di Maurizio Verdenelli
“Per Tulli, al Messaggero. Presto!”. Firmato: F.T. Marinetti. Me lo fece vedere come una laicissima ‘reliquia’ quel foglietto, il grande Wladimiro. “Vedi, anch’io dopo la guerra sono stato corrispondente del ‘nostro’ giornale da Macerata. E Filippo Tommaso Marinetti, padre del Futurismo. arrivato un giorno in città, non trovandomi nel mio ufficetto nel centro storico, mi lasciò nella cassetta postale questo messaggio”.
Sin dagli esordi maceratesi, dunque nel suo dna, c’è stata per “Il Messaggero” una vocazione per la cultura. Ribadita dall’erede di Tulli, uno dei massimi storici dell’arte in Italia, Armando Ginesi. Il fotografo (a 17.000 lire al mese) era Pietro ‘Briscoletta’ Baldoni. Nasceva con lui, e con Alfonso ‘Fofo’ Gentili il primo fotoreporter marchigiano. La storia della prima redazione giornalistica cittadina assumeva così i ritmi della cronaca quotidiana, resi ancora più veloci dall’incalzare della concorrenza. Prima il bolognese “Il resto del Carlino”, poi “Il Corriere Adriatico” che negli anni 80 aprì la sua redazione con Orazi e Trapanese.
Sono stati anni formidabili quelli vissuti dal giornale romano attraverso le varie redazioni (le ultime: in piazza Battisti e quindi in Galleria del Commercio). Anni che hanno visto nascere una classe giornalistica, dove le donne hanno prevalso sugli uomini, ad innervare la professione a livello marchigiano e nazionale.
La responsabile dell’ufficio di pubblicità, Paola Barbetti (Ansa), Luigi Avi, Maurizio Verdenelli, Elisabetta Mascellani, Ermanno Calzolaio, Emanuela Fiorentino, Giuseppe Pioli, Piero Ciarapica, Giancarlo Pantanetti, Domenico Bartolini, Dario Gattafoni
A quest’ultimo livello appartengono senz’altro Maria Grazia Capulli (conduttrice Tg2), Emanuela Fiorentino (capo dell’ufficio romano di ‘Panorama’), Maria Laura Trovellesi (ufficio stampa del Senato), la compianta Antonella Scuterini (staff del Presidente Ciampi), Franco Pallotta, commediografo ed addetto stampa a Roma. A livello marchigiano cito i colleghi Sandro Stacchietti, Dario Gattafoni, presidente dell’Ordine dei Giornalisti delle Marche, Paola Pagnanelli (Il Resto del Carlino), Luca Patrassi (Corriere Adriatico), Paola Barbetti (Ansa), Simona Marini (pierre di importanti rassegne culturali e musicali), Andrea Angeli (inviato Onu), Fulvio Fulvi, Asterio Tubaldi, Elisabetta De Luca, Eloisa Bartomioli, Francesca Benadduci, Paola Olmi, Elisabetta Mascellani, Andrea Barchiesi, Lucia Mosca, Rossella Pigliapoco, Maria Stefania Gelsomini, Pietro Pistelli, massimo storico marchigiano di Garibaldi, Lucio Cristino, Patrizia Baldini, Giuseppe Bommarito, Maria Cristina Ruscitto, Ennio Ercoli (direttore di Millepaesi, periodico ‘storico’ di Civitanova Marche e Mauro Valentini, ricercatore di storia locale, già presidente del celebre gruppo folk ‘Li Pistacoppi’..
Ci sono stati inoltre due illustri collaboratori seppure in incognito che firmarono le rispettive rubriche (entrambe di successo) con pseudonimi, oggi si direbbe nickname. Ed allora, a distanza di anni, sveliamo il mistero -ormai caduto in prescrizione- dicendo che Assessor (sulla scia di Minister che in quel periodo firmava una rubrica analoga dal Palazzo romano su L’Espresso) era Bruno Mandrelloi mentre Bancarius era Ugo mancioli, da anni ormai non più a Macerata.
