lavora; non è sui giornali o sulle piazze, ma dà il meglio di sè con il suo impegno quotidiano.
Questa è l’Italia bella in cui ho fiducia.
L’altra sera il sindaco dell’Aquila, in tv, mostrava una via centrale della città. A sinistra i palazzi appartenenti al privato, già ricostruiti, a destra i palazzi pubblici tra cui il Palazzo del Governo a cui era caduta l’iscrizione e che è stata rimessa a posto. Solo la scritta però, il resto sta esattamente come tutto il resto della via così, come lasciato dal terremoto. Le famose palazzine con lo spumante in frigorifero, sono già fatiscenti e puntellate per non far cadere i terrazzi. Liuti, questa è politica o qualcos’altro?
Per Ginobili. “Gli oppositori sono una minoranza che si agita e che, quindi, fa chiasso” ? Bèh, è un’affermazione non vera, infatti ci sono anche oppositori che hanno ragione. Questa sua affermazione getta un’ombra sul resto del suo commento (lei commenta e quindi non è ‘silente’ e ciò è bene), in gran parte apprezzabile.
Se si guardasse allo specchio (cioè da fuori) si accorgerebbe che lei, pur governativo, non è poi tanto diverso dagli oppositori.
Il terremoto fa meno danni se parte più in profondità….ci è stato detto sempre così …..ora non credo sia importante fare lo spot a Renzi….!!!!,
Caro Liuti, contrariamente a quanto lei afferma non e’ affatto vero che se il terremoto avesse avuto un’origine piu’ profonda Il Maceretese sarebbe stato devastato. Anzi, e’ vero il contrario: piu’ l’origine del terremoto e’ profonda piu’ piccoli sono gli effetti che si producono in superficie. Questo perche’ l’energia del terremoto ha la possibilita’ di distribuirsi su un’area di proporzioni maggiori. Quindi per la stessa area, a parita’ di energia, un terremoto con origine a 40 Km di profondita’ produce meno danni rispetto ad un terremoto con origine a 4 Km di profondita’. Le faccio questo commento perche’ chi scrive sui giornali, e piu’ in generale chiunque si rivolga al grande pubblico, deve avere la consapevolezza delle proprie parole. Questo, per evitare il diffondersi di leggende metropolitane e di concetti pseudo-scientifici che hanno l’effetto negativo di distorcere la percezione della realta’ contribuendo ad allontanare la gente comune dalla Scienza. Inoltre, contrariamente a quanto si pensa, i terremoti non sono assassini, cosi come non sono assassini gli altri fenomeni naturali. Casomai, nell’ambito dei disastri naturali, sono assassine le politiche scellerate della non prevenzione ed i comportamenti di chi doveva controllare il rispetto della normativa vigente e non lo ha fatto per incapacita’ o peggio.
Per il Sig Iacoboni.
Voglio chiarire il mio pensiero. Come il dott. Liuti anche io temo che, passato il tempo della meditazione sui tragici fatti prodotti dal terremoto, quando si tratterà di passare alla fase di progettazione del lavoro da fare, come solitamente avviene, ci saranno molti progetti provenienti da molte parti. Quando si tratterà poi di sceglierne uno, sicuramente, verrà fuori la gazzarra degli esclusi.
A me non piace questo tipo di gazzarra che niente ha a che vedere con il principio che una maggioranza, dopo essersi confrontata con la minoranza, ha il diritto di legiferare.
Mille esempi confortano il mio pensiero.
Non sono un governativo, ma un amante dell’ordine e della disciplina.
Su questa mia caratteristica, spero che nessuno abbia da ridire.
