Luca Traini in tribunale il giorno della sentenza
di Giovanni De Franceschi
Un attentato che ha messo in pericolo l’intera città, un movente sicuramente razzista e xenofobo, un pentimento poco convincente. Questi alcuni passaggi chiave della sentenza con cui i giudici della Corte d’assise di Macerata hanno condannato Luca Traini a 12 anni, in abbreviato, per strage (danneggiamento, porto abusivo di arma, esplosioni pericolose) con l’aggravante dell’odio razziale. Le motivazioni sono state depositate pochi giorni fa. Sei le persone che erano rimaste ferite tra cui una donna, tre quelle mancate per caso, tutti neri. Diversi i locali colpiti, compresa la sede del Pd. Questo in sintesi il bilancio del raid del 3 febbraio, quando Traini seminò il panico per Macerata a bordo di un’Alfa 147, armato di una Glock 9×21.
Luca Traini dopo l’arresto
IL PENTIMENTO – Il 29enne proprio il giorno della sentenza (il 3 ottobre) aveva letto in aula sei foglietti in cui sostanzialmente chiedeva scusa, si mostrava pentito e negava con forza di essere mai stato razzista. Passaggi che ai giudici sono sembrati poco credibili e soprattutto sintomo di una scarsa comprensione o sottovalutazione di quanto compiuto. «Il pentimento che ha manifestato in udienza leggendo una breve memoria scritta appare tardivo e poco convincente. Ciò che desta maggiore perplessità – si legge nella sentenza – è che l’imputato abbia con forza negato la matrice razzista che, invece, deve ritenersi senz’altro presente quale movente ed aggravante della sua condotta. Detta negazione porta a ritenere che il percorso di reale comprensione dei fatti e di effettiva rivisitazione critica del proprio operato sia ancora lungi dall’essere stato intrapreso con convinzione. Alle parole, poi, non si sono accompagnate aperture di alcun genere nei confronti delle numerose vittime e dei loro familiari, né concreti gesti di risarcimento. I dieci mesi trascorsi in regime di custodia cautelare, nello specifico, sembrano non avere minimamente intaccato questo allarmante atteggiamento di superficiale valutazione, o di non piena comprensione, dei fatti compiuti». Al di là di lettere e foglietti, dunque, secondo i giudici della Corte l’intero percorso che avrebbe portato al pentimento di Traini appare poco convincente. Ed è stato lo stesso Traini a dimostrarlo, proprio con le sue parole.
Il ferito in corso Cairoli soccorso da una passante
IL MOVENTE – La sentenza lo spiega a chiare lettere nell’analisi del movente che ha spinto il 29enne a prendere la pistola e a sparare a caso contro i neri per le vie di Macerata. «Il mio non è stato un raid prettamente razziale, ma il fatto che tutti gli spacciatori so neri. Non è che ho attaccato tutti i neri», questa la spiegazione fornita durante un interrogatorio da Traini. Ha giustificato il suo raid, insomma, come una sorta di punizione contro gli spacciatori, partendo dall’assioma che tutti gli spacciatori sono neri. E concludendo che sparare a un nero equivale a sparare automaticamente a uno spacciatore. Una motivazione chiaramente razzista e xenofoba, come scrivono i giudici. «Non potendosi ammettere come vera tale affermazione (gli spacciatori non hanno colore né nazionalità predeterminate) – si legge ancora nella sentenza – la matrice di odio razziale risulta chiara». Questo ormai è un punto fermo e il fatto che Traini non sia sia ancora reso conto che l’equazione neri uguale spacciatori è razzista, ha reso il suo percorso di pentimento poco convincente agli occhi dei giudici. Altro elemento a favore di questa tesi l’affermazione secondo cui non era sua intenzione sparare a donne e bambini. «L’analisi dei fatti – scrivono i giudici – smentisce l’imputato, avendo Traini deliberatamente aperto il fuoco, dopo aver preso la comodamente la mira, contro due donne di colore» e avendo sparato diversi colpi in aria a scopo intimidatorio alla presenza di minori, ovviamente neri. Traini era partito per uccidere Innocent Oseghale, accusato dell’omicidio di Pamela Mastropietro, visto quel giorno il nigeriano sarebbe dovuto comparire in tribunale. Ma per evidenti motivi poco praticabili ha desistito e ha deciso di sparare contro gli africani, a caso. «Risiede in questo repentino mutamento di proposito, a parere di questa Corte, il malcelato odio razziale che senza ombra di dubbio ha armato l’imputato».