Nello sport il primo ricordo va a lui: Alberto Girolami, grande penna e grande cuore per tanti anni firma di una rubrica cult sulla Maceratese: Helvia Ricino. Alberto non c’è più, ma all’Helvia Recina a lui è stata dedicata la tribuna stampa. Poi citazione d’obbligo per Enrico Scoppa, Maurizio Capezzani (ex sindaco di Montecosaro), Angelo Ubaldi, Luca Muscolini, Piero Bizzarri (da Pioraco), Andrea Cesca e Gianluca Pascucci. Gianfilippo Centanni, altro grande specialista di sport: era da anni una firma nota quando iniziò a collaborare con Il Messaggero prima di passare definitivamente al ‘Carlino’. Marisa Gervasi, da parte sua, iniziò a Macerata la ‘pratica’ prima di approdare alle redazioni laziali del quotidiano romano. Così come Giuseppe Pioli che divideva la sua giornata tra l’insegnamento alla scuola media di Corridonia e il lavoro di redattore part time al ‘Messaggero’. Mentre anello di congiunzione di varie ere redazionali (da Luigi Zizzari a Giampiero Cavalli ed Enzo Paolini) è stato il ‘vice’ Giancarlo Pantanetti.
Da sx: Guido Garufi, Giuseppe Pioli, Fulvio Fulvi, Piero Ciarapica, Luigi Avi, Pietro Baldoni, Giancarlo Pantanetti, Maurizio Verdenelli
Ci sono poi stati colleghi che hanno diviso la passione della scrittura con quella della politica. I loro nomi: l’on. Mario Cavallaro, il sen. Luciano Magnalbò e l’attuale sindaco di Recanati, Francesco Fiordomo. Non dimentico inoltre il carissimo prof. Ermanno Calzolaio, critico musicale bravo come pochi, da qualche anno direttore del Pellegrinaggio Macerata-Loreto. Poi lo storico Libero Paci, Guido Garufi (che collezionò in un libro alcune sue collaborazioni al giornale), Hermas Evio Ercoli direttore artistico di Popsophia e Pierfrancesco Giannangeli, ora al ‘Resto del Carlino’: tutti hanno donato (tuttora nel caso di Pierfrancesco) pagine indimenticabili di cultura alle pagine della cronaca de ‘Il Messaggero’. Con loro l’arch. Gabor Bonifazi che nella sua recente pubblicazione “L’orologio del Magnalbò” ha ricordato gli anni al ‘Messaggero’. Poi il più grande di tutti: il poeta Remo Pagnanelli il quale diede vita ad una lunga ‘investigazione’ sul ‘male di vivere in provincia’ cui parteciparono tutte le forze vive e pensanti maceratesi.
Annotazione d’obbligo per Maria Luigia Cerolini ed Alessandro Feliziani, l’una prima dell’altro capo ufficio stampa della Provincia di Macerata, così come Anna Pisani (ufficio stampa del Comune di Macerata) e Michela Avi (capo ufficio stampa del Comune di Camerino fino al 31.12. 2012).
Mi rendo conto che fare un elenco dettagliato sarebbe davvero inerpicarsi lungo una strada tortuosa che sarebbe inevitabilmente costellata da troppe, ingiuste dimenticanze. Tuttavia l’albo dei giornalisti marchigiani, in entrambi gli elenchi (professionisti e pubblicisti) possono testimoniare di oltre cinquanta colleghi che hanno fatto parte a vario titolo del ‘Messaggero’ di Macerata.
Ed allora resta il ricordo doveroso per i tre ‘moschettieri’ che lavoravano sul territorio: Domenico Bartolini (con la valorosa Lorena Cellini, da Civitanova dove prima aveva lavorato tra gli altri Giuliano Forani e Romolo Sardellini ) e i compianti Piero Ciarapica (con Maura Gallenzi da Tolentino, da dove cominciò a collaborare Arsenio ‘Arsenico’ Teloni con i suoi disegni che sarebbero diventati notissimi) e Luigi Avi (Camerino). Da San Severino dopo Feliziani, ecco il carissimo, indimenticabile Mario Squadroni (‘strappato’ al ‘Carlino’), poi Cristiana Zampa.
