La sanità, ai tempi del coronavirus, torna ad essere declinata nei modi e nei tempi del diritto. Ad inserirsi nel dibattito in corso lanciato da Cronache Maceratesi (leggi l’articolo), proponendo una originale chiave di lettura, è l’avvocato maceratese Renzo Tartuferi.
Ecco il suo intervento integrale:
«L’attuale dibattito anche locale, da ultimo sollecitato dall’intervento di Alessandro Maccioni, direttore della nostra Area Vasta – cui non può non riconoscersi un tributo di gratitudine verso un impegno infaticabile in una fase in cui, per coloro che rivestono a tutti i livelli responsabilità esponenziali, gli “oneri” prevalgono sugli “onori” – induce ad alcune riflessioni.
La sanità, come è sotto gli occhi di tutti, è in questo momento l’attore principale di questa situazione. Come dimostra la cronaca di questi giorni terribili. Tutti assistiamo agli sforzi eroici degli operatori del settore sanitario e, come spesso accade nel nostro Paese, prevale in questo momento – con la gratitudine e l’ammirazione, non sempre memore nei tempi di “bonaccia”, superata la “tempesta” – un atteggiamento di retorica santificazione verso il sistema sanitario ed i suoi operatori. Quello stesso sistema sanitario – ora diventato il “nostro” sistema sanitario – fino ad oggi troppo spesso trattato con la logica del “mio”, da un certo atteggiamento accusatorio teso a perseguire, a livello quasi industriale, le responsabilità degli operatori e delle strutture sanitarie, senza tenere conto del senso del “caos” e del “limite” cui deve, spesso, farsi fronte in questo cruciale settore. Proprio in questo momento, ove tutti siamo appartati e abbiamo tempo per riflettere, gli autori si domandano quale sia l’impatto della situazione emergenziale che stiamo vivendo sul campo della responsabilità sanitaria. Il sistema della responsabilità sanitaria poggia su due pilastri: da una parte la legge Gelli-Bianco (una legge di sistema pur non interamente in vigore mancando il pilastro della assicurabilità) dall’altro la giurisprudenza che delinea un ambito specifico di responsabilità che si disallinea dai canoni della responsabilità civile classica. Attualmente lo stato della tutela giurisprudenziale in materia di responsabilità sanitaria è rappresentato dal cosiddetto decalogo di San Martino, costituito dalle 10 sentenze della Cassazione Civile emesse tutte in data 11 novembre 2019.
Come potrà incidere la sopravvenuta crisi pandemica che attualmente stiamo vivendo su tale sistema di responsabilità? Se il canone di diligenza della responsabilità sanitaria si fonda sulle linee guida e sui protocolli medico-scientifici, va osservato che in questo momento storico ogni Regione ha elaborato dei propri protocolli che derogano i protocolli generali di ricezione ed intervento sui pazienti. Esiste un vero e proprio stravolgimento dei protocolli e delle linee guida che, fino ad oggi, hanno costituito il parametro sulla base del quale valutare il comportamento esigibile dell’azienda sanitaria e degli operatori di essa. I parametri di riferimento sono stravolti. Le procedure di accesso alle strutture sanitarie sono radicalmente modificate, è modificata l’organizzazione del personale, viene ampliato il novero dei soggetti attori all’interno del sistema sanitario nazionale (si pensi ai medici e paramedici anche pensionati richiamati). Si assiste a un dirottamento del personale addetto reparto verso altri reparti. Vi è una vera a propria carenza “planetaria” di presidi sanitari e dispositivi di protezione le cui disponibilità erano parametrate ai tempi di “pace” e si assiste ad incredibili fenomeni internazionali di accaparramento, blocco alle frontiere, vere e proprie sottrazioni degli stessi, tutti comportamenti che collidono con i principi del diritto delle genti e del “fair trade”. Tutto ciò non può che modificare il profilo di analisi delle condotte poste in essere da parte delle strutture e degli operatori sanitari, non potendosi pensare che ad una modifica del contesto di valutazione di della esigibilità delle condotte. Vengono coinvolte in questo sforzo le strutture sanitarie private, i medici specializzandi vengono adibiti a funzioni primarie, gli infermieri e gli operatori socio-sanitari sono particolarmente esposti come pure i medici di base. Questi ultimi non possono accedere al domicilio e ciò non può che costituire una modifica delle facoltà cliniche di accesso, anamnesi e diagnosi al paziente, che sono più limitate rispetto a quelle ordinarie. Per non parlare dello stravolgimento dell’accesso ai pronti soccorsi. I terminali del servizio sanitario nazionale, inoltre devono assicurare il trattamento delle patologie ordinarie in una situazione di grande stress delle strutture sanitarie e di sovraccarico emergenziale.
Nel mentre si santifica un sistema ed una categoria professionale con un tifo da stadio, non può non considerarsi che questo stravolgimento del sistema deve comportare una modifica dei profili della responsabilità sanitaria (secondo la classica ripartizione nella responsabilità della struttura sanitaria e del medico) in tema di onere della prova, allegazione e profili causali, da valutarsi sulla base ai criteri elaborati dalla prassi dei Tribunali, spesso in termini di oggettivizzazione della responsabilità, o quanto meno impossibilità di provare che si è fatto tutto quanto la situazione concreta consentiva di fare. In questo momento storico, secondo i più autorevoli commentatori di settore, si reputa che questa situazione di emergenza dovrà essere considerata nella ricostruzione dei nessi di causalità: essa costituirà un parametro a favore di una prospettiva assolutoria nell’ambito di un’attenuazione dell’imputazione soggettiva e di contesti di valutazione benevola, anche inesplorati, che valorizzino il momento emergenziale in cui sono difficili anche le cose facili e in cui le contingenze nel caso concreto non possono non incidere sulla valutazione della esigibilità della condotta doverosa. Inoltre, bisognerà anche valutare come la violazione delle misure di contenimento e le norme ad esse funzionali possano avere una rilevanza causale o concausale a carico del paziente che violi l’obbligo di quarantena, e ciò nell’ambito di un dovere generale di collaborazione e solidarietà sociale canonizzato dall’articolo 2 della costituzione Repubblicana, che in questo momento si esplica concretamente nell’imperativo attuale del dover tutelare se stessi per tutelare gli altri, con il rispetto delle regole di contenimento. In pratica non solo diritti verso l’erogazione della prestazione sanitaria, ma anche doveri.
Il “nostro” contro il “mio”. Non potrà non assistersi ad una situazione della responsabilità medica prima del coronavirus, una fase del durante il coronavirus – che eleva la situazione emergenziale ad un contesto di valutazione causale che non può che virare in un atteggiamento assolutorio – ed un dopo il coronavirus. Per quello che sarà il dopo – nella speranza che il “dopo” possa evolvere nella maniera migliore – qualcosa dovrà rimanere all’insegna di un rapporto di fiducia e partecipazione umana tra paziente e medico:
– il riconoscimento – anche in concreto in termini di giusta corrispettività della prestazione nell’ambito di un sistema sanitario strategico che la politica deve dotare dotazioni organiche devono essere proporzionate ai livelli di assistenza – del valore e della dignità delle professioni sanitarie;
– l’auspicio che le prassi applicative, che spesso hanno confuso i profili di responsabilità sanitaria con quelli della responsabilità oggettiva, possano divenire più mature, in un’ottica di riscoperta del senso etico di appartenenza ad una comunità, seppur di individui».
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