di Donatella Donati
“Omnia mea mecum porto”. Fu questa la risposta che Caio Giulio Cesare diede ai compagni di naufragio di ritorno dalla Grecia tutti patrizi che avevano fatto razzia di preziose opere d’arte e se le portavano in Italia e che gli chiedevano come mai se ne stesse imperterrito sulla prua della nave a guardare il disastro combinato dalle onde. Dalle stive aperte uscivano statue, torsi bronzei, preziosi vasi ed altri importanti sculture, il mare se le portava via e le affondava e lui se ne stava tranquillo ad ammirare i marosi potenti.
Non aveva riportato niente dalla Grecia se non i risultati dei suoi lunghi e appassionati studi per la filosofia e l’arte di quella nobile terra, occupata dai romani ma pur sempre grande maestra.
Il dramma del naufragio della Banca delle Marche è un po’ come quello dei patrizi romani che perdettero tutto quanto avevano investito in opere d’arte e prezioso vasellame. Si salvò quel Cesare che contava solo sulla sua intelligenza e il suo cuore, sulla sua nuova cultura e sulle speranze di poterla utilizzare, omnia sua dunque che nessuno poteva rubargli. Possiamo immaginarci con quante suadenti parole i mercanti greci incaricati dai possessori delle opere d’arte avevano potuto convincere i ricchi patrizi a investire su quelle opere. Così è successo ai possessori di modeste ricchezze convinti da intermediari insinuanti e apparentemente solidali con i clienti ad investire il loro denaro in una banca che essi stessi già sapevano sulla via della disperazione. Ricordo le telefonate accattivanti, gentilissime di personaggi che sembravano molto competenti e anche affezionati a me come cliente storica che mi informavano che avevo altre strade che un conto corrente per tenere il mio denaro. L’ultimo lo fece in prossimità dello scoppio dello scandalo. Risposi sempre che la cosa non mi interessava.
Ricordo molto bene quello che era la Cassa di risparmio di Macerata prima che diventasse Banca delle Marche. Il rapporto di fiducia con i clienti era forte e non superava il limite degli investimenti pericolosi. Gli imprenditori avevano il famoso castelletto che era la quantità virtuale di denaro di cui disporre nei momenti di emergenza e in genere rispettavano tutti i limiti imposti dal patto. Ricordo il rapporto con i clienti che era familiare senza presunzione di potere con l’attenzione ai casi difficili. Gli stipendi di cui godevano il segretario generale, gli ispettori, i funzionari erano buoni ma non esagerati. Posso citare dei nomi di persone che curavano la banca con orgoglio, Sbriccoli, i Capodaglio e tanti altri funzionari di tutto rispetto. I tempi sono cambiati ma non fino al punto che prevalgano la disonestà e il disprezzo delle regole senza che ci sia qualche sanzione esemplare.
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Omnia mea mecum porto è una locuzione in lingua latina – che Cicerone (Paradoxa 1, 1, 8) attribuisce a Biante di Priene, uno dei Sette savi vissuto nel VI secolo a.C. Nella traduzione in lingua italiana significa “Tutto ciò che (di buono) è mio, lo porto con me!”.
“Nec non saepe laudabo sapientem illum, Biantem, ut opinor, qui numeratur in septem; cuius quom patriam Prienam cepisset hostis ceterique ita fugerent, ut multa de suis rebus asportarent, cum esset admonitus a quodam, ut idem ipse faceret, ‘Ego vero’, inquit, ‘facio; nam omnia bona mea mecum porto.” (Cicero: Paradoxa 1, 1, 8)
Questa frase è stata attribuita anche:
al filosofo Stilpone di Megara, che quando Demetrio I Poliorcete, conquistata Megara, gli chiese se avesse perso qualcosa, rispose “Nulla, ho tutto con me!”; (Seneca, Epistulae Morales, 9 18-19)
a san Paolo che, dando un senso morale alla frase, spiega che la santità si costruisce sul bagaglio umano che ciascuno porta con sé.
In un senso più profondo sta ad indicare la superiorità delle doti e delle caratteristiche dello spirito rispetto al possesso dei beni materiali.
Sembra che insieme a Banca delle Marche sia sparita anche la testimonianza storica della Cassa di Risparmio di Macerata. In un recente convegno alla Camera di Commercio è stato affermato che nel registro delle Imprese storiche maceratesi, sotto l’elenco delle Aziende di servizi finanziari attive sin dal 1846 o 1848 (non ricordo esattamente), la vecchia Cassa di Risparmio (la più patrimonializzata delle Marche) non risulta più. La ragione sarebbe che al momento della fusione con la Cassa di Risparmio di Pesaro, l’iscrizione sarebbe stata trasferita sui registri pesaresi perché quella Cassa (che faceva meno raccolta della nostra) si era registrata appena un anno prima e, dunque, era più storica.
l’unica testimonianza storica di un naufragio riguardante Giulio Cesare sul web si riferisce alla nave da battaglia Giulio Cesare affondata nella baia di Sebastopoli nel 1955…. chissà attraverso quale straordinario percorso di metafore e metonimie la professoressa Donati è riuscita a creare questo grazioso apologo su un leader politico devoto all’arte e alla cultura che se ne sta sereno su una nave dalle stive aperte e devastate che però continua a galleggiare…