Se Domenico, Piero e Gigi erano i moschettieri, l’infallibile D’Artagnan che usava la sua rollei come una spada è stato senz’altro sin dagli anni 60: Pietro Baldoni, al quale “Alphabetica edizioni” ha dedicato qualche anno fa un bel libro “Briscoletta & Friends nella Macerata del dopoguerra”. Una figura, quella di Pietro, che viveva di fama propria, la cui luce personale alimentava quella della redazione cittadina.
Se infatti le pagine di cronaca de Il Messaggero ospitavano spesso e volentieri, cultura ed approfondimento, la ‘battaglia’ quotidiana era contro i santuari del Potere. E le foto di Briscoletta svelava spesso i potenti più di qualsiasi didascalia, o commento o pezzo. “Lo dico al Messaggero” diventò una nuova arma per chi non aveva voce a difesa dei propri diritti. Talvolta la redazione ospitava a notte alta gruppi d’opposizione, appena concluso un rovente consiglio comunale, perché chi scrive (che ha diretto quella redazione per 18 anni) annotasse la ‘buona causa’ e si battesse per quella. Il giornale romano apriva le sue porte non solo ai giovani che volessero iniziare una carriera difficile come quella del giornalismo, ma soprattutto a chi aveva qualcosa di giusto da dire e non aveva trovato fino ad allora accoglienza.
Adesso quelle porte al primo piano di Galleria del Commercio, da giovedì si sono chiuse per sempre. Non certo le sue pagine di cronaca che quotidianamente vengono ora redatte ad Ancona con collaboratori (Nicola Paciarelli ed altri ottimi colleghi) attivi in zona.
A tenere viva la fiamma del ‘genius loci’, insieme con i redattori Giancarlo Pantanetti e Giuseppe Pioli, sono stati in prima persona nell’ultimo decennio Mauro Montali, Umberto La Rocca (poi passato alla vice direzione de ‘La Stampa’ di Torino ed attualmente direttore del quotidiano di Genova “Il Secolo XIX”), Paola Mezzopera, Alfonso Toschi e lei: la bravissima, tenacissima, Rosalba Emiliozzi, l’ultima ‘erede’ diretta di quella ‘scuola siciliana’ che è stata la redazione de ‘Il Messaggero’ di Macerata. La cui vicenda, con i suoi uomini, le sue donne e i suoi percorsi di cultura e di lotta entra ora a pieno diritto, pur in un silenzio assordante, nella Storia del dopoguerra di questo capoluogo.
