di Giuseppe Bommarito *
Non è facile districarsi nel ginepraio della cannabis cosiddetta “light”, caratterizzato sino ad oggi da una serie di sequestri, chiusure amministrative dei punti vendita, ricorsi, pronunzie difformi persino della Corte di cassazione, talune riguardanti anche le operazioni effettuate dalla Questura di Macerata, che, prima in Italia, si è meritevolmente mossa in questo campo minato contro interessi economici enormi e a tutela soprattutto degli adolescenti e dei ragazzi più giovani, mostrando coraggio, intuito investigativo e la volontà di non piegarsi ai veri poteri forti che oggi comandano nel nostro Paese. Alcune cose – a prescindere dalle problematiche giuridiche esaminate successivamente – tuttavia appaiono chiare e indiscutibili già in prima battuta.
Il questore Antonio Pignataro, con il capo della Squadra mobile Maria Raffaella Abbate dopo la chiusura di una tabaccheria di Civitanova
La prima. Il fiorire dei negozi che, con il brand trionfante della fogliolina verde, commercializzano in maniera ammiccante e spesso in franchising la cannabis light (sotto forma di semi di canapa, filtri per tisane, bevande energetiche, profumazioni, cosmetici, il tutto ufficialmente a basso dosaggio del principio attivo denominato Thc) riduce nei giovani, se non annulla del tutto, la percezione del rischio nell’uso della cannabis in genere, intesa come sostanza drogante, nell’ambito di un disegno più vasto, sostenuto da fortissimi appetiti economici, di normalizzazione e legalizzazione della stessa cannabis ad uso ricreativo, palesemente perseguito in tutti i modi da anni in Italia.
La cannabis light, infatti, non è solo un affare dalle proporzioni enormi in sé e per sé (e già solo questo dato spiega bene le scritte ingiuriose e minacciose contro il questore Pignataro apparse in diverse località della nostra regione). Basti pensare che il fatturato annuo ipotizzabile di questi negozi dovrebbe superare i 50/60 milioni di euro, tanto che nell’arco di pochi mesi hanno aperto i battenti in Italia quasi 700 punti vendita, esercizi che peraltro richiedono un investimento iniziale abbastanza impegnativo, sui ventimila euro, cifra non certo alla portata di tutti e tale quindi da far ipotizzare un più che probabile interessamento alla vicenda della criminalità organizzata.
La cannabis light è anche però un tassello rilevante di una furba strategia di marketing commerciale per far ritenere normale ciò che normale non è, un disegno evidente volto ad incentivare, in prospettiva della voluta legalizzazione, il consumo della cannabis in quanto tale. In questa ansia di normalizzazione si è arrivati persino, senza paura del ridicolo, a pubblicizzare di recente la cannabis terapeutica per cani e gatti che soffrono di stress da abbandono. Una strategia di spinta all’uso delle canne che funziona ed è quindi altamente pericolosa. Non a caso, andando con le altre associazioni di volontariato nelle scuole a fare prevenzione, e quindi parlando contro tutte le droghe in circolazione, cannabis compresa, ci sentiamo regolarmente chiedere, con il tono furbetto e di sufficienza dei ragazzini che pensano di saperla lunga, anche se in realtà non sanno nemmeno di cosa parlano: “Ma quanto la fate complicata: se la cannabis fa così male, come mai da un po’ di tempo qui in Italia ne è stata legalizzata la vendita?”
La seconda considerazione riguarda la scarsa attenzione che la classe politica e la magistratura hanno dato alla vicenda, e in particolare al parere espresso nell’aprile 2018 dal Consiglio Superiore di Sanità (il massimo organo di consulenza scientifica del Ministro della Salute), che sulla questione, per quanto di sua competenza, si è così espresso: “…la pericolosità dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa in cui viene indicata in etichetta la presenza di cannabis o cannabis light, non può essere esclusa”, e pertanto la vendita di tali prodotti “pone certamente motivo di preoccupazione”, al punto che si “raccomanda che siano attuate, nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti”.
