Il male che è dentro di noi

Riflessioni sull’omicidio di Porto Potenza e sulle responsabilità dei genitori. I figli sono i primi a soffrire del nostro egoismo e della nostra irresponsabilità

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bommarito di Giuseppe Bommarito *

Si è concluso nei giorni scorsi, per tre dei responsabili di così tanta barbarie, il processo con rito abbreviato per l’omicidio della sventurata Andreea Christina Marin, la giovane donna romena appena ventiquattrenne anni uccisa senza pietà,a colpi di sprangate sulla testa,a fine gennaio dello scorso anno sulla spiaggia di Porto Potenza Picena. (leggi l’articolo)

Andreea Cristina Marin

Andreea Cristina Marin

Il Giudice dell’udienza preliminare, considerando i benefici del rito abbreviato scelto dagli imputati, ha condannato al massimo della pena, cioè a trenta anni di reclusione, due degli esecutori, Sebastian Capparucci e Silvio Giarmanò, ragazzi solo con qualche anno di più di Andreea Christina, ed il loro mandante, il quasi sessantenne Sandro Carelli. Per loro, senza il rito abbreviato, la condanna sarebbe stata quella dell’ergastolo, fine pena: mai.

Per il figlio di Sandro Carelli, Valentino, anche lui spedito dal suo stesso padre a farsi strumento di morte – atrocità nell’atrocità, non meno grave del fatto di aver ordinato un omicidio –il processo, partitoinvece con il rito ordinario, è ancora in corso e si sta dipanando tra perizie e consulenze circa la sua effettiva capacità di intendere e di volere, ma per il momento nulla lascia prevedere un esito diverso dalla pesante sentenza già emessa a carico dei coimputati (il processo).

L'omicidio di Porto Potenza Picena

L’omicidio di Porto Potenza Picena

Insomma, alla fine è stato terrificante il bilancio della folle spedizione di morte organizzata da Carelli padre per futili motivi di carattere economico e di mal riposta e assurda gelosia: la finetragica e prematura di una ragazza ancora nell’alba della sua vita, con tanti sogni spezzati e innumerevoli speranze che non troveranno mai alcuna realizzazione; decenni di duro carcere non solo per lui, ma pure per tre coetanei della vittima, anch’essi con la vita ormai irrimediabilmente segnata; il lutto e la disperazione senza fine dei genitori e della sorella di Andreea Christina, nei quali rimarrà sempre il rimpianto per quello che è stato e non è più, e per quello che poteva essere e non sarà mai; il dolore anche dei familiari dei tre giovani assassini, divenuti carnefici per riscuotere il premio di poco più di mille euro promesso a ciascuno di loro da colui che in un mio precedente articolo, scritto nell’immediatezza dei fatti, ebbi sprezzantemente a qualificare – sia per il brutale omicidio commissionato che per l’arruolamento tra i sicari anche del proprio figlio – come un avanzo di umanità, quasi come un simbolo dell’onda violenta e apparentemente inarrestabile del Male che spadroneggia nel mondo odierno.

 Sandro Carelli,

Sandro Carelli,

Ora, però, a distanza di tempo e a condanna di primo grado avvenuta, a prevalere nelle mie considerazioni su Sandro Carelli non sono più lo sdegno ed il ribrezzo per l’atto efferato da lui deciso ai danni di una giovane e indifesa ragazza e da lui commissionato ad altri giovani, tra i quali pure suo figlio. Intendiamoci, rimane tutto l’orrore per l’ingiustificabile condotta di quest’uomo, rivolta in definitiva non solo contro persone estranee, ma anche contro il suo stesso sangue. Così come, quanto ai giovani esecutori materiali del delitto, va ribadito con forza che niente e nessuno potrà sminuire la gravità della loro personale responsabilità, maturata allorchè nella notte si sono armati e sono partiti come belve sanguinarie alla caccia della preda, poi raggiunta e massacrata; e ciò rimane,nonostante la prevalente responsabilità di chi ha voluto, di chi ha commissionato tanta barbarie, e nonostante un comune problematico passato che li contraddistingueva e un presente privo di sensoche era già una sconfitta per tuttiloro.