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Caro Maurizio, ho letto, lo confesso, con emozione vera e rimpianto il tuo articolo. Lo scorrere dei nomi e del tempo che è passato, le “figure”, i volti, le cene ad ora tarda, il dopoteatro allo Sferisterio ( quando era imponente il “dopo”), le “rubrichette” politiche e sociologiche sul male di vivere ( a Macerata), nomi e volti anche di perduti e scomparsi…tutti da te “convocati” in filigrana. Personaggi certamente diversi, per carattere, idee politiche, eppure, lo testimonio, tutti e indistintamente tutti “uniti” da uno spirito creativo di scrittura, oltre che di informazione. Fai bene a parlare di Scuola siciliana, se con questo intendi appunto riferirti a quello spirito. E’ stata l’amica Rosalba ad annunciarmi la “chiusura” del “nostro” Messaggero. Ed ho sentito come una colpo, tra malinconia e rabbia, anzi impotenza. Ho ascoltato ieri l’altro, a Mezzanotte e dintorni, Marzullo che intervistava il Presidente nazionale dell’Ordine ( dei giornalisti) il quale lamentava, con forza, la “decapitazione” umana e civile dei collaboratori dei quotidiani, che, si sappia, vengono ridotti ad una pletora di schiavi ( quanto a compensi). E così ho ripensato a Il Messaggero, alla sua attuale situazione di caducità, agli amici che ancora ci lavorano e che incontro giornalmente, e sono ritornato indietro nel tempo, alla “nostra” redazione, a Rosalba giovanissima,a Titì, a Manuela e tutti gli altri. Possa lo Spirito di questo ricordo restituire agli attuali amici il “maltolto”.Guido Garufi
Caro Maurizio,
ci stanno smantellando il mondo. Un mondo che è stato il nostro piccolo grandissimo mondo. Il mondo, dunque. Un piccolo mondo in cui ciò che era grande era l’onestà intellettuale che lo animava. Ricordo quei corsivi di Remo con una tremenda nostalgia. E il campionario aneddotico del nostro Pietro, che sapeva sempre rendere migliore una giornata cominciata male. Poi citi la mia cara amica Antonella Scuterini… e il cuore sanguina. Basta così, Maurizio. Ci tocca in sorte una nuova, più dura, resistenza. Occulta, subdola, sprezzante. Non mollare mai, amico carissimo. Rivederci, di tanto in tanto, ci può ricordare che ci siamo ancora.
E’ possibile recuperare gli articoli della rubrica di Remo Pagnanelli?
Veramente un articolo molto bello, che ha fatto ritornare in mente i nomi e i volti di tanti illustri personaggi del giornalismo e della cultura maceratese.
Però, che tristezza! Un altro pezzo importante della nostra città che vola via e impoverisce il tessuto cittadino, già colpito da una serie di colpi durissimi.
Mi piace qui ricordare, a proposito della “bravissima” e “tenacissima” Rosalba Emiliozzi (una delle poche giornaliste che non stava in redazione ad aspettare le veline dei partiti e del Comune), il grande scoop che, grazie a lei, fece pochi anni fa Il Messaggero di Macerata sul caso Piccinno, la falsa avvocatessa, autrice della più grande e incredibile serie di truffe mai realizzate nella nostra zona. E mi chiedo: ma come si fa a smantellare una redazione come quella maceratese, che, con poche risorse umane e materiali, ha fatto veramente i miracoli nel corso di tanti anni di vita cittadina?
Sono d’accordo con Filippo. Non bisogna mollare, non bisogna arrendersi ad un declino che sembra inarrestabile a tutti i livelli. Usciamo dall’indifferenza, dalla passività e alziamo la testa, ognuno per quel poco o tanto che può fare.
E’ stato emozionante, per me, leggere queste parole, questi ricordi di Maurizio… Per me, che ho iniziato proprio da Il Messaggero, grazie, in particolare, a Rosalba che ha avuto fiducia in una ventenne alla sua prima esperienza, e anche grazie ad Alfonso. E’ stata la mia prima “scuola” che mi ha insegnato moltissime cose. E quando la scuola chiude le porte, si, un po’ di dispiacere c’è sempre.
Sarò gnorande, non caprò cosa, ma lu Messeggeru de Macerata me s’embratu sempre un giornalittu, io tutta sta scola non ce l’ho vista mai.
da L’Orologio del Magnalbò:
Tempus fugit irreparabile ora.
Non c’era niente di meglio del tic tac di un orologio per scandire l’incedere del tempo e le relative mutazioni. Non c’era niente di meglio del suono di un orologio a pendolo, anche se il più simpatico era quello a cucù quando dalla finestrella usciva l’usignolo cinguettante. Una volta c’era solo il din don dan del campanone, collegato alle lancette a vento dell’orologio meccanico incastonato in un piano della torre civica, poi vennero gli orologi da taschino, quelli al quarzo, i cronografi (come quella “cipolla” che ostentava al polso il sindaco di San Severino) ed infine i fantastici Swatch. In un cassetto, abbandonato tra onorificenze, ammennicoli e i più svariati oggetti cari, ho ritrovato un moderno orologio da taschino a batteria, mai usato non tanto per mancanza di pancia ma di panciotto: era un regalo gradito quanto snob di Luciano Magnalbò. L’orologio non poteva che riportarmi indietro negli anni e negli entusiasmi di una stagione tanto ironica quanto temeraria.
