di Gianluca Ginella e Laura Boccanera
«Non stiamo facendo nulla di illegale, ma manca la chiarezza. Ho tre negozi e tra qualche settimana, credo, aprirò il quarto che sarà a Osimo». Lorenzo Castignani, civitanovese, 28 anni, è il titolare, di due negozi Indoornova a Macerata (uno in via Lauri e l’altro a Piediripa) e del negozio Indoornova di Ancona, quello del sequestro di 13 chili di prodotti, poi revocato dal gip, che ha portato al ricorso in Cassazione e alla pronuncia, ieri, delle sezioni unite sul caso cannabis light. Vietato vendere prodotti contenenti thc? Secondo Castignani, secondo Federcanapa e secondo l’avvocato Carlo Alberto Zaina, legale del commerciante civitanovese, non è così. Federcanapa sostiene che non si possono vendere prodotti a base di canapa «salvo che siano in concreto privi di efficacia drogante».
E aggiunge, Federcanapa: «Da anni, la soglia di efficacia drogante del principio attivo thc è stata fissata nello 0,5% come da consolidata letteratura scientifica e dalla tossicologia forense». «E’ una sentenza di una contraddittorietà spaventosa e permette la commercializzazione dei prodotti sotto lo 0,5% di principio attivo. Perché la soglia drogante è dello 0,5%» sintetizza l’avvocato Carlo Alberto Zaina. Fa poi un esempio in base ai quantitativi: «Se viene venduta una infiorescenza, una foglia che presenta uno 0,5% in percentuale e non supera i 10 milligrammi, è una sostanza che non è vietata. La Cassazione ha espulso dalla porta ciò che aveva fatto entrare dalla finestra – continua il legale –. Cosa cambia? Cambia che si dice che la commercializzazione non rientra nella legge quadro sulla canapa ma nella legge degli stupefacenti, però non è reato se non è drogante la sostanza venduta. Tra l’altro la legge quadro sulla canapa prevede il limite dello 0,2% a livello europeo e 0,6% a livello italiano». Secondo il legale «Questa volta la comunicazione della Cassazione non aiuta a capire. Comunque dovremo leggere le motivazioni, ma ci vorrà un mese prima che escano, credo». Secondo altre interpretazioni invece con la sentenza si dice che il principio deve essere zero, ritenendo che la soglia drogante non sia lo 0,5% di thc.
Ma per i commercianti cosa cambia? «Per noi alla fine non cambia nulla, cambierà che ci saranno forse più controlli, e basta – dice Lorenzo Castignani -. Mi aspettavo decidessero in maniera molto più seria, secondo me hanno creato ancora più confusione. I negozi non verranno chiusi, basta che non vengano venduti prodotti che non superino la soglia drogante – ribadisce Castignani –. Resta un vuoto normativo nonostante la sentenza». Castignani non ci pensa nemmeno a chiudere, anzi. Ai due negozi di Macerata, quelli dove avvennero i primi sequestri in Italia, e a quello di Ancona, se ne aggiungerà un altro: «Ne stiamo aprendo uno a Osimo, credo tra qualche settimana. Il business della canapa sta tirando anche su l’economia, crea posti di lavoro».
Altro titolare di negozi che vendono canapa è Marco Mari, proprietario di Tutto Canapa di via Trento, a Civitanova, attività commerciale sospesa per 15 giorni lo scorso 9 maggio. Ha scelto per il momento di togliere dagli scaffali del suo negozio le infiorescenze di canapa. Il suo negozio era stato al centro della polemica dopo la visita del ministro dell’Interno Matteo Salvini durante un tour elettorale nelle Marche prima delle elezioni Europee. Una soluzione temporanea in attesa di capire come dovrà muoversi in futuro, a seguito della sentenza: «Questa però non è l’anticamera della droga e dell’inferno – spiega Mari -. In due anni abbiamo investito in questa attività 35mila euro, non è possibile che prima vengano date le licenze e poi ci venga detto che non è più possibile vendere. Al momento siamo aperti, ma per sicurezza ho preferito togliere i prodotti col thc, non ci sono arrivate al momento indicazioni di alcun tipo. Vendiamo invece i prodotti alimentari, i gadget ed il resto, ma per noi è una perdita. E poi anche a livello di immagine. Dopo la chiusura quando abbiamo riaperto in tanti sono tornati, ma adesso non viene quasi nessuno. Il nostro cliente è una persona che sta alle regole e tutto questo è terrorismo psicologico». Il titolare contesta anche la disparità di trattamento tra la provincia di Macerata e quello che avviene altrove: «Io qui ho dovuto togliere pure la tisana, ma a 150 chilometri da qua mettono tutto in esposizione e in bella mostra. Abbiamo prodotti certificati, confezionati, acquistati con fattura. Ad ogni modo ora vedremo cosa fare, se continua così saremo costretti a chiudere e allora smetteremo di pagare le tasse e chi acquistava in forma regolare e controllata da noi tornerà dai pusher nei vicoli».