Invero, nonostante queste parole scientificamente ineccepibili e così chiare, il ministro della Salute Giulia Grillo, medico ed esponente dei 5 Stelle, è rimasta sul punto in religioso silenzio e in totale inerzia, senza fare nulla per bloccare questo boom di negozi di cannabis light, sebbene lo stesso fondatore del movimento Beppe Grillo, dopo anni di sconcertanti bufale pseudoscientifiche diffuse ai quattro venti, abbia di recente e solennemente sottoscritto l’auspicio che “la scienza sia riconosciuta come valore universale dell’umanità, che non può essere distorto a fini politici” (per poi – in verità – dimenticarsene subito, arrivando, seguito a gran velocità da un disegno di legge presentato dal senatore 5 Stelle Matteo Montero, a rilanciare addirittura l’esigenza di legalizzare in toto la cannabis ricreativa in totale contrasto con le valutazioni scientifiche dello stesso Consiglio Superiore di Sanità ed anche del Dipartimento Nazionale Antidroga, che da anni e senza incertezze ritengono la cannabis attualmente in circolazione semplicemente devastante per il sistema cerebrale degli adolescenti, i maggiori consumatori di questa sostanza).
Se sulla vicenda cannabis light delude profondamente l’atteggiamento dei pentastellati, che dire del Pd, che di recente ha svolto a Civitanova un preoccupato convegno sulla sempre maggiore diffusione della droga tra i giovani senza pronunziare la benchè minima parola critica e autocritica sul disastro creato dai negozi, spuntati come funghi, che vendono impunemente la cannabis cosiddetta legale? Ma lo sanno nel Pd che la cannabis pseudolegale sgonfia di fatto ogni argomentazione rivolta ai ragazzi contro la cannabis oggi venduta nelle piazze fisiche e virtuali di spaccio, e che da sempre la cannabis svolge funzione di sostanza apripista verso altre sostanze, come la cocaina, l’eroina, le decine di droghe sintetiche da sballo?
Eppure qualcosa sul punto il Pd avrebbe dovuta dirla, se non altro perché è proprio ad un esponente del governo Gentiloni, tale Andrea Olivero, proveniente dall’associazionismo cattolico, che si deve la famosa circolare 22 maggio 2018 sulla cui base è stata poi ritenuta legittima la commercializzazione dei prodotti derivati dalla cannabis light. Tale circolare di Olivero, allora vice ministro delle politiche agricole e forestali, riguardante ufficialmente la legge 2 dicembre 2016 n. 242 (disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa), è infatti il perno della fase esponenziale di crescita del grande business della cannabis impropriamente definita legale, frutto avvelenato dell’ultimissimo periodo di vita del governo Gentiloni, all’epoca già dimissionario e rimasto in carica sino al 1° giugno 2018 in teoria solo per il disbrigo degli affari correnti.
A dire il vero, e per completezza, bisogna aggiungere che, almeno sino ad oggi, nemmeno sul versante del centrodestra si sono colti segnali tali da indicare una volontà di intervenire nel settore della cannabis cosiddetta light, a difesa del quale è già scattato sui media, come da prassi collaudata, il ricatto occupazionale a proposito dei dipendenti dei negozi che rischierebbero il posto se gli esercizi fossero costretti a chiudere. Nel decreto sicurezza, fortemente voluto dalla Lega e di recente approvato, non si dice nulla infatti in materia, così come peraltro – aggiungo facendo una piccola digressione dal tema specifico qui trattato – mancano del tutto, benchè più volte promesse, norme tese a disinnescare l’attuale agghiacciante impunità sostanziale dello spaccio minuto, anche se reiterato più volte.
Intanto, mentre la politica si sta sostanzialmente disinteressando della questione, la Cassazione in sede cautelare penale continua ad emettere, anche a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, provvedimenti del tutto contraddittori sulla questione della produzione e commercializzazione dei prodotti finali della pianta di cannabis, e quindi sui negozi di cannabis light. Due orientamenti di carattere opposto si stanno ferocemente contrapponendo tra gli “ermellini” della Cassazione. Il primo, assolutamente condivisibile per chi scrive, poggia sulla considerazione che, in base alle leggi vigenti, la coltivazione di sostanze stupefacenti è illecita a prescindere dalla concentrazione di principio attivo (il Thc nella cosidetta cannabis light), sicchè la legge n. 242/2016 sulla coltivazione e sulla gestione della filiera agroindustriale della canapa, e tanto meno la circolare dell’ineffabile vice ministro Olivero, non possono sopravanzare tale divieto normativo, per cui chiunque commerci derivati dalla cannabis, in qualunque percentuale sia presente il Thc, commette un reato ed è penalmente perseguibile. Altre pronunzie (che, in particolare, hanno colpito i sequestri eseguiti dalla Questura di Macerata), invece, ritengono che proprio la legge n. 242/2016, interpretata alla luce della famigerata circolare di cui sopra, consentirebbe la coltivazione e quindi anche la commercializzazione dalla cannabis, purchè il principio attivo rimanga sotto la soglia dello 0,6%.