Infatti il 1986 fu un anno formidabile in quanto vissuto con diversi intellettuali nei dintorni della redazione de Il Messaggero, grazie al suo capo servizio Maurizio Verdenelli. Libero Paci scriveva pezzi sulla storia della città, Evio Hermas Ercoli detto Masino sull’architettura e Luciano Magnalbò, l’ultimo arrivato e da me introdotto, sull’agricoltura e ogni genere di caccia. Aspettavamo il pezzo settimanale di Luciano con grande interesse. Gli articoli uscivano la domenica con uno speciale occhiello intitolato Bloc notes e spesso accompagnati da una illustrazione di Lucia Cascini, mia moglie. I pezzi di Magnalbò divennero ben presto un cult. Tale fu il successo che il 10 settembre 1986 Libero, Luciano, Maurizio, Masino, il fotoreporter Pietro Baldoni detto Briscoletta ed io c’incontrammo a Schito, al Museo del feticcio, così da me chiamato per via del fatto che in bagno è tuttora esposto uno slip femminile trovato in vicolo Consalvi. Ci trovammo con il solito entusiasmo per complottare intorno alla redazione di un libro a più mani, ma ne uscì fuori solo il titolo: “Così va il mondo o meglio andava”.Di quella serata goliardica, da me passata anche in cucina tra cipolle, pignatte e fornelli, conservo il ricordo dell’atmosfera e una pagina del verbale che chiudevo così: «Troviamoci il 20 settembre alle ore 18.30 a San Paolo per la mostra di Fabio Failla: non saranno diramati altri inviti». Ben presto la conventicola si sfasciò per varie ragioni, non da ultima una strana crisi da appagamento dovuta ad un inaspettato pubblico riconoscimento della nostra azione culturale da parte del sindaco Carlo Cingolani.
Ora, a distanza di venticinque anni, rimanevano questi articoli e due presentazioni pazientemente raccolti e digitalizzati per un instant-book mai nato. Questi di Magnalbò sono dei veri e propri acquerelli dove appaiono all’improvviso personaggi maceratesi famosi e meno, ai quali avrei potuto dare il nome, magari aprendo una nota o mettendoli in un indice insieme ai luoghi per facilitare il cortese lettore nel ritrovamento della pagina di riferimento. Al contrario, mi sono limitato a conservarli ordinati e quindi a curarli come un curato cura le anime. Una semplice compilazione notarile, quasi come uno studente o meglio un ricercatore che copia da internet in maniera passiva, senza il benché minimo senso critico. Quindi un libro fresco, senza tagli, senza aggiunte, senza correzioni e con gli stessi titoli. I racconti si snodano in maniera cronologica, seguendo l’inesorabile incedere del tempo. Narrazioni medievali s’intervallano a fatti di cronaca. Molti dei soggetti ritratti in queste bizzarrie si sono scoloriti, altri sono scomparsi come meteore. Fasti e misfatti narrati con arguzia, ironia e conditi con sottintesi a sfondo erotico rimangono vere e proprie pietre miliari di una società che perpetra se stessa tra il futile e l’inutile. Non a caso in questo momento si dibatte sulla necessità di installare proprio un orologio con gli automi (Madonna con Bambino e re magi) sul campanile di piazza. Tuttavia credo sia sempre utile e in un certo senso attuale pubblicare storie e personaggi per i giovani che in questo momento manifestano una notevole vivacità via web.