L’abusivismo e il disprezzo delle norme hanno ingigantito gli effetti del sisma.
di Antonio Cederna, «Corriere della sera», 25 novembre 1980
Che fossero zone sismiche lo si sapeva da un pezzo, anche in seguito agli studi condotti dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: ma da noi la ricerca pura tale rimane, e non viene di regola mai applicata, ovvero, come dicono, “trasferita” alla realtà del Paese. Il problema immediato sarà quello di vedere se sono stati presi in considerazione i sintomi premonitori, se sono state prese le precauzioni necessarie: e di vedere se, nell’edificazione selvaggia degli ultimi decenni sono state osservate le norme antisismiche dettate dalle leggi. Non c’è da farci troppo conto, anche perché si sa qual è la situazione edilizia e urbanistica italiana, e nel Mezzogiorno in particolare, lo scarso rispetto per leggi e regolamenti, la renitenza dei Comuni a dotarsi di ragionevoli piani regolatori, l’abusivismo dilagante.
Da indagini recenti risulta che su duemila e passa Comuni, solo 159 hanno un piano regolatore e che oltre il 40 per cento di quanto si costruisce è abusivo.
In queste condizioni si può dire solo una cosa: e cioè che il rifiuto ormai trentennale di ogni seria pianificazione del territorio ha portato allo sfacelo del medesimo, e che questo sfacelo ha reso, rende e renderà sempre più catastrofiche le conseguenze dei terremoti e delle altre calamità.
E infatti cosa può fare un Paese come il nostro per contenere gli effetti di terremoti e alluvioni e risanare fisicamente il territorio, se per la ricerca a fini ambientali si spende lo 0,5 per cento del prodotto lordo nazionale, se per la difesa del suolo spendiamo mille volte meno di quello che si spende negli Stati Uniti se per condurre a termine la carta geologica in scala uno a cinquantamila occorreranno seicento anni, se i geologi di Stato a tempo pieno sono solo sette, uno ogni otto milioni di abitanti, mentre nel Ghana ce n’è uno ogni 70.000 e in Turchia ce ne sono in tutto 1.800? Se l’unica legge che prescrive l’impiego del geologo è quella sull’ampliamento dei cimiteri, e se le stesse leggi per le zone sismiche prevedono l’impiego non di geologi ma di misteriose «persone di riconosciuta competenza in materia»?
Succede coi terremoti quello che succede con le alluvioni, grazie al cronico rifiuto di ogni programmazione e intervento preventivi. Morte e distruzione, nella loro tremenda entità, si devono alle case costruite sui pendii friabili, alle industrie costruite nelle golene dei fiumi, agli alberghi costruiti sul tracciato di antiche valanghe, a strade costruite sopra terreni di riporto, alle bonifiche insensate di zone umide, che sono lo sfogo naturale dei corsi d’acqua, al prelievo rapinoso di materiali dai fiumi, con sconvolgimento del loro alveo, della loro portata e conseguente erosione delle coste.
Il terremoto è dunque un aspetto di quell’autentico sisma permanente che è il saccheggio generalizzato del territorio e delle sue risorse; e l’espressione di circostanza sulla faccia dei ministri e sottosegretari che visitano le zone disastrate nasconde un’antica colpa: quella di non aver mai portato in porto i provvedimenti indispensabili a ridare un minimo di sicurezza fisica al Paese.
Dov’è finita la legge per la difesa del suolo (il cui dissesto ci costa circa duemila miliardi l’anno)? E la legge per regolare la rapina dei corsi d’acqua, quella per i parchi e le altre zone naturali da proteggere, quella contro l’abusivismo, quella per i beni culturali, e quella, tutta da rifare, contro l’inquinamento atmosferico? (A proposito della quale c’è da osservare che le scosse di terremoto a Roma di due anni fa avrebbero fatto meno danni ai monumenti antichi se questi non fossero già stati corrosi dall’inquinamento dell’aria).
Il disprezzo per il territorio, per il suolo, per l’ambiente naturale è un vizio che risale molto indietro nella nostra cultura, oltre che essere una precisa responsabilità politica: purtroppo ci vogliono le catastrofi perché ci se ne renda conto appieno, salvo poi dimenticarsene in seguito
In alcuni quotidiani di oggi, in particolare ‘Il Messaggero’, si parla della valutazione del rischio sismico degli otto ospedali delle Marche. Anche CM, per dovere di cronaca, se ne dovrebbe occupare.