Il primario di Malattie infettive:
«Dati in miglioramento al Covid hospital
ma non siamo fuori pericolo»

CORONAVIRUS - Alessandro Chiodera dirige il reparto di Camerino. «Lunedì saranno inaugurati a Macerata i 45 posti letto di area medica per pazienti Covid nella palazzina ex Malattie Infettive. La soluzione ideale è quella dei 90 posti di terapia intensiva a Civitanova»

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Il Covid hospital a Camerino

 

di Luca Patrassi

Alessandro Chiodera è da una ventina di anni il direttore dell’unità operativa di Malattie Infettive di Macerata, un punto di riferimento: uno specialista di formazione milanese, primo incarico nel settore a Brescia. In azione sul campo ha trascorso 38 anni, ma «mai visto quello che sta accadendo ora. Anche l’influenza suina del 2009 ha avuto conseguenze lontane anni luce da quelle che stanno derivando dal coronavirus». Chiodera, in questi giorni, è in azione nella struttura ospedaliera Covid di Camerino.

«Qui siamo ben organizzati, il lavoro fila via liscio pur con l’evidenza legata al fatto che di fronte abbiamo il Covid 19 con tutte le insidie collegate. Di positivo c’è che da un paio di giorni c’è una minor pressione sui ricoveri, c’è qualche posto libero, pochi. Sono pieni i 18 posti letto di terapia intensiva, poi disponiamo di 8 posti letto in semintensiva e di 51 nell’area medica: il personale è motivato ed è un piacere vederlo lavorare con passione per un obiettivo comune».

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Alessandro Chiodera

Quali sono le prospettive?

«Lunedì saranno inaugurati a Macerata i 45 posti letto di area medica per pazienti Covid nella palazzina ex Malattie Infettive chiusa, con troppa fretta, nel 2014. La soluzione ideale è quella dei 90 posti di terapia intensiva a Civitanova, un piano unico, una struttura unica per tutti i malati che avranno la possibilità di essere meglio assistiti: peraltro le terapie intensive viaggiano tutte  oltre il limite dei posti, non sempre si riesce a rispondere a tutte le esigenze».

Il quadro clinico in corsia…

«Abbiamo anche pazienti relativamente giovani, sui 50 anni. Applichiamo i protocolli nazionali ed anche un protocollo sperimentale con risultati apparentemente favorevoli. Apparentemente nel senso che sono casi che andranno poi verificati quanto agli esiti. Il problema è che i protocolli si riferiscono a farmaci che produce una sola ditta e che sono richiesti in tutto il mondo, dunque l’azienda è sotto pressione con la produzione per poter rispondere all’esplosione della domanda».

Si può fare qualcosa sul fronte della prevenzione, i tamponi per esempio?

«I tamponi? Abbiamo tre squadre per tutta la provincia e fino a qualche tempo fa dovevamo coprire anche Fermo. E’ chiaro che se andiamo a Pioraco, poi non riusciamo ad arrivare a Civitanova. Un miglioramento si sta registrando con l’iniziativa dei tamponi drive che consentono di avvicinare più persone. Per il resto penso di sollecitare i medici di base a muoversi sui pazienti già al manifestarsi dei primi lievi sintomi, il trattamento precoce può essere decisivo. Ora i dati sono appunto un po’ migliori ma non illudiamoci di esser fuori dal pericolo perché i casi vecchi possono maturare tutti insieme».

Una volta finita l’emergenza, cosa pensa bisognerebbe fare per mettere a frutto l’esperienza maturata?

«Di sicuro non smantellerei i reparti di Malattie Infettive, sosterrei la rete nazionale degli infettivologi».

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