Si è concluso nei giorni scorsi, per tre dei responsabili di così tanta barbarie, il processo con rito abbreviato per l’omicidio della sventurata Andreea Christina Marin, la giovane donna romena appena ventiquattrenne anni uccisa senza pietà,a colpi di sprangate sulla testa,a fine gennaio dello scorso anno sulla spiaggia di Porto Potenza Picena. (leggi l’articolo)
Il Giudice dell’udienza preliminare, considerando i benefici del rito abbreviato scelto dagli imputati, ha condannato al massimo della pena, cioè a trenta anni di reclusione, due degli esecutori, Sebastian Capparucci e Silvio Giarmanò, ragazzi solo con qualche anno di più di Andreea Christina, ed il loro mandante, il quasi sessantenne Sandro Carelli. Per loro, senza il rito abbreviato, la condanna sarebbe stata quella dell’ergastolo, fine pena: mai.
Per il figlio di Sandro Carelli, Valentino, anche lui spedito dal suo stesso padre a farsi strumento di morte – atrocità nell’atrocità, non meno grave del fatto di aver ordinato un omicidio –il processo, partitoinvece con il rito ordinario, è ancora in corso e si sta dipanando tra perizie e consulenze circa la sua effettiva capacità di intendere e di volere, ma per il momento nulla lascia prevedere un esito diverso dalla pesante sentenza già emessa a carico dei coimputati (il processo).
Insomma, alla fine è stato terrificante il bilancio della folle spedizione di morte organizzata da Carelli padre per futili motivi di carattere economico e di mal riposta e assurda gelosia: la finetragica e prematura di una ragazza ancora nell’alba della sua vita, con tanti sogni spezzati e innumerevoli speranze che non troveranno mai alcuna realizzazione; decenni di duro carcere non solo per lui, ma pure per tre coetanei della vittima, anch’essi con la vita ormai irrimediabilmente segnata; il lutto e la disperazione senza fine dei genitori e della sorella di Andreea Christina, nei quali rimarrà sempre il rimpianto per quello che è stato e non è più, e per quello che poteva essere e non sarà mai; il dolore anche dei familiari dei tre giovani assassini, divenuti carnefici per riscuotere il premio di poco più di mille euro promesso a ciascuno di loro da colui che in un mio precedente articolo, scritto nell’immediatezza dei fatti, ebbi sprezzantemente a qualificare – sia per il brutale omicidio commissionato che per l’arruolamento tra i sicari anche del proprio figlio – come un avanzo di umanità, quasi come un simbolo dell’onda violenta e apparentemente inarrestabile del Male che spadroneggia nel mondo odierno.
Ora, però, a distanza di tempo e a condanna di primo grado avvenuta, a prevalere nelle mie considerazioni su Sandro Carelli non sono più lo sdegno ed il ribrezzo per l’atto efferato da lui deciso ai danni di una giovane e indifesa ragazza e da lui commissionato ad altri giovani, tra i quali pure suo figlio. Intendiamoci, rimane tutto l’orrore per l’ingiustificabile condotta di quest’uomo, rivolta in definitiva non solo contro persone estranee, ma anche contro il suo stesso sangue. Così come, quanto ai giovani esecutori materiali del delitto, va ribadito con forza che niente e nessuno potrà sminuire la gravità della loro personale responsabilità, maturata allorchè nella notte si sono armati e sono partiti come belve sanguinarie alla caccia della preda, poi raggiunta e massacrata; e ciò rimane,nonostante la prevalente responsabilità di chi ha voluto, di chi ha commissionato tanta barbarie, e nonostante un comune problematico passato che li contraddistingueva e un presente privo di sensoche era già una sconfitta per tuttiloro.
Oggi, però, verso quest’uomo che si è fatto dispensatore di morte sento di nutrire anche molta pietà, insieme alla speranza che tanti anni di carcere possano essere per lui, ormai inchiodato alla croce che più o meno consapevolmente si è scelto, l’occasione per riflettere sulla sua resa alla sfera del male e all’avversario che continuamente insidia l’uomo in un combattimento senza tregua e senza esclusione di colpi.E per trovaredentro di sé, prima o poi, i sentimenti e le parole per chiedere perdono alle sue vittime (tra le quali anche i ragazzi mandati ad uccidere, carnefici e vittime al contempo), a se stesso e a Dio.
