Alfredo Mancini, titolare della Orim
di Federica Nardi
«Assurdità dell’ordinanza del Comune e illegittimità della sospensione dell’autorizzazione Aia da parte della Provincia. Se ci vogliono far chiudere basta dirlo: noi lotteremo fino alla morte. Sono già pronti due ricorsi al Tar». Alfredo Mancini, titolare della Orim, ha parlato così stamattina all’assemblea dei dipendenti riunita last minute nella sala dell’Ordine degli ingegneri, a Macerata. I dipendenti hanno anche preparato una lettera aperta per il sindaco Romano Carancini denunciando la situazione di stallo.
Mancini indica il pozzetto con i livelli più preoccupanti all’interno del perimetro dello stabilimento Orim
L’INQUINAMENTO – La ditta, a Piediripa, ha preso fuoco il 6 luglio. Un incendio devastante che ha compromesso parte dello stabilimento (ancora sotto sequestro probatorio e chiuso per inagibilità) e che, dopo le operazioni di spegnimento, ha toccato anche la falda immediatamente sottostante all’incendio, notizia di questi giorni (leggi l’articolo). Sull’inquinamento della falda Mancini spiega: «Abbiamo avuto i risultati dell’Arpam contemporaneamente ai nostri. Siamo pronti per intervenire, manca una firma della Procura. Ma i livelli di 7mila volte sopra la media sono solo in uno dei pozzetti, quello direttamente collegato allo scorrimento dell’acqua utilizzata per spegnere l’incendio. Già a 70 metri l’altro pozzetto riscontra valori di migliaia di volte inferiori. Per cui l’ordinanza del sindaco che ha vietato l’uso dei pozzi all’esterno è politica. Quei pozzi sono monitorati, a monte e a valle, per cautela. Non perché sono inquinati. I dati a nostra disposizione, che riguardano sia i nostri campionamenti sia quelli dell’Arpam, che vengono svolti ogni sei mesi, dimostrano che i livelli sopra la media sono collegati all’incendio. Prima erano tutti nella norma. Il giorno dopo l’incendio avevamo detto che eravamo pronti a intervenire per mettere in sicurezza. Ci hanno fermato ed è questo il motivo dell’inquinamento della falda». Mancini ha ricevuto nel frattempo l’ok della Provincia per intervenire sulle acque contaminate. Il piano è di “succhiarle” via con la strumentazione a disposizione della ditta, metterle in stoccaggio, trattarle e smaltirle. Per l’intervento serve però anche il via libera della Procura.
L’incendio del 6 luglio
L’assemblea con i dipendenti
DUE RICORSI AL TAR – Mancini denuncia anche una situazione di stallo intollerabile per la tenuta dell’azienda e per la stabilità dei lavoratori. «Abbiamo una montagna di informazioni nel nostro sistema informatico, che garantiscono la tracciabilità di tutto quello che entra ed esce dall’azienda – spiega il titolare -. In questo momento per far uscire i rifiuti che sono rimasti a terra potremmo metterci, grazie a questa documentazione, venti minuti a carico. Ma la Procura, su suggerimento del consulente tecnico di ufficio, ci obbliga a svolgere queste operazioni alla presenza dell’Arpam e della polizia provinciale. E questo comporta che per fare un controllo della montagna di documentazioni ci mettono un minimo di quattro ore a carico. Noi abbiamo messo a disposizione tutto, la Procura ci ha sequestrato tutti i documenti. Fateci portare via questi rifiuti». Ci sono poi, prosegue Mancini, «fatti assurdi che vorrei portare alla vostra attenzione. Il primo: l’illegittima sospensione dell’Aia da parte della Provincia. Non è basata su niente. dove sta scritto che c’è un incendio mi dovete togliere la possibilità di operare? Ci sono persone in Provincia che in questa situazione non sanno come muoversi in maniera corretta. Per questo stiamo preparando con i nostri legali un pesante ricorso al Tar. Siamo in un tunnel, stiamo sputando sangue. Altra assurdità – prosegue Mancini – l’ordine di inagibilità del Comune. E’ inagibile, anche per i vigili del fuoco, il capannone c che è andato a fuoco e una parte del capannone b. non ho capito perché il Comune, un mese dopo, decide che tutto lo stabilimento è inagibile compresi gli uffici e gli altri capannoni. Ho sollecitato il comune a verificare e un mese fa sono venuti gli ingegneri Luchetti e Ferranti a fare un sopralluogo, rilevando che effettivamente il resto dell’azienda è agibile. Non so come si fa a parlare con chi fa finta di essere sordo. Anche in questo caso stiamo preparando un ricorso al Tar perché non si può andare avanti così. Hanno “reso” inagibili capannoni dove ci sono tre aziende che lavorano. Lì invece funziona tutto e abbiamo fornito tutta la documentazione per provarlo. Non ci vogliono far lavorare? – domanda Mancini -. Non ci fanno entrare negli uffici per parlare con clienti e fornitori. Chi fa un discorso di questo genere impedisce la vita di un’azienda appellandosi a fatti non veri e non corretti. Se ci vogliono far chiudere basta che il Comune lo dica. Con gli avvocati sto lavorando per abbattere questo muro che ci impedisce di lavorare e di mettere in sicurezza lo stabilimento. All’inizio della prossima settimana presenterò un piano di rientro nelle aree dello stabilimento dove non ci sono problemi di inagibilità né di antincendio. Voglio vedere se qualcuno dice che non è fattibile. Anche il procuratore, dopo l’incendio – conclude Mancini – ha detto che l’azienda deve vivere. Ma il Comune si comporta all’opposto. Siamo stati noi, ad esempio, i primi a sollecitare la chiusura della strada, che abbiamo anche messo in sicurezza i primi d’agosto. Solo che il divieto di circolazione è stato tolto ieri, facendo intendere che nella Orim ci sia la peste. Una cosa assurda».
