A destra Alfredo Mancini questa mattina in tribunale. Da sinistra gli avvocati Paolo Giustozzi, Nicola Piccinini e Nicola Perfetti
di Gianluca Ginella
«L’incendio alla Orim si è verificato per gravi carenze gestionali. Nell’azienda c’erano rifiuti di tossicità acuta e infiammabili nettamente superiori ai limiti». Questo in estrema sintesi contesta l’accusa al titolare della Orim, Alfredo Mancini, 76 anni, imputato insieme al dipendente, Gianluca Gazzani, 33, che stava manovrando il muletto e che aveva fatto cadere due fusti (da qui lo scoppio dell’incendio). Questa mattina si è svolta l’udienza preliminare davanti al gup Claudio Bonifazi del tribunale di Macerata. Udienza rinviata per una istanza presentata dal legale di Gazzani. Parte civile si è costituito il comune di Macerata che chiede nel complesso 60mila euro circa di danni.
A Mancini viene contestato, in qualità di amministratore unico della Orim, di aver avuto responsabilità nel rogo che il 6 luglio 2018 aveva devastato due capannoni dell’azienda, a Piediripa di Macerata. Si erano scatenate fiamme alte 50 metri. Un incendio devastante nella ditta sulle cui cause erano poi partite le indagini della procura che si sono tradotte in 7 capi di imputazione. A Mancini, tra l’altro, viene contestato di aver tenuto in deposito nell’azienda una quantità di rifiuti pericolosi (tossici, infiammabili ed eco tossici) «nettamente superiori alle soglie stabilite per la non assoggettabilità della ditta alla normativa Seveso» dice la procura. E questo è uno dei punti in discussione: perché la difesa sostiene che non vi fossero rifiuti in eccedenza rispetto a quanto consentito. Una questione tecnica che, in caso di rinvio a giudizio, dovrà essere affrontata al processo e sarà una delle chiavi del procedimento. Non l’unica, perché a Mancini la procura contesta una serie di presunte omissioni. Ad esempio il pm contesta che l’impianto idrico antincendio era risultato, al momento dell’apertura, non utilizzabile per la caduta di pressione dell’acqua e risultava non adeguatamente mantenuto. Altra contestazione è che la squadra antincendio aziendale sia intervenuta con l’acqua degli idranti che è «un agente estinguente non idoneo». L’accusa parla anche di una tettoia adibita alla ricarica dei carrelli elevatori elettrici che era stata spostata, al posto della tettoria c’erano fusti da 200 litri, risultati coinvolti nell’incendio «con aggravio dello stesso e di cui – dice l’accusa – sono sconosciute, perché non registrate, le caratteristiche di pericolo».
E ancora, a Mancini viene contestato di aver omesso di adottare misure idonee alla prevenzione degli incendi rilevanti. Tratte le conclusioni, l’accusa sostiene che «In concorrenza delle gravi carenze gestionali si verificava un incendio di notevole consistenza, non fronteggiato adeguatamente». A Gazzani viene contestato di aver tenuto una condotta negligente mentre lavorava nel capannone C, alle 16,34 del 6 luglio, mentre doveva sistemare un paio di fusti contenenti rifiuti da circa 200 litri, che erano sistemati in modo sporgente su di un bancale al secondo livello di una scaffalatura, a circa 4 metri di altezza, mentre manovrava, da solo, un muletto, in una zona in cui erano presenti cospicui quantitativi di rifiuti infiammabili, nell’andare a marcia indietro «incautamente», dice la procura, aveva (alle 16,35) urtato il bancale su cui stavano i due fusti (il cui contenuto non è stato stabilito) e una volta caduti era scoppiato l’incendio. A Mancini e Gazzani viene poi contestato l’inquinamento ambientale, in seguito all’incendio, di falde acquifere (la procura parla di composti organici alogenati, toluene, xilene) e del depuratore comunale.
Anche la ditta Orim è finita sotto accusa in base alla legge 231: per non aver adottato un modello di gestione funzionale all’organizzazione dell’impresa ed in funzione di prevenzione alla commissione dei reati. Mancini è difeso dall’avvocato Paolo Giustozzi, Gazzani del legale Donatello Prete, la Orim dall’avvocato Nicola Perfetti. Parte civile si è costituito il comune di Macerata (tutelato dall’avvocato Nicola Piccinini) che chiede un risarcimento di circa 60mila euro. Il Comune sottolinea di aver avuto un danno di immagine perché il proprio territorio, in seguito al rogo, era stato identificato come inquinato, tra l’altro a ridosso dell’inizio della stagione lirica che quell’anno era proprio dedicata ai temi dell’ambiente. Oggi l’udienza, in seguito ad una istanza del difensore di Gazzani, è stata rinviata al 10 febbraio.
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Io mi auguro che la giustizia Italiana funzioni, che si vada a processo e che si chiarisca una volta per tutte cosa si è incendiato in quel maledetto giorno. Noi cittadini che abitiamo nei dintorni dell’azienda, siamo stati rassicurati che non vi erano materiali pericolosi, che i fumi respirati non erano tossici. Qui si legge che erano presenti e si sono incendiati rifiuti di tossicità acuta…….poi il comune, che chiede 60.000,00 € di danni…….sono bastati per la sola ripulitura delle strade? Speriamo nella giustizia che faccia il suo corso, ma ne ho forti dubbi.