D’altra parte, lungi dall’erigerci a giudici severi ed inflessibili delle altrui malefatte, dovremmo un po’ tutti, pur facendo le debite distinzioni e le dovute proporzioni con i terribili casi della vita che arrivano nelle cronache dei giornali e dei telegiornali, rifletteresul male che noi stessi,seppure senza omicidi e trucidi scannamenti, poniamo in essere di giorno in giorno, spesso e volentieri anche noi ai danni proprio di coloro ai quali vogliamo più bene e che dovremmo proteggere più di ogni altra cosa al mondo: i nostri figli. In altri termini, questo è il mio invito: prendiamo spunto da questo caso limite, da questa storia terrificante, per fermarci un attimo a ragionare sul male che pure noi, nella nostra apparentemente insignificante sfera quotidiana, propiniamo a piene mani – certo, inconsapevolmente – a quell’unica manifestazione di minima immortalità che ci è consentita: i figli.
Non voglio qui parlare dei risultati nefasti dell’educazione che generalmente viene da qualche decennio impartita ai figli anche in ambienti familiari uniti e solidali, e del male che a loro ne viene, perchè sarebbe un tema di discussione troppo lungo. Sul punto mi limito ad una citazione di ElizabethKolbert, tratta dal bellissimo, recente, libro di Antonio Polito, titolato “Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli” (2012, Rizzoli Editore), che consiglio vivamente a tutti: “Con l’eccezione dei rampolli della dinastia Ming e di quelli dell’aristocrazia nella Francia prerivoluzionaria, i nostri figli sono i più viziati nella storia dell’umanità”.
Mi interessa invece qui ragionare brevemente,a proposito appunto del male che in maniera inconsapevole facciamo ai figli, sui tremendi effetti negativi che le rotture familiari, frutto delle nostre decisioni, arrecano ai ragazzi che si trovano ad essere coinvolti in tali lacerazioni. Spesso e volentieri infatti, pur facendo noi finta di non accorgercene, essi, del tutto incolpevoli, soffrono, e non poco, per le nostre scelte, oggi lievemente frenate solo dalla crisi economica in atto e comunque il più delle volte assunte – al di là delle giustificazioni di circostanza che volentieri ci concediamo – quasi esclusivamente per scarsa tolleranza,per trascuratezza, per ignoranza, per superficialità, per errori non giustificabili, per indifferenza, per malcelato egoismo, per sottovalutazione degli effetti sia a medio che a lungo termine.
D’altra parte, basta guardarsi in giro. Intorno a noi c’è un esercito (del quale anche io ho purtroppo fatto parte, e non me ne pentirò mai abbastanza) di padri alle prese con tumulti ormonali e in fuga dalle loro responsabilità; di madri che per qualche tempo reggono e poi anch’esse si buttano alla ricerca di alternative soddisfacenti, oppure cedono allo sconforto e non riescono a costituire almeno loro un valido puntello per i figli che già soffrono l’abbandono paterno; di genitori di ambo i sessi che sono quasi del tutto presi dalla loro individuale ricerca di rifarsi una vita e a questo obiettivo dedicano tempo ed energie, sottraendoli per tale motivo a chi ne avrebbe più necessità; di famiglie allargate che impongono forzate coabitazioni tra ragazzi ed adulti che non sono i loro genitori, quasi sempre causa di insoddisfazioni e di malessere sia per i figli abbandonati che per quelli per così dire acquisiti.
Il tutto all’insegna dell’imperante relativismo dei valori, in forza del quale sono solo io a decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, così reiterando all’infinito, senza neanche rendercene conto, il peccato originale dei nostri progenitori.
E c’è di conseguenza anche un esercito di ragazzi dolenti e traumatizzati che,all’improvviso o dopo anni di continue tensioni, si trovano a vivere pesanti cambiamenti, se non veri e propri scombussolamenti, nella loro vita familiare, di cui non capiscono le motivazioni e di cui spesso finiscono per colpevolizzarsi; di ragazzi che crescono senza una guida, senza un’autorità familiare in grado di fissare di volta in volta il giusto punto di equilibrio tra autonomia e rispetto dei limiti, nonchè tra diritti e doveri; di ragazzi che si sentono privi di amore e si rifugiano così nello sballo, nell’alcol, nella droga, e comunque trovano in tutti questi disastri familiari qualche motivo, vero o strumentalmente amplificato, per farlo.
