Operazione “Canapa light”,
l’attacco di radicali e associazione Coscioni:
«Atto repressivo grave a danno del lavoro»

ANCONA - Durante una conferenza stampa gli esponenti dei due movimenti hanno sostenuto la regolarità delle attività dei negozi finiti al centro dell'indagine e dei sequestri condotti dalla questura di Macerata

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Conf-stampa-Radicali

La conferenza stampa dei radicali Marche e dell’associazione Luca Coscioni

 

di Giampaolo Milzi

«Pateracchio» è stata la definizione più diplomatica usata ieri pomeriggio dall’associazione Luca Coscioni e dai Radicali italiani Marche per criticare l’operazione “Canapa light” portata avanti dalla questura di Macerata.  (2 luglio) dai protagonisti della conferenza stampa svoltasi allo Chalet 4 Fontane a piazza Cavour, ad Ancona, convocata . I promotori dell’iniziativa hanno sparato a zero proprio sul questore di Macerata, regista del blitz anti marijuana light e sulla procura della repubblica di Ancona. Oltre che sul Consiglio superiore della Sanità (CSS), “reo” di una parere-raccomandazione inviato il 7 aprile scorso al segretariato generale del ministero della Salute che l’aveva richiesto e “irresponsabilmente” reso noto proprio a ridosso dell’azione poliziesca. Tra i relatori della conferenza di ieri, l’avvocato Renzo Simonetti, grande esperto giuridico in materia, cofondatore a Roma del portale web www.tuelalegalestupefacentio.it, da anni impegnato in una campagna per la regolamentazione e legalizzazione dell’uso ricreativo e terapeutico della cannabis in Italia. La legge 242 del 2 dicembre 2016 entrata in vigore il 14 gennaio 2017 parla abbastanza chiaro, ha detto: «È stata concepita proprio per avallare la piantumazione e coltivazione di una delle sementi di Cannabis certificate dalla Unione Europea (UE)». Ha aggiunto Mattia Morbidoni, tesoriere dei Radicali Marche: «Non si riesce proprio a capire come, in modo gravissimo, basandosi su un atto di raccomandazione del Css possa essere stata attuata un’operazione repressiva come questa che danneggia la vita e soprattutto il lavoro di tantissime persone nelle Marche e in Italia. Oggi (ieri, ndr) − ha continuato − siamo  qui per dimostrare che le attività commerciali colpite a Macerata e ad Ancona sono tutte in regola», nonostante ci siano tre lavoratori accusati di detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio. In verità la legge del 2016 prevede che non è più necessaria alcuna autorizzazione per la semina di varietà di canapa certificate con contenuto di Thc al massimo dello 0,2%. Inoltre, la percentuale di Thc nelle piante analizzate potrà oscillare dallo 0,2% allo 0,6% senza comportare alcun problema per l’agricoltore. Dall’entrata in vigore della legge si stima che in ogni zona d’Italia sia presente una filiera completa (dalla coltivazione, alla produzione dei prodotti a base di canapa light alla vendita) forte di un giro di affari di 40 milioni annui, con 650 negozi. Nelle Marche (dati recenti), sono presenti otto punti vendita, un negozio in ogni capoluogo tranne Fermo. Quattro invece nella provincia di Ancona. «Ma tant’è – ha aggiunto il radicale Renato Biondini e membro dell’associazione Coscioni Marche -. Purtroppo prendiamo atto che la questura di Macerata e la procura di Ancona non hanno tenuto conto di tutti questi elementi consolidati».
Un passo indietro. Il questore di Macerata, Antonio Pignataro, all’indomani del blitz – che aveva portato al sequestro di oltre 13 chili di marijuana light, e di 24 piantine in un growshop di Ancona ed alla chiusura di due negozi gemelli a Macerata – aveva spiegato che si era avvalso dell’applicazione del’art 100 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, avallato poi dalla procura di Ancona. A dar manforte al questore, l’atto del CSS ora nell’occhio del ciclone – guarda un po’ reso noto proprio il 21 giugno – il quale raccomanda “che siano attivate, nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione” le misure per bloccare gli spinelli leggeri. “Non si può escludere la pericolosità del Thc anche a basse concentrazioni in alcuni soggetti”. Con buona pace del principio di Thc al di sotto del 0,2 – 0,6%. «Per fortuna l’attuale ministra della Salute Grillo ha preso le distanze dalla posizione del Css, definendola “troppo forte” − ha sostenuto Biondini −, precisando che della questione di occuperà il Governo. Tra l’altro la ministra ha già chiesto un parere all’Avvocatura dello Stato». Di più. «Se c’è un elemento di poca chiarezza nella legge, è al comma 2 dell’art 2, a proposito delle destinazioni dei prodotti – ha detto l’avvocato Simonetti –. Ma proprio il ministero per le Politiche agricole, in una circolare del 22 maggio scorso, aveva stabilito che “si presume che influorescenze della canapa indiana pur non essendo menzionate dalla legge rientrano nell’art 2” e quindi sono commerciabili».
Frattanto il gip di Ancona non ha convalidato gli atti di sequestro attuati nei tre negozi né l’arresto che aveva colpito il 51enne che si trovava nell’esercizio di Ancona al momento del controllo della mobile. È ancora in attesa di un eventuale dissequestro di prodotti a base di gabbani light il titolare di un grow shop di Monsano, che aveva subito un sequestro subito dopo l’operazione di Macerata e Ancona.
Alla conferenza stampa di ieri, erano presenti, oltre ad Enzo Gravina, segretario radicali italiani Marche, anche Leonardo Bronsini, agronomo di Jesi, e Luca Marola, esperto in materia di Parma, dal maggio 2017 impegnati nel progetto “Easy Joint” per la concreta attuazione in Italia di una politica antiproibizionista. «L’Italia è rimasta indietro in questa materia di 60 anni − hanno affermato − e sta velocemente recuperando terreno». L’impegno comune dei conferenzieri di oggi? Affinché venga rispolverato il progetto di legge popolare per la legalizzazione della cannabis che giace dimenticato in parlamento, forte di 69mila firme; che venga al più presto convocato a Roma a livello governativo un tavolo tra i massimi esperti in materia per una ulteriore modifica del tutto chiarificatrice della legge del 2016 sulla cannabis light e sulla possibilità di libero consumo di prodotti da essa derivati con basse soglie di principio attivo.

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