Allora non era ancora in uso né il fax, né il personal computer, né la macchina fotografica digitale. Gli articoli venivano consegnati rigorosamente a mano al caposervizio che li trasmetteva con una telescrivente. Quindi, privi di posta elettronica e foto digitali, era tutto molto complicato. Il Magnalbò era munito di una macchina da scrivere elettronica dotata di una speciale pallina ruotante, provvista di caratteri di diverso tipo e misura. Luciano usava furbescamente i caratteri più piccoli per scrivere di più di quella trentina di righe a sessanta battute consentite per i suoi deliziosi articoli.
La cosa curiosa fu che in quel periodo, nonostante le nostre differenze sociali e variegate opinioni politiche, nonostante le rispettive esperienze e provenienze, ci trovammo uniti attorno ad un alto comune denominatore: l’amore per la città.
Un aneddoto. Quando manifestavo a Luciano la mia delusione per qualche articolo, lui faceva rispondere “lo zio”, credo fosse il suo alter ego: «Non si può stare sempre a c…(censura) dritto!».
Ecco alcuni dei tanti motivi della presente pubblicazione, che non deve essere liquidata come semplice operazione nostalgica, bensì come tentativo di far rivivere alcune pagine di cronaca, irrimediabilmente impolverate e ingiallite, per consegnarle alla storia della città che, a quanto pare, non è ancora riuscita a risolvere diversi problemi di allora. Una storia con la “s” minuscola, una piccola parte di quella storia sociale che sarebbe andata irrimediabilmente perduta.
Sono davvero commosso. Grazie a “Peppe” Bommarito, la cui rubrica “verde” sul ‘Messaggero’ tenne autorevolmente testa a quella che contemporaneamente sul ‘Carlino’ conduceva Valerio Calzolaio. Grazie a Filippo Davoli che, impressionato dalla bellezza di alcuni suoi interventi sul ‘Corriere Adriatico’ inutilmente tentai perché passasse al ‘mio’ giornale. Erano (anche quelli) anni di stretta concorrenza. Ricordo una perdita particolarmente penalizzante: l’uscita in coppia di Luca Patrassi ed Emanuela Fiorentino, passati al ‘Corriere Adriatico’. I giornali si ‘combattevano’ strappandosi i collaboratori migliori. A favore del ‘Messaggero’ ricordo un ‘colpo doppio’ ai danni del ‘Carlino’: Eloisa Bartomioli e Laura Trovellesi ed uno ai danni del ‘Corriere’: Cristiana Zampa. Poi c’erano i …talent scout che ‘fiutavano’ quelle che sarebbero state le new entry. In questo mostrava, ad esempio, abilità Gabor Bonifazi che aveva introdotto l’avv. Luciano Magnalbò. Mentre Benito Striglio (sua la rubrica “Il signore della notte”) mi fu presentato dall’indimenticabile Franco Simoncini. E a Guido Garufi si deve l’indicazione di Rosalba Emiliozzi. Non era insolito che Guido trovasse l’ispirazione per le sue poesie in redazione: una ‘filosofia del luogo’. Così nel ’92 pubblicò “Epigrammi del disamore”, raccolta di poesie (dedicata a Remo Pagnanelli) con al centro uomini e donne del ‘Messaggero’.
“Come talpe immobili/dall’alto dall’alto degli/altissimi colli (cfr Virgilio)/sostieni con pudore che nel borgo/nulla assomiglia a Perugia/nulla è come la giovinezza…/non è una foto/non è una fotostatica/e neppure una imitazione/quella marea di gente, di paccottiglia/in due tempi, quella scia di sposini/con bambini, di anziani./La tua città dei servizi/(Suona il fax)”.
Basta così. Grazie a tutti: Guido, Peppe, Filippo, Lucia e pure ad Alex anche se gli alberi dovrebbero essere valutati dai frutti che danno. Va bene però anche così, piuttosto che l’umiliante silenzio -cara Irene, cara Stefania: qualcosina di più da voi mi sarei aspettato- nel quale si è conclusa questa storia non irrilevante che è stata, attraverso la passione dei migliori giovani della nostra città e di altre ancora, la redazione del più antico giornale maceratese.