Tutto formalmente legittimo, per carità, qui non ci sono crudeli assassini da perseguire, non si tratta di materia di competenza della magistratura se non per la pronunzia delle innumerevoli sentenze di separazione e di divorzio. Normale amministrazione – aggiungerà qualcuno – tutti effetti della crisi della famiglia che si evidenzia in maniera sempre più preoccupante davanti ai nostri occhi ormai da qualche decennio. Resta il fatto, però, che quando si prendono determinate decisioni, la stella polare sembra essere solo quella dell’individualismo più sfrenato, che ci porta a non vedere le macerie che rimangono dietro di noi e quelle che inevitabilmente si formeranno nel tempo a venire.
Senza bisogno di scomodare i precetti e gli insegnamenti della religione (peraltro ampiamente ignorati anche da chi si definisce cattolico), non c’è dubbio infatti che le separazioni, anche le più civili e ragionevoli, non sono mai a costo zero per i figli, le vere, incolpevoli, parti lese delle lacerazioni familiari. Esse pesano infatti, e molto, in termini di perdita di quotidianità (inevitabile, e per nulla affatto compensata dalla “qualità”, quasi sempre troppo generosamente autocertificata, degli incontri infrasettimanali e del fine settimana), di conoscenza approfondita e di autorevolezza dei genitori verso i figli, di sensi di colpa che schiacciano almeno quei genitori responsabili della rottura e portano ad eccedere nel buonismoe nel perdonismo per un malinteso senso di protezione e per assicurarsi, nonostante tutto, la complicità e l’affetto dei ragazzi. E così, ancor più che nelle famiglie anche solo apparentemente unite, si finisce per assecondareanche i capricci più stupidie assurdi dei ragazzi, per giustificare anche l’ingiustificabile, per inculcare in loro l’oppio della deresponsabilizzazionee dello smarrimento del senso del dovere, per crescerli nella più totale mancanza di resistenza all’impegno, alla fatica mentale e fisica indispensabile per raggiungere un qualsiasi risultato, in un eccesso di tutela iperprotettiva che porta solo a mettere l’accento sempre e solo sui diritti, e mai sui doveri.
Quando infine si è costretti a prendere atto degli inevitabili disastri, che a volte non possono essere ignorati anche volendolo, spesso e volentieri è troppo tardi per cambiare registro e cercare dei correttivi.
In definitiva, sia pure senza volerlo, si arriva a fare del male, e tanto, ai propri figli. La distruzione del principio di responsabilità e di autorità che dovrebbe caratterizzare i genitori, da noi stessi determinata con le nostre scelte e con i nostri comportamenti, finisce per spianare la strada verso il nulla (ed anche verso quel particolare nulla garantito dall’alcol e dalla droga) sempre più imboccata dalle giovani generazioni, ancora più preoccupante perché l’attuale gravissima crisi economica imporrebbe invece ai ragazzi un surplus di impegno e di lucidità. E di serenità.
* Avv. Giuseppe Bommarito (Presidente onlus “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”)
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Il tutto è la conseguenza della concezione di una “falsa” libertà che si trasforma in una minaccia , in autonegazione ed è ancora oggi difficile capire, e far capire, che il limite che gli va posto è la Moralità,la quale non è bigotteria, baciapilismo, oscurantismo, conservatorismo, ma raziocinio, buonsenso, anche rivoluzione interiore, Etica, che non è una moda che cambia come le scarpe, i vestiti, le stagioni, ma un codice di comportamento che vale sempre e in ogni situazione, una disciplina interiore che ci aiuta ad individuare il Bene e il Male che non sono esattamente punti di vista o opinioni. Ma a questo oggi non educa più nessuno, abbiamo sostituito a tutto ciò la cultura della superficialità, del tornaconto personale, del proprio egoismo, delle proprie soddisfazioni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Ha perfettamente ragione Carla per ciò che scrive come sua opinione. L’uomo non è libero. E’ sempre preda del suo inconscio e delle pulsioni che da questo si scatenano. L’inconscio viene privilegiato da una forza d’opinione in particolare: I RADICALI. I quali vanno dietro alla falsa idea che l’essere umano è capace di gestire il suo inconscio ed è quindi libero di agire come vuole… Lo scriveva pure il mago inglese Aleister Crowley, drogato e pure omosessuale, come unico comandamento della sua nuova religione di “Thelema”: “Fai ciò che vuoi, sarà tutta la legge!”
Viva, quindi, l’aborto, il divorzio, il matromonio gay, la droga libera, l’eutanasia! Queste sono le facili soluzioni dei “ragionevoli” Radicali, ai problemi degli esseri di una civiltà in declino.