Giacomo Mariani ha letto la lettera dei dipendenti
LA LETTERA DEI DIPENDENTI – Alle accuse di Mancini si aggiunge la lettera aperta dei dipendenti al sindaco Romano Carancini, letta oggi da Giacomo Mariani, responsabile del sistema di gestione. «Le chiediamo di revocare questa ordinanza di inagibilità, almeno sui capannoni e sugli uffici che non sono stati coinvolti dall’incendio – scrivono i dipendenti -. Sono ormai passati 83 giorni dall’incidente che ha causato l’incendio e chiediamo solo di poter tornare a lavorare. Ci sembra una forzatura costringere un’azienda che dà lavoro a più di 50 famiglie a uno stop forzato che va avanti da quasi tre mesi». Il problema è anche che lo stop incide anche su clienti e fornitori. «I nostri clienti, il patrimonio più grande che può avere un’azienda, li stiamo perdendo inevitabilmente giorno dopo giorno. Per far fronte a questa situazione è stata attivata la Cassa integrazione guadagni ordinaria e l’incertezza del futuro ha portato alcuni di noi perfino a rassegnare le dimissioni. Abbiamo avuto un incidente ma ce ne siamo assunti subito la responsabilità e abbiamo chiesto immediatamente di intervenire per la messa in sicurezza del sito, soprattutto per contenere il disagio arrecato alla popolazione. Tale possibilità ci è stata concessa quasi un mese dopo. Siamo stati in silenzio fino a ora perché abbiamo sempre creduto che la situazione si sarebbe risolta in tempi brevi. Ci sorprende molto che il sindaco sembri non avere a cuore la prosecuzione della nostra azienda, sia per la sua rilevanza tecnica (i dipendenti ricordano anche l’utilità pubblica della Orim, ndr) sia per salvaguardare tanti posti qualificati di lavoro. Noi vogliamo lavorare, facendo tesoro di ciò che è successo per migliorarci. Se non si parte subito la Orim è destinata a morire». Nella lettera si parla anche della possibilità di delocalizzare. In passato l’azienda aveva provato a spostarsi, in provincia, a Valleverde e Muccia. «Siamo ancora disponibili a valutare una delocalizzazione – concludono i dipendenti – purché sia concordata e solo dopo qualche anno che saremo ripartiti, finalizzando le potenziali crescite occupazionali soprattutto verso l’interno della provincia. Ripopolando le aree, creando lavoro dove sta pesando il terremoto che allontana la gente e dove invece ci sono grandi spazi operativi. Situazione che potrebbe essere favorita, se anche gli enti si facessero sentire, dai finanziamenti nell’area del cratere. Chiediamo il rispetto per la verità, per noi lavoratori, per le nostre famiglie e che gli organi competenti si assumano le rispettive responsabilità per restituirci la nostra dignità».
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Tutta la mia solidarietà al Sig. Mancini ed ai dipendenti: è inconcepibile che venga bloccata l’attività lavorativa di un’azienda che ha subito un incendio, in attesa che la burocrazia faccia i suoi lentissimi passi. A mio giudizio le cose sono due: o i pozzi erano inquinati anche prima dell’incendio e quindi l’azienda non rispettava i requisiti di sicurezza ambientale, ma allora chi doveva controllare cosa ha controllato? Oppure i pozzi sono stati contaminati da tutte le tonnellate d’acqua utilizzate per spegnere l’incendio ed allora dov’è la colpa della ditta? Mi auguro che in attesa che vengano individuate le responsabilità si permetta di far ripartire l’attività lavorativa, altrimenti oltre al danno dell’incendio, la beffa dello stop burocratico.
Ora incolpiamo di inquinamento i vigili del fuoco che hanno usato l’acqua per spegnere l’incendio. Il problema è serio
c è di mezzo la salute della popolazio-
ne, saranno gli organi competenti a ristabilire la normalità.
L’inquinamento delle falde sotterrane normalmente richiede degli anni, per cui si possono ipotizzare attività precedenti che nel tempo possono aver prodotto l’inquinamento. Riprendere le attività in questo quadro di situazioni mi sembra azzardato.
Cambiando argomento spesso mi capita di passare in corso della Repubblica,nel centro storico di Macerata, dopo le ore 21 e spesso ho visto in sosta una Mercedes. Non è divieto di sosta, essendo isola pedonale h 24? Sarei curioso che qualcuno mi dia una risposta in merito. Se a qualcuno interessa ho fatto anche una foto in merito mentre passeggiavo con un amico. Sarei curioso anche sapere di chi è?
Per Meschini. Fa una visura per targa (costo presso l’ACI una decina di euro) e si toglie la curiosità.