Insomma, la Suprema Corte di Cassazione, che una volta era uno dei pochi punti fermi nell’interpretazione delle leggi, nell’arco di pochi mesi ha manifestato sulla questione un’oscillazione paurosa, tanto che si aspetta a breve, per trovare una difficile sintesi ed una composizione del clamoroso contrasto attuale, una pronunzia delle Sezioni unite, la sezione più autorevole della stessa Corte, chiamata a pronunciarsi su questioni di particolare importanza decise in maniera disomogenea dalle altre sezioni. Nell’attesa, seguitiamo tranquillamente a farci prendere in giro da chi commercializza cannabis light per profumare gli ambienti e, giacché ci siamo, beviamoci pure una tisana alla cannabis mentre osserviamo, felici e contenti, i filmati sul festival di Sanremo dove quest’anno si è dato tranquillamente spazio ad una canzone che di fatto inneggia all’ecstasy.
* Presidente dell’associazione “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”
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Che la cannabis, leggera o non leggera (!!!), facesse male o molto male, lo si sapeva benissimo già più di quarant’anni fa, non ci portiamo più in giro, a meno che non vogliamo peccare o esagerare con l’ipocrisia a buon mercato o con certa ideologia che si tiene su, oramai, come un castello di carta. La cannabis “odierna”, poi, mischiata a chissà quali altre schifose sostanze, fa ancora molto più male. Sono passati quarant’anni e più, si è sempre parlato maggiormente di droghe, convegni su convegni, dobbiamo fare qualcosa, agire, no alla droga, la repressione non serve a niente (quale repressione poi è proprio un mistero!!), ed oggi ci troviamo con un consumo allucinante e con una situazione a dir poco drammatica. Forse qualcuno ha sbagliato qualcosa, che ne dite..oppure non ci ha capito proprio un bel niente. Riflettete signori, soprattutto coloro che la pensano in un certo modo, ma, come al solito, non davanti allo specchio del bagno, anche se quello, molte volte, serve per..truccarsi!! gv
A beneficio di tutti i lettori, il parere del Consiglio Superiore della Sanità richiamato nell’articolo, organo tecnico-consultivo del Ministero della Salute e pertanto estraneo a competizioni politiche, è integralmente leggibile al link
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2761_allegato.pdf
Il silenzio generale su questo tema è davvero assordante e le considerazioni di Giuseppe non possono che essere sposate appieno, apparendo surreale la libera vendita di prodotti contenenti THC (neppure considerati alla stregua di medicinali!) surreale.
Per questo, vi è l’auspicio che, per il bene di tutti, le Sezioni Unite decidano al più presto e nel senso sperato.
Rinnovata solidarietà all’opera del questore Pignataro.
Nicola Lalla – Segretario Generale Provinciale COISP
Con due bicchieri di vino abbiamo più o meno lo stello livello di euforia di uno spinelletto. Con un fiasco non so che paragone fare con la droga ma sicuramente c’è. Considerate l’alcool un rischio, lo è pure la droga. Ah, l’overdose c’è anche con il vino, si chiama coma etilico. Avete o cercate di risolvere il problema dell’alcool, bene usate lo stesso sistema con la droga, qualcosa verrà fuori. Con il proibizionismo nell’alccol si è visto che peggiora la situazione, con la legalità per me non cambia niente? Con la droga degli esperimenti sono stati fatti, quali sono i risultati? Li conoscete? Dovreste visto che spesso si ritorna sulla droga. Per me avete solo un ‘aspirina per combatte l’ebola. Intanto si taglino i fondi a tutti quelli che ci mangiano legalmente e il risultato statisticamente sapete almeno qual’è? Io no, ma se voi sì, pubblicatelo. Fateci sapere cosa funziona, cosa non funziona e se funziona. Il metadone come lo considerate? Viene dato a consumo perenne nei nostri Sert, tanto vale farsi della roba buona, non tagliata e che fa meno male del metadone magari. Ma di che parlate, a chi parlate, chi vi ascolta e chi no, cominciate da questo e poi cercate di far passare ai giovani e meno giovani il mal di vivere. Magari spiegate perché nel Vietnam spesso i soldati americani tornavano distrutti dalla droga? Perché li c’era? Vero anche questo…. e poi. Ma vi rendete conto dell’ enorme assurdità di cui parlate, la lotta alla droga…..