Toccante è lo scritto di Giuseppe Bommarito… Se fosse, però, vero che i nostri comportamenti di padri costringessero i nostri figli al disastro, allora i miei quattro figli dovrebbero essere come minimo alcolizzati e drogati. Invece, grazie ad essi, non lo sono. E grazie pure alle loro madri, che sono state all’altezza di fare le madri. E grazie a ciò che essi hanno seminato prima di questa vita. Ossia, come ricorda il Vangelo, non hanno “peccato” prima di nascere.
Chi può nascere da una famiglia come quella di Totò Riina? Da una madre prostituta? In una delle favelas e bidonville del mondo? Certo, ci può essere l’eccezione che da famiglie e ambienti simili possano venire fuori persone oneste e capaci. Generalmente non è così… Infatti, si è nei luoghi, con chi e nei tempi in cui deve trovarsi: ossia, si nasce nel luogo giusto e nel tempo giusto.
Quindi, i genitori facciano i genitori in piena regola. Ma non si colpevolizzino più di tanto, se da essi viene fuori un criminale… Egli sta solo continuando il “peccato” che commetteva prima di nascere.
Che bell’articolo! Sebbene oggi la società sia impregnata da un relativismo devastante, nessuno può opporsi all’oggettiva evidenza della realtà, così ben rappresentata nell’articolo dell’avv. Bommarito. I nostri figli, quelli che incontriamo nelle scuole, quelli che sono protagonisti di tristi vicende di alcol e droga, quelli che diventano crudeli e sadici bulli verso i più deboli, sono il frutto di una crisi profonda della realtà familiare. La coppia oggi sta subendo un profondo attacco, è minata alle radici, attraverso una cultura pressappochista e superficiale, narcisista e svuotata di autentici e maturi legami affettivi. Non a caso la Chiesa, che è sempre a favore dell’Uomo, ritiene il legame matrimoniale un sacramento indissolubile. Certo nella coppia si possono annidare tante sofferenze che legittimano umanamente una separazione, vista spesso come cura ad un male insopportabile. Ma le macerie di cui si parla nell’articolo sono altrettanto reali. I figli hanno vitale bisogno della famiglia, se non si ricomincia ridando una giusta attenzione ad essa, la società è destinata a sprofondare in una spirale di Male dalla quale difficilmente si potrà uscire. Grazie all’avv. Bommarito per questi utilissimi momenti di riflessione.
Normal
0
14
Da quando sono al mondo ed ho coscienza di me la parola più importante per me è stata “ madre”.Come donna ho avuto lo speciale dono di sentire la gioia di avere una vita che cresce dentro di te e che hai voluto insieme al tuo compagno o marito. Così fina da bambina ho sentito la grande empatia che il senso di maternità permette di avere verso gli altri.Avere cura ,crescere ,nutrire e seguire la crescita e lo sviluppo di un figlio, l’educazione di un alunno e per estensione la capacità di coltivare con gli altri( che poi siamo noi) un sentimento di solidarietà e di compartecipazione e condivisione sia dei momenti lievi che di quelli difficili. E soprattutto coltivare e ricordare in ogni momento la nostra vocazione al servizio: essere utili, essere il mezzo che possa servire a costruire una sinergia positiva in ogni relazione.E’ molto difficile farlo,è necessario essere profondamente onesti con se stessi prima che con gli altri,è necessario assumersi la capacità ci fare ed affrontare sacrifici e mettersi sempre dopo tutto e tutti. Donare e donarsi ,dedicare la propria esistenza è la vera essenza del nostro essere :le cose che possediamo veramente sono quelle che doniamo.Quando ti alzi al mattino pensi a tutto ciò che puoi realizzare ti senti forte ed ottimista: poi ti rendi conto che non hai le forze sufficienti,che non sei abbastanza forte da metterti in gioco e sei troppo egoista e concentrata su di te per poter agire .E’ allora che devi tirare fuori tutta la forza vitale che hai dentro e forzarti di guardare in faccia la realtà,di affrontare anche le prove più dure insieme a tuo figlio, costringerlo a guardare con chiarezza dentro di sé ed a capire chi è,qual è la strada che sta percorrendo,quali sono le sue paure,quali sono i suoi limiti. Non sono le mancanze che ci impediscono di raggiungere l’obiettivo, è la nostra cecità,la nostra incapacità di indagare sui nostri limiti e cercare in ogni modo di affrontarli.Non è importante il risultato ma il percorso: la vita non è una corsa ai cento metri piani,ma una maratona lunghissima ed impegnativa,dolcissima ed amarissima, bellissima e terribile, ma è comunque un’opportunità che ci è data in dono ed un dono va accettato ,ci piaccia o no e va amata e protetta .Guardate il mondo che vi circonda e gli altri negli occhi: in essi potrete leggere le emozioni che trapelano dallo sguardo. Guardo gli occhi dei miei alunni: quanta voglia di essere ascoltati e capiti,quanto bisogno di uno sguardo di interesse ,di amore ,di qualcuno che si accorga di loro. Ma metterli nelle condizioni di crescere,imparare a conoscere se stessi ,di essere in contatto reale con le loro emozioni è una cosa molto difficile: ci vuole forza di volontà,coraggio,senso di responsabilità e disciplina.Le regole sono importanti e fondamentali,la lealtà,saper mantenere la parola data ma è soprattutto la capacità e l’umiltà di riconoscere i propri errori e avere la forza di chiedere scusa davanti a tutti con onestà per insegnare che sbagliare è terribile ma superabile,ma non voler riconoscere i propri errori ed il male fatto ad un altro essere umano è un delitto,perché uccide il futuro e la speranza.