Maurizio Verdenelli
@ Maurizio Verdenelli
Rivendico l’introduzione alla redazione de il Messaggero di Libero Paci, di Mario Gavallaro e di quella meteora tanto cara a Dario Conti: Maria Grazia Capulli. Inoltre mi permetto di aggiungere al tuo manifesto tanto funerario quanto agiografico il buon Ennio Ercoli.
Ubi sunt chi ante nos
in mondo fuere?
I freelance rappresentano ormai più della metà della categoria dei giornalisti e in media questi colleghi non introitano più di cinquemila euro l’anno. Un guadagno davvero imbarazzante dal quale vanno inoltre tolte le spese ‘di produzione’ dovendo questi colleghi lavorare ‘da casa’ (telefono, rete internet, bollette Enel e via elencando). La commissione Lavoro autonomo del Sigim, il sindacato dei giornalisti marchigiani, ha varato il progetto “La redazione dei freelance” offrendolo alla valutazione degli enti locali territoriali. Uno spazio free dotato di rete wireless, telefoni, scrivanie e quant’altro per ospitare il lavoro, spesso quotidiano, dei colleghi senza contratto ex art. 1 CNLG e dunque senza sede. Generosamente, nei giorni scorsi, a questo progetto ha aderito il Comune di Ascoli Piceno destinando alla ‘redazione dei freelance’ la Sala dei Manoscritti del Polo di Sant’Agostino. Il Sigim chiede ora che si facciano avanti altre amministrazioni pubbliche.
A Macerata, la redazione del Messaggero (presente in città sin dagli anni 50, la prima fra tutte) è stata chiusa, come noto, da giugno. Pare che ora i collaboratori, per meglio continuare a lavorare insieme e non perdere quel filo comune spesso essenziale nella nostra attività, si riuniscano insieme in un locale del centro storico cittadino, a proprie spese e da lì inviino i propri pezzi da pubblicare sull’edizione maceratese (che naturalmente continua) del giornale romano.
Mi sembra davvero un’ottima occasione l’attuale perchè l’amministrazione comunale di Macerata -che alla Cultura vanta addirittura due assessori e pure il restauro della Biblioteca comunale- voglia e possa prendere in esame il progetto del Sigim. Ma se il Comune, che ha perso la sua ‘storica’ redazione giornalistica, non volesse e non potesse cogliere questa occasione, lo sarebbe certo per l’Amministrazione provinciale che al piano terra del Palazzo di corso della Repubblica ha uno spazio utlizzato esclusivamente per le conferenze stampa. Personalmente ricordo l’intuizione, davvero preveggente, dell’allora presidente Luigi Sileoni che già negli anni ’90 voleva destinare uno spazio ‘attrezzato’ ai corrispondenti senza sede. I tempi sono cambiati, in peggio, e i problemi per il giornalismo e i giornalisti sono aumentati anche in città che peraltro ha registrato il successo straordinario di un giornale online, Cronachemaceratesi, e la straordinarietà del fatto che grazie a quel successo una sede è riuscito a conquistarsela.
Maurizio Verdenelli
Ps. Dal Comune e dalla Provincia, io e i miei colleghi freelance aspettiamo, questa volta noi!, buone news!
Se volete venire a casa mia, vi ospito ben volentieri. Tanto, se aspettate il Comune…
Approfitto dell’occasione che mi offre il carissimo Filippo (Davoli) che una volta invitai a collaborare su “Il Messaggero”, ottenendone un simpaticissimo “Prima devo ritrovare me stesso”, per elogiare una collega cui tengo molto per il suo capitale professionale ed umano: Maria Stefania Gelsomini. Anche lei a pieno titolo nella storia maceratese de “Il Messaggero” (recente, non recentissima): una giornalista molto apprezzata che ha mostrato il proprio valore anche in prestigiose collaborazioni. Parlo delle pubblicazioni in tema enogastronomico di Carlo Cambi e pure di quei splendidi volumi fotografici di un autore come Guido Picchio -i cui primi fotoreportage tanti anni fa, se non ricordo male, furono anch’essi pubblicati da “Il Messaggero”.