Oggi, però, verso quest’uomo che si è fatto dispensatore di morte sento di nutrire anche molta pietà, insieme alla speranza che tanti anni di carcere possano essere per lui, ormai inchiodato alla croce che più o meno consapevolmente si è scelto, l’occasione per riflettere sulla sua resa alla sfera del male e all’avversario che continuamente insidia l’uomo in un combattimento senza tregua e senza esclusione di colpi.E per trovaredentro di sé, prima o poi, i sentimenti e le parole per chiedere perdono alle sue vittime (tra le quali anche i ragazzi mandati ad uccidere, carnefici e vittime al contempo), a se stesso e a Dio.

D’altra parte, lungi dall’erigerci a giudici severi ed inflessibili delle altrui malefatte, dovremmo un po’ tutti, pur facendo le debite distinzioni e le dovute proporzioni con i terribili casi della vita che arrivano nelle cronache dei giornali e dei telegiornali, rifletteresul male che noi stessi,seppure senza omicidi e trucidi scannamenti, poniamo in essere di giorno in giorno, spesso e volentieri anche noi ai danni proprio di coloro ai quali vogliamo più bene e che dovremmo proteggere più di ogni altra cosa al mondo: i nostri figli. In altri termini, questo è il mio invito: prendiamo spunto da questo caso limite, da questa storia terrificante, per fermarci un attimo a ragionare sul male che pure noi, nella nostra apparentemente insignificante sfera quotidiana, propiniamo a piene mani – certo, inconsapevolmente – a quell’unica manifestazione di minima immortalità che ci è consentita: i figli.

Non voglio qui parlare dei risultati nefasti dell’educazione che generalmente viene da qualche decennio impartita ai figli anche in ambienti familiari uniti e solidali, e del male che a loro ne viene, perchè sarebbe un tema di discussione troppo lungo. Sul punto mi limito ad una citazione di ElizabethKolbert, tratta dal bellissimo, recente, libro di Antonio Polito, titolato “Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli” (2012, Rizzoli Editore), che consiglio vivamente a tutti: “Con l’eccezione dei rampolli della dinastia Ming e di quelli dell’aristocrazia nella Francia prerivoluzionaria, i nostri figli sono i più viziati nella storia dell’umanità”.

Mi interessa invece qui ragionare brevemente,a proposito appunto del male che in maniera inconsapevole facciamo ai figli, sui tremendi effetti negativi che le rotture familiari, frutto delle nostre decisioni, arrecano ai ragazzi che si trovano ad essere coinvolti in tali lacerazioni. Spesso e volentieri infatti, pur facendo noi finta di non accorgercene, essi, del tutto incolpevoli, soffrono, e non poco, per le nostre scelte, oggi lievemente frenate solo dalla crisi economica in atto e comunque il più delle volte assunte – al di là delle giustificazioni di circostanza che volentieri ci concediamo – quasi esclusivamente per scarsa tolleranza,per trascuratezza, per ignoranza, per superficialità, per errori non giustificabili, per indifferenza, per malcelato egoismo, per sottovalutazione degli effetti sia a medio che a lungo termine.

D’altra parte, basta guardarsi in giro. Intorno a noi c’è un esercito (del quale anche io ho purtroppo fatto parte, e non me ne pentirò mai abbastanza) di padri alle prese con tumulti ormonali e in fuga dalle loro responsabilità; di madri che per qualche tempo reggono e poi anch’esse si buttano alla ricerca di alternative soddisfacenti, oppure cedono allo sconforto e non riescono a costituire almeno loro un valido puntello per i figli che già soffrono l’abbandono paterno; di genitori di ambo i sessi che sono quasi del tutto presi dalla loro individuale ricerca di rifarsi una vita e a questo obiettivo dedicano tempo ed energie, sottraendoli per tale motivo a chi ne avrebbe più necessità; di famiglie allargate che impongono forzate coabitazioni tra ragazzi ed adulti che non sono i loro genitori, quasi sempre causa di insoddisfazioni e di malessere sia per i figli abbandonati che per quelli per così dire acquisiti.