Eliana Leoni Marcelletti
Bravo avvocato! La verità bisogna proclamarla!
Chiedo scusa per il mio commento sgrammaticato:l’ho scritto di getto e non l’ho riletto.E ci faccio pure la professoressa!
Eliana Leoni Marcelletttil
Complimenti avvocato un bel articolo. Io avrei intitolato questo pezzo in un altro modo ” il male che è fuori di noi”. Si fuori e non dentro, perché secondo me il male proviene da fuori, da fattori esterni, siamo circondati dal male e dalle malattie, che anch’esse provengono da fuori di noi.
Sembra banale, ma non lo è.
Già aver capito di essere malati è un gran passo, come l’essere consapevoli che per cambiare dobbiamo modificare le nostre abitudini e soprattutto capire che veniamo meno ad uno di questi principi, soffriamo noi e tutta la collettività, siamo tutti parte integrante di un disegno, e che se trascuriamo le leggi paghiamo noi e gli altri. L’egoismo e un campo vastissimo e simile all’amore ma produce effetti devastanti in noi e chi ci è vicino, forse una buona soluzione sarebbe di amarci e volerci bene tutti. Grazie per l’articolo sempre su argomenti attuali e sicuramente di riflessione e per alcuni e di spolveramento mentale per altri..
Il problema sociale, che il mio amico Giuseppe ci pone di fronte, è la crisi della famiglia. Ma questa crisi è il riflesso della crisi dei valori etici e sociali che la società consumistica ha creato: uno smodato senso dell’avere rispetto a quello dell’essere. La comunicazione di questo modello di società ci bombarda continuamente attraverso i mass media e ci limita la libertà facendoci credere che consista nel soddisfare certi bisogni indotti come modelli di autorealizzazione. Questi modelli culturali sono diventati vere e proprie schiavitù pianificate nelle strategie dei poteri forti economici e politici della società. Questo ha sviluppato un individualismo esasperato come modello di libertà.
L’unico modo, per recuperare il senso della vita, è recuperare il senso di una vita di solidarietà sociale in cui si ritrovi il senso del bene comune.
Solo così si può rimettere la famiglia al centro di uno sviluppo della società che protegga la vita di tutti nel giusto equilibrio di “diritti e doveri”, in cui la violenza non trovi più cittadinanza.
Per chi ci crede è anche riscoprire una Fede Cristiana genuina, che illumini la vita dell’Amore di Dio, che ci invita alla fraternità.
Grazie Giuseppe ed un abbraccio.
Caro Giuseppe, la tua riflessione è estremamente interessante e stimolante (come si è visto dai commenti; alcuni dei quali davvero molto belli). Certamente il problema educativo è oggi centrale e sicuramente merita di essere approfondito.
Non condivido, tuttavia, il taglio che hai voluto dare al tuo ragionamento, laddove hai identificato il problema quale conseguenza di una rottura del nucleo familiare. Ritengo infatti che questa impostazione, forse anche aldilà delle tue stesse intenzioni, porti con sé due errori complementari: il primo è che i figli di genitori separati soffrono, il secondo è che i figli in famiglie tradizionali sono felici, e non è così. Così come non ritengo che la superficialità o l’egoismo e, aggiungerei, lo stato confusionale dei genitori si esprimano solo e di certo nel separarsi. Spesso, al contrario, la separazione può essere un atto di ponderata e matura responsabilità che tende a tutelare anche e propriamente i figli, così come può essere frutto di irresponsabilità ed egoismo l’accanimento nel mantenere in piedi una famiglia che, nei fatti, non esiste più.