La differenza tra il vino e la droga sta nel fatto che del vino, che è conosciuto da migliaia di anni, si sa tutto e inoltre l’organismo umano lo sopporta bene perché vi si è abituato, mentre degli effetti della droga si sa poco e inoltre l’essere umano non vi si è abituato.
Se, nonostante le “verita scientifiche”acclarate, quello che leggiamo tutti i giorni sugli “arresti?”, gli sforzi innegabili dei tutori dell’ordine, in primis il questore Pignataro, i drammi recenti, solo per restare in ambito locale, i problemi degli immigrati senza lavoro né sistemazioni decenti, l’Hotel House ecc. nessuno, parlo dei politici di ogni ordine e grado, si degna di legiferare in maniera precisa, così da non permettere più ai giudici di emettere sentenze palesemente contrastanti fra loro, io sono arrivato alla conclusione che tutti gli encomiabili sforzi di quanti si battono per impedire questa deriva fisica e morale, Giuseppe fra questi, la cosa sia destinata a peggiorare, e come ho scritto tempo addietro, non posso non pensare che molti occhi restino chiusi o guardino strabicamente, perché la droga, light o peggio, contribuisce, in aggiunta ai forti introiti della criminalità, anche, purtroppo, al Pil del Paese, dove le decine di partitini in cerca dello zero virgola zero di voti, tutto pensano tranne affrontare e risolvere non solo questo tipo di problemi. Questo concetto lo trovai decenni fa sulla rivista “Il Carabiniere”, quando, secondo l’articolista, in Italia, la droga faceva girare cifre pari a quelle del Gruppo Fiat. Non per questo però si può abbassare la guardia, anzi. Mi chiedo se non sia il caso, ammesso che non sia stato tentato o fatto, di far partecipare i responsabili delle varie associazioni, a delle trasmissioni televisive nazionali, dove siano presenti però segretari di partito, non i portaborse dei loro portaborse, per chiedere loro quando e che cosa faranno per fermare o rallentare questi traffici di morte, così da rendere edotti gli elettori su chi, fra tanti, cerca veramente di fare qualcosa in tal senso.
Se il proibizionismo non ha portato a niente, legalizzarla non si sa cosa potrà portare.
Siamo abituati all’ignavia. Come minimo, ma proprio minimo minimo, questi esercizi commerciali dovrebbero essere gestiti da chi ha un titolo in Erboristeria, se non un titolo in Farmacia.
Ho detto proprio il minimo necessario per poter continuare ad essere un negozio dove si propone un’erba dalle proprietà curative.
L’ignavia è proprio una bruttissima bestia!
Per D’Arpini. Sono d’accordo e aggiungo che dal momento che gli adempimenti di chi apre un’attività sono numerosissimi, nella licenza di questi negozi dovrebbero essere riportati, in evidenza, i riferimenti alla canapa. Inoltre ogni confezione in vendita dovrebbe riportare le stesse indicazioni presenti sulle sigarette: il fumo uccide.
Una cosa è sicuramente vera. Si lascia passare un pericoloso messaggio per i giovani. Se la cannabis light è possibile trovarla nei negozi allora è lecita indipendentemente dal valore del Thc. Poi portare a paragone l’abuso dell’alcol come male peggiore rispetto all’uso della cannabis è una banalizzazione senza senso. Bisogna combatterli entrambi. Certo è che il Ministro della Repubblica Olivero disattendendo le valutazioni del Consiglio Superiore di Sanità con la sua circolare ha dato il via alla proliferazione di questi negozi che mandano messaggi rassicuranti e ingannevoli con profitti enormi. Non ci rimane che aspettare la decisione delle Sezioni unite sperando che non faccia desistere anche il Questore Pignataro dal continuare la sua coraggiosa iniziativa.
