Droga, Rondinella al fianco dei genitori:
«La cannabis light rischia
di far abbassare la guardia»

INTERVISTA - "Riporta la primavera nel tuo cuore per ricominciare a volare" è il motto dell'associazione di Corridonia che dal maggio 2006 sostiene le famiglie nel contrasto e nella fuoriuscita dalla tossicodipendenza. Alla guida il presidente Gaetano Angeletti che racconta quali sono gli obiettivi e le principali attività ed esprime solidarietà al questore Pignataro e al vescovo Marconi
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Giuseppe Bommarito

di Giuseppe Bommarito

L’Associazione di volontariato “La Rondinella” viene costituita a Corridonia nel maggio 2006, pochi mesi dopo la morte a Perugia di Manolo Angeletti. Trent’anni, Manolo viene stroncato da un’overdose di cocaina fornita da un tunisino sul cui capo pendevano ben sei decreti di espulsione, eppure – come spesso capita in questa Italia in cui tutto sembra andare alla rovescia – era libero di girare e di distribuire tranquillamente la morte ai ragazzi che avevano la “colpa” di essere vittime della droga.
Un dolore immenso per i genitori e la sorella di Manolo, l’angoscia, lo scoramento, il senso di fallimento, la disperazione, i sensi di colpa, poi la decisione dei familiari di Manolo e dei loro più stretti amici di costituire un’associazione che svolgesse a livello provinciale attività di prevenzione e informazione circa le varie dipendenze, soprattutto droga e alcol ma anche il gioco d’azzardo, nonché di sostegno alle famiglie coinvolte in questo dramma contemporaneo sempre più minaccioso e ai ragazzi che disperatamente cercano di uscirne.
Gaetano Angeletti è il presidente dell’associazione “La Rondinella”, che oggi vanta circa 50 iscritti (tra i quali anche l’autore di questa intervista) e che, dopo un trasloco dovuto ai danni del terremoto, ha la propria sede in viale Europa 1 a Corridonia ed è sempre raggiungibile con le seguenti utenze telefoniche: 0733/433705 e 348/2806448.