I momenti subito dopo l’arresto
LA STRAGE – Altro passo saliente della sentenza riguarda il reato di strage per cui è stato condannato. Che sarà il punto sui cui insisterà la difesa, rappresentato dall’avvocato Giancarlo Giulianelli, nel ricorso in appello. «Il raid – specificano i giudici – ha attentato con evidenza al bene giuridico della pubblica incolumità. Intenzione di Traini non era uccidere determinate persone di colore, bensì ucciderne un numero indeterminato sparando tra la folla». E il fatto che il raid sia stato un attentato alla pubblica incolumità è dimostrato secondo la Corte anche dalla circostanza che Traini ha agito di sabato mattina, quindi in uno dei momenti più trafficati della giornata, e nelle strade maggiormente affollate: corso Cairoli, corso Cavour, via dei Velini, la stazione. «Vittime della sconsiderata condotta delittuosa quindi – aggiungono i giudici – non possono ritenersi solo le parti civili (cioè i feriti o gli scampati, ndr) bensì l’intera cittadinanza costretta, in parte, a vivere momenti di autentico panico e in parte a subire l’esperienza traumatica di una sorta di coprifuoco imposto dalle autorità». Il famoso appello del sindaco Carancini a restare chiusi in casa. Inoltre il fatto che non sia stato ucciso nessuno, «circostanza assolutamente fortunosa e indipendente dalla volontà» di Traini, non incide sulla qualificazione del reato di strage. La morte di una o più persone sarebbe stata un’aggravante.
Traini al monumento dei Caduti poco prima di essere arrestato
Giancarlo Giulianelli, legale di Traini
I rilievi in corso Cairoli
Il momento dell’arresto
La pistola e le munizioni in auto
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Vista la definizione di strage scaturente dal codice penale, definizione che non presuppone automaticamente l’uccisione di qualcuno, c’è da chiedersi se anche gli spacciatori di droga, in particolare di eroina, non possano essere accusati di quel reato.
Sparando alla sede del Pd, Traini dimostra chiaramente che qui il razzismo è solo circostanziale come direbbe Crozza/Feltri. Traini ha semplicemente sparato ad una situazione criminale in cui ha imputato al Pd e agli spacciatori che a Macerata sono prevalentemente neri e che soprattutto e fino a prova contraria entrano chi in un modo ( l’efferato omicidio) chi in un altro ( la fornitura di eroina non in uso nel commercio abituale di Oseghal). Quindi Traini non ha sparato solo a neri ma anche a tutti i bianchi piddini, anche se solo virtualmente, colpevoli a suo dire ma soprattutto al suo fare colpevoli della morte di Pamela che nella conclusioni dei giudici vedo poco nominata. Poi si sa, tutto il resto è noia, il tempo passa, i monumenti a Pamela non si fanno e fra non molto oltre che a non parlarne più ci si dimenticherà pure di quel che è successo. Così va il mondo e anche altri luoghi comuni che adesso non mi vengono.
…si si si..sicuramente motivazioni..motivate, da motivi ben noti ed arci noti!! gv
eliminare droga e contraffazione.circa 40 mld in piu’ all’italia.
quasi la prx manovra.
ha ragione Vostro Onore: anche il rinsavimento di Don Chisciotte non è stato per nulla convincente e la non-convinzione in giurisprudenza è un gran bell’argomento come pure la fortuna e il punto fermo…
Eppure ero convinto che il difensore di Luca Traini fosse l’avvocato Giancarlo Giulianelli!
Bene, date queste motivazioni, possiamo affermare che ogni spacciatore è un assassino, sulla base che, se un individuo vendesse veleno, sarebbe considerato assassino e appunto non spacciatore.
Per Lupidio. Non ‘assassino’, ma ‘stragista’.