Per Giovanni
In realtà sono pendenti presso la Procura di Macerata circa 5 o 6 procedimenti connessi ai negozi di cannabis light, quasi tutti pervenuti, per le misure cautelari adottate (i sequestri della merce), in cassazione.
Ci sono poi altri procedimenti analoghi pendenti in altre Procure, che pure stanno arrivando o sono arrivati in cassazione.
E’ quindi prevedibile che le Sezioni Unite dicano quanto prima una parola chiara sul punto, fermo restando che chi dovrebbe intervenire, anzi, avrebbe già dovuto intervenire, è il legislatore, che invece non lo fa, disinteressandosi completamente del problema, che a mio avviso è gravissimo.
Ma tanto, come si dice, tocca sempre ai figli di qualcun altro, quindi lasciamo pure che questo schifo legalizzato e questa infamia consentita, e ordita ai danni di ragazzini che ancora puzzano di latte, vadano avanti impunemente!
Per Bommarito. Credo che il recupero della sinistra non possa prescindere (anche se ciò non basta) da una posizione chiara e netta nei confronti della droga. La sinistra non si può comportare così come invece fece Karl Marx, il quale disse, a chiare lettere: “Proletari di tutto il mondo UNITEVI”, anziché “Proletari di tutto il mondo “Proletari di tutto il mondo UNIAMOCI!” (è noto che Marx, per un certo periodo in pessime condizioni economiche, fosse aiutato economicamente da Engels).
Un goccetto di vino piace a tutti quindi non è un problema però prima di commentare sarebbe opportuno leggere e capire.
La demonizzazione delle sostanze può aiutare ma può anche far perdere di vista il vero problema: la dipendenza del soggetto dalla sostanza… Se la cannabis (vedi il meritorio ritorno della coltivazione della canapa e lo sviluppo della filiera agroindustriale) ha degli usi positivi, utili e redditizi perché occultarli? Se i ragazzi vogliono provocare o cercare scuse, possono citare anche (a sproposito) la cannabis terapeutica (di cui occorre favorire e organizzare più e meglio produzione e utilizzo superando troppi pregiudizi)… Le furbate e le ipocrisie, come le bustine ad uso di collezionismo il cui contenuto se ne va in fumo, sono troppo diseducative per chi, piccolo o grande, ha bisogno di chiarezza e responsabilità; e troppo poco o nulla attrattive per chi cercasse alternative (realmente droganti) al mercato paraclandestino-criminalmafioso. Può darsi che questi negozi sottraggano, almeno all’inizio, qualcosa al mercato di cui sopra (alcune ricerche lo ipotizzano); forse spingono di fatto qualcuno dei clienti a provare qualcosa di forte al di fuori; di certo attraggono molti che cercano una cannabis light; di sicuro se continua l’incertezza normativa non sono destinati ad alcun boom.
Caro Gianni,
prima, quando andavamo nelle scuole, ci sentivamo dire dai ragazzini che volevano giustificare in qualche modo il loro (ovviamente non dichiarato) consumo di cannabis: “Se la cannabis può essere usata per fini terapeutici, come può far male?”.
Giustificazione assurda perchè comunque un qualsiasi medicinale non può essere usato a fini ricreativi, senza prescrizione medica e al di fuori dei dosaggi specificamente previsti.
Ora questa giustificazione ridicola e puerile è venuta meno e ci sentiamo dire: “Se la cannabis è ormai legalizzata, visto che si può vendere in mille negozi sparsi per tutta Italia, è evidente che non può causare male alcuno”.
Anche questa è una giustificazione ridicola, però testimonia che si sta raggiungendo l’obiettivo che si sono prefissi i grandi gruppi imprenditoriali, sia quelli legali che quelli malavitosi, che stanno puntando tutto sull’enorme affare economico della legalizzazione della cannabis in quanto tale e a fini puramente ricreativi: normalizzare l’idea e il concetto della cannabis, delle canne, far passare la convinzione che non sia nociva e che possa essere tranquillamente usata da chiunque.
