Il primario Domenico Sicolo
di Francesca Marsili
Il servizio di medicina di emergenza-urgenza dell’entroterra maceratese è in codice rosso. Da un lato la carenza cronica di medici di pronto soccorso e 118 a cui si aggiungono assenza di turnover in seguito a pensionamenti e autolicenziamenti, dall’altro i servizi al cittadino che devono essere mantenuti. Sullo sfondo la recrudescenza dei casi di Covid con un aumento degli accessi in ospedale. Unica nota positiva è che il servizio di 118 notturno riprenderà a Camerino e Matelica grazie a due specializzande. Ma la coperta resta corta: tra Pronto soccorso di Camerino e Punto di primo intervento di San Severino dovrebbero esserci 11 medici e ce ne sono 6.
«Nel giro di cinque mesi ho perso cinque medici – spiega a Cronache Maceratesi Domenico Sicolo, primario del Pronto soccorso di Camerino, San Severino e Matelica e neo direttore del Dipartimento Emergenza-Urgenza dell’Area Vasta 3 – tre pensionamenti, una dottoressa del Pronto soccorso che ha scelto di fare il medico di base perché non è stato possibile rinnovarle il contratto a tempo indeterminato nonostante la carenza di personale e uno che si è licenziato perché ha vinto un concorso all’Inps». Un’emorragia che non si arresta, ma che deve assolutamente essere tamponata. È del mese scorso la scelta obbligata di posizionare un’auto medica a Castelraimondo dalle 20 alle 8 per sopperire alla carenza di organico che non riusciva a coprire i turni di 24 ore nelle postazioni 118 di Camerino e Matelica. Ed è notizia delle ultime ore che, grazie all’arrivo di due specializzande in Anestesia e Rianimazione che copriranno alcuni turni, il servizio di 118 notturno nei due presidi dell’entroterra sarà ripristinato (sono state assunte con contratto specifico a seguito di collaborazione firmata tra Università di Ancona e Asur).
«Per coprire una postazione h24 con un medico, sia in pronto soccorso che in 118, occorrono 6 medici tra turni, riposi, per due postazioni Camerino e Matelica, diventano 10-11, noi ne abbiamo 7 – continua Sicolo -. Stiamo cercando di tenere in piedi un sistema con quello che abbiamo, dobbiamo garantire gli stessi servizi con meno personale rispetto a prima con turni pesanti. Peraltro – aggiunge – questo è un periodo particolarmente difficile perché anche i medici hanno diritto alle ferie e il sistema va in crisi. Paradossalmente si stava meglio durante il picco Covid quando le ferie erano state bloccate». Poi il monito «c’è bisogno di porre rimedio immediato, non tra sei mesi, perché la situazione è critica ora e non solo nell’entroterra. Occorre cominciare ad attuare mezzi di emergenza in una situazione di emergenza – precisa il primario – occorre trovare un compromesso tra le risorse umane e la garanzia del servizio. Va ridefinito il sistema di emergenza-urgenza tutti insieme: politica, amministratori e sanitari, in base a quelli che sono i bisogni del territorio e con le risorse che abbiamo. Non è più tempo di continuare con vecchi sistemi amministrativi e burocratici che pongono troppi paletti, cominciamo ad esempio a parlare del medico unico dell’emergenza, una figura unica che può fare sia pronto soccorso, sia medicina d’urgenza sia 118 e lavori dove serve, qualcosa che ora non è possibile».
Difficoltà, quelle generate dalla carenza di camici bianchi, che secondo il primario andavano affrontate prima. «Il problema era nell’aria da anni e da anni lo stiamo dicendo, ma è stato fatto ben poco. Troppo a lungo si è procrastinato il problema “carenza di medici” ma ora il problema sta esplodendo ovunque, dall’entroterra alla costa, in tutta Italia». Sicolo sottolinea come un po’ tutti i reparti sono in difficoltà, «il primo ad andare in sofferenza è quello d’emergenza- urgenza perché i pochi medici che ci sono scelgono ambiti più tranquilli come l’attività di reparto. Lavorare in un Pronto soccorso è molto più gravoso rispetto alle altre specialità a parità di compenso, basti pensare anche un maggior numero di contenziosi legali e di aggressioni da parte dell’utenza». Il problema sta anche nel fatto che ci sono delle direttive nazionali che condizionano tutto con sistemi amministrativi-burocratici vecchi e che in una situazione di emergenza come questa andrebbero abbattuti. «Nel pronto soccorso di Camerino lavorava una dottoressa che aveva un contratto a tempo determinato e che le è stato prorogato fino al limite possibile previsto, oltre si sarebbe trasformato a indeterminato e sarebbe passata alle dipendenze. Qualcosa che per la legge sarebbe stato scorretto e l’amministrativo non si è sentito di fare tale forzatura. Così, vista l’assenza di futuro, la dottoressa ha scelto di indirizzarsi verso la medicina di base». Stessa identica situazione è avvenuta anche nel Pronto soccorso di Civitanova. Poi c’è il caso del medico in forza al pronto soccorso di Camerino che ha vinto un concorso all’Inps come medico legale.