Il tutto all’insegna dell’imperante relativismo dei valori, in forza del quale sono solo io a decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, così reiterando all’infinito, senza neanche rendercene conto, il peccato originale dei nostri progenitori.

E c’è di conseguenza anche un esercito di ragazzi dolenti e traumatizzati che,all’improvviso o dopo anni di continue tensioni, si trovano a vivere pesanti cambiamenti, se non veri e propri scombussolamenti, nella loro vita familiare, di cui non capiscono le motivazioni e di cui spesso finiscono per colpevolizzarsi; di ragazzi che crescono senza una guida, senza un’autorità familiare in grado di fissare di volta in volta il giusto punto di equilibrio tra autonomia e rispetto dei limiti, nonchè tra diritti e doveri; di ragazzi che si sentono privi di amore e si rifugiano così nello sballo, nell’alcol, nella droga, e comunque trovano in tutti questi disastri familiari qualche motivo, vero o strumentalmente amplificato, per farlo.

Tutto formalmente legittimo, per carità, qui non ci sono crudeli assassini da perseguire, non si tratta di materia di competenza della magistratura se non per la pronunzia delle innumerevoli sentenze di separazione e di divorzio. Normale amministrazione – aggiungerà qualcuno – tutti effetti della crisi della famiglia che si evidenzia in maniera sempre più preoccupante davanti ai nostri occhi ormai da qualche decennio. Resta il fatto, però, che quando si prendono determinate decisioni, la stella polare sembra essere solo quella dell’individualismo più sfrenato, che ci porta a non vedere le macerie che rimangono dietro di noi e quelle che inevitabilmente si formeranno nel tempo a venire.

Senza bisogno di scomodare i precetti e gli insegnamenti della religione (peraltro ampiamente ignorati anche da chi si definisce cattolico), non c’è dubbio infatti che le separazioni, anche le più civili e ragionevoli, non sono mai a costo zero per i figli, le vere, incolpevoli, parti lese delle lacerazioni familiari. Esse pesano infatti, e molto, in termini di perdita di quotidianità (inevitabile, e per nulla affatto compensata dalla “qualità”, quasi sempre troppo generosamente autocertificata, degli incontri infrasettimanali e del fine settimana), di conoscenza approfondita e di autorevolezza dei genitori verso i figli, di sensi di colpa che schiacciano almeno quei genitori responsabili della rottura e portano ad eccedere nel buonismoe nel perdonismo per un malinteso senso di protezione e per assicurarsi, nonostante tutto, la complicità e l’affetto dei ragazzi. E così, ancor più che nelle famiglie anche solo apparentemente unite, si finisce per assecondareanche i capricci più stupidie assurdi dei ragazzi, per giustificare anche l’ingiustificabile, per inculcare in loro l’oppio della deresponsabilizzazionee dello smarrimento del senso del dovere, per crescerli nella più totale mancanza di resistenza all’impegno, alla fatica mentale e fisica indispensabile per raggiungere un qualsiasi risultato, in un eccesso di tutela iperprotettiva che porta solo a mettere l’accento sempre e solo sui diritti, e mai sui doveri.

Quando infine si è costretti a prendere atto degli inevitabili disastri, che a volte non possono essere ignorati anche volendolo, spesso e volentieri è troppo tardi per cambiare registro e cercare dei correttivi.

In definitiva, sia pure senza volerlo, si arriva a fare del male, e tanto, ai propri figli. La distruzione del principio di responsabilità e di autorità che dovrebbe caratterizzare i genitori, da noi stessi determinata con le nostre scelte e con i nostri comportamenti, finisce per spianare la strada verso il nulla (ed anche verso quel particolare nulla garantito dall’alcol e dalla droga) sempre più imboccata dalle giovani generazioni, ancora più preoccupante perché l’attuale gravissima crisi economica imporrebbe invece ai ragazzi un surplus di impegno e di lucidità. E di serenità.

* Avv. Giuseppe Bommarito (Presidente onlus “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”)

 

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