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Gaetano Angeletti

Gaetano, gli iscritti sono solo di Corridonia?
La maggior parte degli iscritti vive a Corridonia, ma non pochi abitano a Macerata o nei paesi limitrofi. Il problema droga interessa infatti tutta la provincia dalla costa alle zone montane.
Quali sono le attività principali della Rondinella?
La prevenzione e l’informazione, che portiamo avanti tramite incontri con le famiglie e con i ragazzi nelle scuole e nelle parrocchie, laddove vi è sensibilità sul tema. Noi però puntiamo soprattutto sul rapporto con i genitori, che oggi sembrano non solo molto disinformati, ma anche fragili e incapaci di mettere dei paletti ai figli e di esercitare su di loro un efficace controllo. Molti genitori, quando, dopo averlo negato a lungo pure di fronte all’evidenza, sono costretti a prendere atto che il problema esiste anche all’interno del loro nucleo familiare, non sanno cosa fare, come intervenire, e vengono da noi per capire e avere consigli su come gestire la situazione di crisi che improvvisamente si è aperta. Purtroppo, accanto ad atteggiamenti costruttivi e di collaborazione, registriamo sempre più spesso atteggiamenti di delega totale: diversi genitori vengono da noi e ci affidano il figlio o la figlia, pensando che il problema sia risolvibile da noi senza un loro coinvolgimento. Ma questo è un errore clamoroso, perché la caduta nell’abuso e nella tossicodipendenza trova sempre alimento nell’ambiente familiare, per cui occorre un ripensamento dell’intera situazione, occorre la collaborazione dei genitori in tutte le fasi del recupero e della terapia, occorre mettersi profondamente in discussione, occorre un percorso che deve essere corale.
A cosa è finalizzato il rapporto con i genitori, quando riesce ad essere costruttivo?
A capire innanzi tutto l’effettiva gravità della situazione, che spesso è ben più pesante di quanto in casa si pensi, sia come durata dell’uso di sostanze che come varietà di sostanze assunte. Poi, una volta aperto un canale di dialogo anche con il ragazzo o la ragazza, iniziamo un percorso che, nei casi più gravi, porta al ricovero in comunità terapeutica. Noi infatti siamo convinti che, a fronte di una tossicodipendenza che dura da anni, l’unica vera via possibile di uscita sia la comunità per un periodo di tempo adeguato (non meno di due o tre anni). Le nostre comunità di riferimento, con le quali abbiamo canali privilegiati di raccordo, sono San Patrignano e quelle facenti parte della onlus Promozione Umana di don Chino Pezzoli, con sede principale nei pressi di Milano.
Come si sviluppa, in concreto, il dialogo con i ragazzi in fase di dipendenza e le famiglie?
Attraverso una serie di incontri, nel corso dei quali si cerca di capire il grado di consapevolezza degli interessati e l’effettiva volontà di venir fuori dal tunnel mortifero della droga. Abbiamo anche la disponibilità di un ottimo psicoterapeuta, il dottor Francesco Giubileo, che ci supporta in alcuni casi specifici e partecipa a diversi incontri pubblici.
Le famiglie dei ragazzi seguiti dalla vostra associazione si raccordano tra di loro?
Certamente. Non subito, però. Inizialmente prevalgono il senso di riservatezza e la difficoltà a parlare di questi temi, come se fossero problematiche di cui vergognarsi e da trattare solo tra le mura di casa. Poi, quando si capisce che il problema è generale e che la tossicodipendenza è una grave malattia, e non un vizio, allora c’è l’apertura al dialogo e al confronto. Presso di noi funzionano abbastanza bene i gruppi di auto mutuo aiuto, dove si incontrano famiglie con ragazzi già in comunità e famiglie con ragazzi in procinto di andare in comunità. Il dialogo serve a favorire l’inserimento nella struttura comunitaria (che comunque comporta un lutto, in quanto è uno strappo dalla famiglia) e a preparare l’ambiente familiare giusto per il momento del ritorno. Oltre a ciò, stiamo iniziando ad organizzare, sia a Corridonia che a Macerata, incontri tra famiglie di carattere più generale, per consentire lo scambio di informazioni, di esperienze, di consigli, di suggerimenti a proposito dei rispettivi figli. Fare rete è fondamentale per le famiglie, specialmente per la prevenzione. Questa è una battaglia enorme, che nessuno può vincere da solo, anche perché le istituzioni spesso sono latitanti.
nazzareno-marconi-1-325x217A proposito, cosa pensa del recente intervento del vescovo di Macerata Nazzareno Marconi sulla cannabis light?
Ineccepibile e coraggioso, anche perché ha interrotto una incomprensibile prassi di silenzio della Chiesa locale sul tema droghe e sul pericolo gigantesco che esse rappresentano per i più giovani, e, allo stesso tempo, ha dato un forte appoggio al questore Pignataro, che su questo fronte è in prima linea, tanto da attirarsi pure minacce scritte sui muri di diverse località della nostra provincia. Tutta la mia solidarietà al vescovo e al questore.
Perché la questione cannabis light è così importante?
Benchè da anni il Dipartimento nazionale antidroga e l’Istituto superiore della sanità dicano a chiare lettere che la cannabis attualmente in circolazione è devastante per la sua concentrazione di principio attivo THC, che a volte supera anche il 50 per cento, e benchè sia accertato che i maggiori consumatori sono proprio i giovanissimi, portati per natura a trasgredire e a sottovalutare ogni forma di pericolo (specie per i rischi alla salute che possono concretizzarsi a distanza di anni), ancora si punta a legalizzare la cannabis anche ad uso ricreativo. Pure in questa legislatura sono state presentate da due deputati dei 5 Stelle proposte di legge in tal senso, che io ritengo sconsiderate. In questo contesto, di pesante spinta alla legalizzazione, fortemente voluta dalle organizzazioni criminali che prosperano sulle varie droghe, l’operazione cannabis light è chiaramente finalizzata a far abbassare la guardia alle famiglie e alle istituzioni, a preparare il terreno alla legalizzazione generalizzata, a far considerare normale ciò che normale non è, a togliere credibilità a chi si sforza di far prevenzione con i ragazzi a partire proprio dalle canne. Questo è il pericolo, che a me sembra evidente. Ma molti fanno finta di non vedere.

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Pignataro

Ma le canne sono proprio pericolose? Molti minimizzano.
Rispondo limitandomi a citare il caso del povero bambino di due anni ucciso a botte in questi giorni a Milano dal padre, che poi ha confessato di non aver saputo frenare la sua bestiale aggressività perché era strafatto di cannabis. Solo chi è in mala fede può sottovalutare il discorso cannabis (il cui uso anche in età adulta può “slatentizzare” patologie psichiatriche in fase di quiescenza) e l’impatto che essa può avere sui consumatori, specialmente se giovani e con il cervello ancora in fase di formazione. Un ragazzo della nostra provincia di 19 anni, la cui famiglia si è rivolta a noi forse troppo tardi, si trova con il cervello ormai irrimediabilmente devastato proprio e solo a causa delle canne. Provate a parlare con qualunque ragazzo che sia stato in comunità: invariabilmente dirà che è partito dalle canne per arrivare in tempi brevissimi al policonsumo, alla cocaina, all’eroina.
Come vuole concludere questa intervista?
Dicendo che la nostra più grande soddisfazione è riuscire a salvare dalla droga quanti più ragazzi possibile, e comunque anche una sola vita salvata dà un senso a tutto quello che cerchiamo di fare nel nome di mio figlio che non c’è più.



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