Di esempi, in tal senso, ne ho a bizzeffe: molte coppie si trovano sposate senza sapere, per così dire, perché; molte coppie decidono di mettere al mondo un figlio per “risolvere” i loro problemi di coppia; molti genitori sono letteralmente “terrorizzati” dai loro figli che spadroneggiano su di loro; e potrei continuare a lungo.
Aggiungo che mi piacerebbe “continuare a lungo”, ti inviterei cioè, per esempio tramite la tua associazione, ad immaginare un luogo di reale approfondimento di questi temi che, trattati in questa sede, non possono che essere appena abbozzati.
……per educare bene un figlio, occorre innanzitutto educare se stessi.
……
Come si può aiutare qualcuno, in primo luogo la propria prole, se non si è in grado di essere d’aiuto innanzitutto per se stessi? È come se per assurdo un cieco, prendendo per mano un altro cieco, lo volesse condurre da qualche parte.
Ogni genitore che abbia veramente a cuore le sorti di chi ha messo al mondo dovrebbe tenere presente questa regola d’oro se vuole ottenere risultati che lo soddisfino sia come essere umano che come educatore.
Un tale incontrovertibile principio sottolinea la necessità di correggere le proprie debolezze e i propri difetti, essendo disposti a riconoscerli, ed implica l’esigenza di cambiare quei punti di vista, quelle convinzioni e quelle abitudini che non sortiscono effetti soddisfacenti specialmente quando si è alle prese con i figli.
Uno degli aspetti più contradditori e deleteri del modo di educare messo in atto dalla maggior parte dei genitori, consiste nel pretendere di guidare i bambini sul giusto cammino senza che gli stessi genitori siano inclini, per primi, a percorrerlo……
fonte web
Caro Adelio,
concordo con le tue osservazioni, nel senso che ci sono, e li conosco pure io, figli di coppie separate che crescono in maniera responsabile e con più maturità di tanti loro coetanei che provengono da famiglie unite, o apparentemente unite. Quindi, non si può generalizzare, però è indubbio che i figli di genitori separati abbiano davanti a loro delle difficoltà maggiori di quelle che invece generalmente hanno i figli di genitori non separati.
Spero anche io che si possa organizzare, anche con il tuo aiuto, un momento più approfondito di riflessione sul tema.
I ragazzi più svegli si attrezzano e tentano una bella convivenza insieme.
Quella si che è una bella prova di sopravvivenza insieme!!!
Prima di sposarsi in pompamania con sfarzose feste e viaggi di nozze oltreoceano
a spese di paparino e mammina.
Condivido in pieno il suo bellissimo articolo .
Condivido il pensiero di Bommarito espresso nell’articolo in quanto è vero che i figli di genitori separati sembra che debbano dimostrare sempre qualcosa in più degli altri , però succede anche che molti genitori vivono un senso di colpa eterno nei loro confronti tale da divenire per alcuni ragazzi un alibi dietro cui nascondersi. Dopo tanti anni che opero all’interno di un consultorio mi sto rendendo conto che il compito dei genitori di oggi è più difficile rispetto ad esempio a venti anni fa, in quanto le famiglie sono lasciate sole, non c’è più un tessuto sociale di riferimento: la chiesa vive la sua crisi perchè la famiglia cattolica è in crisi, le istituzioni laiche sono inconsistenti perchè la famiglia così come descritta nella Costituzione è attaccata e demotivata. La crisi economica in atto sta facendo emergere le tante contraddizioni che in passato non sono state risolte: poche politiche familiari, non si è dato valore al welfare familiare: di fatto possiamo dire che la famiglia oggi è la prima impresa, che se non va come possiamo illuderci che riparta il sistema Italia, fatto di un tessuto di piccole medie imprese familiari. Non abbiamo uno Stato che aiuta i genitori a difendere i propri figli dalla violenza quotidiana, dalla droga, dall’abuso dell’alcool, come possiamo farcela da soli, se arrestano un piccolo spacciatore e poi viene rilasciato e non si va alla radice di chi fornisce la droga, se arrestano un omicida poi per mille cavilli esce dal carcere.. tutta questa impotenza dei genitori che alla fine si tramuta in un senso di colpa mortale nell’anima,non può, secondo me, scagionare le Istituzioni che nulla fanno per la famiglia, la coppia, il genitore..
Bravo come sempre Giuseppe..