«Se ne sarebbe dovuto andare il primo ottobre e come tutte le amministrazioni occorrono tre mesi di preavviso. L’Inps non ha accettato i tre mesi costringendolo a licenziarsi subito, dal primo luglio. Chiaramente il medico non poteva perdere questa occasione, ma noi ci siamo ritrovati dalla sera alla mattina con un medico in meno». Quali strategie in atto? «A livello regionale si sta cercando di arruolare medici di altri reparti per sopperire alla carenza in Pronto soccorso, ma al momento non si è ancora visto nessuno. L’Università dovrebbe aiutare in questo momento di più gli ospedali periferici con gli specializzandi. Se così fosse riusciremmo a tamponare l’emergenza». Non va meglio sul fronte delle cooperative che potrebbero arrivare in soccorso: «Abbiamo fatto un bando interno all’Area Vasta 3, ma è andato deserto perché anche le cooperative hanno carenza di medici». Per Sicolo c’è un nodo fondamentale che, se sciolto, potrebbe arrivare in aiuto: il numero chiuso nelle facoltà di Medicina. «Quando sento dibattere su numero chiuso e numero aperto penso subito che non sanno qual è la soluzione del problema; sono parole sbagliate, la parola giusta è: numero programmato. Un Paese serio si programma quindi, faccio un esempio, se da qui a dieci anni servono in Italia 20mila medici, io devo fare in modo che da qui a dieci anni le Università mi diano queste unità. Qual è il numero di universitari che entra alla facoltà di medicina e chirurgia dell’università di Ancona oggi? 250? Probabilmente per arrivare a quel numero programmato, il Politecnico dorico dovrà aumentare il numero di accessi o il Ministero dovrà concedere di far entrare più studenti in modo che tra dieci anni potremmo avere il numero necessario. Se continuiamo su questa strada – conclude – a breve non ci saranno più medici».
Un lavoro Dottore Purtroppo hanno ridotto la sanità al lumicino
Mi correggo buon lavoro ...
Benvenuto doc.grazie buon lavoro
Buon lavoro Dottore
Buon lavoro
Però ogni anno ( il mese scorso compreso) i dirigenti percepiscono cospicui premi di produzione, ancora aspetto il dettaglio di queste " PRODUZIONI" che hanno fatto per meritare i premi
Loro pensano a nuovi ospedali...... Ma non ai sanitari per farli funzionare...
Sempre peggio!!! È proprio in un Pronto Soccorso che sono necessari medici con buona esperienza . Lasciamo gli specializzandi in corsia ove un consulto con i colleghi più esperti è sempre possibile ed auspicabile!!! Questo lo sanno bene nelle alte sfere , ma ormai gli ospedali sono delle aziende, i direttori ospedalieri sono dei managers che più tagliano sui costi, più vedono aumentare il proprio stipendio!
A cingoli mancano i medici di famiglia..pensate cm siamo messi...
richiamate quelli sospesi !!!!!
Di chi è stata la grande idea di trasformare gli ospedali in aziende?
Sandra Marcantoni mancano medici, mancano infermieri, ma non assumono! Fanno concorsi concorsi concorsi...cosi lo stato spende soldi, perde tempo, e la situazione non si sana. Le università hanno il numero chiuso, ti impediscono pure di studiarla medicina, però poi i medici non ci sono, si lavora fino a 70 anni e la barca va. Dopo 3 anni di pandemia anche i cittadini dovrebbero riflettere su quali siano le priorità di uno stato sano, ma da eroi siamo ritornati ad essere quasi per tutti dei perdi tempo.
Adesso molti medici non vogliono più fare i medici, ma gli impiegati, hanno dimenticato il motivo per cui si sono laureati
Paola Dionisi non mi sono laureata, abilitata è specializzata (12 anni di studio) x lavorare 70 ore/ settimana fare 10 reperibilità notturne mese e non poter salutare mia figlia nè prima di andare a lavorare nè quando rientro perché esco presto e torno troppo tardi
Paola Dionisi non è che fare i medici significa lavorare senza riposo e ferie. Lei quante ore lavora a settimana?
Paola Dionisi Marta Canonici a volte mi è capitato purtroppo
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Qui manca tutto, o quasi, però a Macerata, “rifanno” un’altro ospedale.