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Sulla Cannabis sativa L., le Sezioni Unite della Cassazione, stando alla Informazione Provvisoria diffusa, scelgono una linea restrittiva circa l’ambito di applicazione della legge n.242 del 2016, che promosse la canapa nei settori agricolo, industriale e commerciale, verso la creazione di una vera e propria filiera. Questo per ora è il dato più chiaro; sul resto ognuno si ingegna aspettando di verificare se siamo di fronte a qualche innovazione o piuttosto ad una razionalizzazione. Linea morbida? No. Dura? Chissà. Salomonica più di quanto appaia? Forse. Rigorosa nel presidiare i confini tra un legislatore pasticcione e latitante e un interprete talvolta troppo creativo? Speriamo. Quelle norme si applicano soltanto, dicono le sezioni Unite, alla coltivazione della Cannabis sativa L. e alla commercializzazione dei prodotti da essa derivati “tassativamente” indicati nella L. 242/16. (La canapa ricadente nelle varietà previste dalle norme comunitarie, che perciò contiene Thc fino allo 0,2%, continua ad essere coltivata senza alcuna autorizzazione e, al pari dei derivati elencati nella L.242, tra i quali gli alimenti, non ricade nelle disposizioni del Testo unico sugli stupefacenti n.309/1990: limiti e regole sono dettate dalla specifica e citata legge di settore.). Quindi: “la commercializzazione di Cannabis sativa L., e in particolare di foglie, infiorescenze, olio, resina, non rientra nell’ambito di applicazione della legge 242”; “pertanto integra il reato di cui all’art.73, commi 1 e 4, d.p.r. n.309/1990 … la commercializzazione al pubblico dei prodotti derivati dalla coltivazione della Cannabis sativa L.” (e qui ci si riferisce naturalmente non a tutti i derivati ma a quelli non tassativamente elencati dalla legge, tipo le infiorescenze), attenzione, “salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”. Insomma, par di capire, tutto ciò che non è elencato espressamente nella legge 242 sulla canapa, benché derivi dalla Cannabis sativa L. e dunque da una coltura dichiarata lecita e incentivata dalla stessa legge, una varietà caratterizzata da un Thc fino allo 0,2%, non può essere comunque venduto, come accadeva finora nei negozi di “cannabis light”, ma non è automatico che queste condotte rientrino nel reato di spaccio e altro, poiché occorre verificare che i prodotti possiedano “efficacia drogante”. Bisogna appunto attendere il testo ma, se le Sezioni Unite avessero ritenuto di privilegiare una tesi più legata a una concezione legale-formale della nozione di stupefacente, perché allora richiamare con nettezza il concetto di “efficacia drogante”? Va detto peraltro che le principali precedenti sentenze della Cassazione sulla “cannabis light”, pur creando una varietà di posizioni fino al contrasto, condividono in sostanza proprio una stessa conclusione circa il configurarsi o meno del reato ex art.73 per chi venda fiori di canapa e simili. Ecco la pur severa sentenza 56737/18 della VI Sezione: “sempre che dette sostanze presentino un effetto drogante rilevabile”; poi la liberale 4920/19 (pregevole nei principi e nel ragionamento, un po’ forzata in certe conclusioni) sempre della VI sezione: “solo se si dimostri con certezza che il principio attivo è di entità tale da potere concretamente produrre un effetto drogante”; infine la equilibrata 7166/19: “dovendosi accertare l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile”.
Sembra che il legislatore pasticcone a cui fa riferimento Menghi, tenendo conto che la canapa, un alimento assolutamente completo, coltivato in Italia ormai quasi ovunque, verrà usato esclusivamente come mangime per polli che dovranno essere etichettati con il certificato PIAC (Polli ingrassati a canapa). Il problema , allo studio presso il Cern di Ginevra in via del tutto eccezionale sarà quello di trovare il modo di fumarsi il pollo.
Secondo questo negoziante ciò che fa male all’uomo basta legalizzarlo e non farà più male. Abbiamo trovato la cura a tutto.
Per Bellesi. A chi ha la glicemia alta è capitato l’opposto. Chi ha ad esempio 115 fissi di glicemia, quando il limite massimo era 120 non era diabetico. Da un giorno all’altro il limite massimo è stato portato a 110 e all’improvviso gli stessi sono diventati diabetici.
Iacobini, è successo lo stesso col colesterolo, così tutti debbono prendere medicine.