Peccato che la cannabis attualmente disponibile abbia una concentrazione del 50-60%, che sia devastante per il sistema cerebrale degli adolescenti e che spesso e volentieri, in una logica come quella attuale di policonsumo, svolga la funzione di sostanza apripista verso altre sostante ancora più devastanti.
Giuseppe, studiare e preoccuparsi delle sostanze è indispensabile (e aiuta a capire la complessità della questione: la cannabis dei negozi ad esempio non è paragonabile a quella venduta per strada; non è la cannabis a causare il passaggio alle altre sostanze e non tutti coloro che usano la cannabis diventano eroinomani e cocainomani ma, risalendo a posteriori, il consumo e la frequentazione della cannabis, per di più nel contesto del policonsumo che tu giustamente sottolinei e del mercato illegale e incontrollato, in particolare nei giovanissimi, favoriscono o almeno preludono all’uso di altre droghe) e tuttavia occorre pigliare di petto il bisogno e il disagio che finiscono per imprigionare il soggetto nell’oggetto, nella sostanza, fino alla dipendenza. La spropositata concentrazione di THC, che tu sempre ricordi opportunamente, è un problema in più, certo, ma non è il problema. Non penso alla stucchevole tiritera sulla prevenzione contrapposta alla repressione; piuttosto ad un lavoro culturale ed educativo che si accompagni a strategie e politiche diverse dal fallimentare proibizionismo nelle varie salse. La legalizzazione, che poi ha tante versioni, non può certo consistere in una rete distributiva residuale (tipo i negozietti in questione) di incerta regolazione normativa e amministrativa, che finisce per fungere, oltre le intenzioni, quasi da pubblicità a quel mercato illegale-paraclandestino delle droghe che, nel sistema proibizionista, prospera e arricchisce le mafie e la criminalità grazie ai clienti-consumatori e alle istituzioni che non si confrontano su vie politiche e legislative diverse.
Caro Gianni,
cominciamo a dire che in Italia, quanto alla cannabis, non esiste di fatto alcun proibizionismo (per cui non si può dire che esso sia fallimentare, visto che non c’è, se non sulla carta), visto che è stato pressochè completamente depenalizzato lo spaccio minuto.
Sono invece d’accordo con Te nel dire che non necessariamente dal consumo di cannabis si passa al consumo di altre sostanze, anche se oggi questo passaggio è molto più ricorrente, proprio perchè dalla prima sostanza di avvio (la cannabis, appunto) si passa velocissimamente ad un uso e consumo di tutte le altre sostanze disponibili sul mercato (il policonsuumo, che ormai è la regola, specialmente per i ragazzi).
Quanto al problema delle legalizzazione in genere della cannabis, ero e resto totalmente contrario, e non solo per l’alta concentrazione del principio attivo THC, ma anche e perchè non ridurrebbe affatto i guadagni illeciti delle varie mafie, che prospererebbero nel mercato nero e grigio della stessa cannabis e saprebbero orientare comunque i consumi verso altre sostanze (come avvenuto negli USA, dove ormai la sostanza di avvio per molti adolescenti è l’eroina e dove si registra da qualche anno un’epidemia spaventosa di morti adolescenziali da overdose di eroina).
Caro Giuseppe, mi riferivo comunque al fallimento in generale del proibizionismo (che vige anche sulla cannabis benché con modulazioni differenziate; e d’altronde le iniziative di Viminale e polizia sulla cannabis light stanno bene dentro un quadro proibizionista), che ha uno dei suoi limiti proprio nella distanza incolmabile tra ciò che promette e pretende e ciò che riesce, con più o meno repressione penale, a garantire. Anche nell’antiproibizionismo non c’è una versione sola, tanto è vero che da sempre si discute (e richiamo la tua osservazione sugli Usa, dove, aggiungo, si registra un boom di oppioidi sintetici che svela un male esistenziale prima che sociale e che si regge su una rete mista legale-illegale) sulla utilità e opportunità di una legalizzazione parziale (della cannabis, ad esempio) rispetto ad uno scenario in cui tutte le droghe siano sotto il controllo delle autorità. Per l’Italia mi accontenterei, si fa per dire, di un approccio più profondo e insieme più realista.