Inoltre Maria Stefania cura l’ufficio stampa di un’importante Casa editrice ed è stata, per me, una piacevolissima scoperta leggere su Cronachemaceratesi i suoi informatissimi servizi sul Sof 2011. Ottima scelta, da entrambe le parti (s’intende!)!
Se consentito, vorrei pur ultimo ricordare la generosa collaborazione offerta dalla collega Gelsomini alla rivista della Provincia di Macerata “57Comuni”.
Ad majora, Maria Stefania!
Maurizio Verdenelli
Caro Filippo (Davoli)
ho atteso volutamente un pò di tempo prima di darti ragione (a malincuore, paradossalmente visto che ti stimo come sai)…
Sulla proposta di dare una casa ai freelance, devo registrare infatti il silenzio …dal campidoglio. Eppure Stefania (Monteverde) non è affatto estranea al giornalismo maceratese (cfr Emmaus). Pensavo ad una sensibilità maggiore riguardo ai tanti problemi di chi con passione e sacrifici personali racocnta ogni giorno la città e la provincia.
Devo dire dunque di essere un pò deluso come giornalista ancora attivo sulla piazza maceratese e pure come cofondatore di un Ordine dei Giornalisti -quello dell’Umbria- anche se il presidente dell’antitrust, Catricalà abolirebbe l’intero Ordine nazionale!
Da Stefania ed Irene spero ancora e comunque un …botto di segno diverso che dia via libera alla redazione dei free lance, che già esiste ad Ascoli Piceno a cura di quella amministrazione comunale. Ed anche un segnale di sostegno da parte dell’Ordine delle Marche che ha ho registrato la chiusura della redazione cittadina de Il Messaggero, la prima (cronologicamente, s’intende) nel capoluogo.
Maurizio Verdenelli
Mi dispiace ti sia dimenticato di me Maurizio, io sono molto orgogliosa di aver fatto parte di questa squadra, ed ancora oggi , nonostante viva a Verona ho voluto rimanere iscritta all’ordine delle Marche. Sono ancora legatissima a Macerata e quei 4 anni al Messagero sono per me indimenticabili
Carissima Maria Cristina, hai perfettamente ragione. Tuttavia ho rimediato così come (confesso) ho fatto con tanti di quei miei cari, indimenticabili, eppure dimenticati …per un momento, compagni di un ‘viaggio’ indimenticabile che da solo è capace di dare significato ad un’esistenza. Grazie: adesso ci siamo (quasi) tutti in un nuovo viaggio, quello della memoria affidato alle onde del web.
E’ stata una squadra, come dici tu, forte e motivata che si è data nel corso degli anni il cambio come i ‘ceraioli’ di Gubbio in corsa forsennata sotto la statua del santo per l’erta del monte. Tutti hanno imparato il mestiere così, senza respiro: la passione che ci animava non era certo uno slogan per …vendere auto. Alcuni sono diventati con grande merito personale, giornalisti famosi. Quel che più conta, in ogni caso, è che pure chi non è diventato celebre, giornalista lo è diventato per davvero in quegli anni del ‘Messaggero’. E per sempre giornalista è rimasto ‘dentro’ anche se per una qualche ventura, non dovesse più fare questo mestiere bellissimo. Che tanto ci appassionava e non ci faceva vedere gli enormi sacrifici. Tu poi, Maria Cristina, sei stata non solo brava ma addirittura ‘fedelissima’ a quello spirito che ci rendeva prima di tutto amici pronti a testimoniare la verità, sopratutto quella che non faceva comodo a Lor Signori. La storia, anche soltanto quella che fanno i cronisti che scrivono del giorno prima, talvolta con coraggio, non si può cancellare. Neppure ignorandola.
Maurizio Verdenelli