Filippo Ferlazzo
di Gianluca Ginella
Sull’omicidio di Alika Ogorchukwu ci sono nodi da sciogliere, almeno a detta della difesa, e se ne parlerà il 25 settembre. Quel giorno è stato fissato il processo di appello ad Ancona, per l’imputato, il 34enne Filippo Ferlazzo, campano. Il 29 luglio del 2022 ha ucciso a mani nude il 39enne Alika sul corso di Civitanova. In primo grado, lo scorso 27 settembre, Ferlazzo era stato condannato a 24 anni dalla Corte d’assise di Macerata.
Alika Ogorchukwu
Niente ergastolo, come era stato chiesto dal pm Claudio Rastrelli, perché i giudici hanno riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti. Per la difesa però certi aspetti della sentenza non tornano. L’avvocato Roberta Bizzarri, che assiste Ferlazzo, nel suo ricorso ha evidenziato alcuni punti. Il primo: per la difesa il 34enne non ha agito per uccidere. Il secondo, la causa della morte non sarebbe chiara. E questo è uno dei punti che è stato molto combattuto nel corso del processo di primo grado. Se per il medico legale Ilaria De Vitis, che aveva svolto l’autopsia, la causa della morte è l’asfissia, per la difesa c’è la possibilità che a uccidere il 39enne sia stato uno shock ipovolemico dovuto alla rottura della milza. Il consulente della difesa, il medico legale Alessia Romanelli, si legge nel ricorso di Roberta Bizzarri: «fa emergere molteplici dati suggestivi della prevalenza dello shock ipovolemico sull’asfissia». Questo il parere della difesa nel ricorso.
L’avvocato Roberta Bizzarri
L’accusa aveva ricostruito passo per passo quello che era accaduto quel fatale pomeriggio. Alika era stata aggredito da Ferlazzo per il solo motivo che poco prima aveva fermato lui e la fidanzata per chiedere l’elemosina e aveva allungato una mano verso il braccio della donna, senza sfiorarlo. Questo aveva spinto l’uomo a seguirlo su corso Umberto, la via dello shopping di Civitanova, e a colpirlo con la stampella che Alika usava per sostenersi e una volta a terra a salirgli sopra e a soffocarlo. Una ricostruzione, almeno per la parte finale e per le motivazioni che spinsero Ferlazzo a uccidere, che la difesa contesta nel ricorso in appello. «Gli elementi di prova raccolti all’esito delle indagini preliminari e quanto emerso nella fase dibattimentale del primo grado, portano inevitabilmente a derubricare il reato contestato in omicidio preterintenzionale. Dal processo è emerso, in maniera inequivocabile, che nell’imputato non vi fosse alcun intento omicidiario».
Di tutt’altro parere l’accusa. Il pm nella requisitoria aveva detto: «Se Ferlazzo all’inizio voleva un chiarimento con Alika, è pacifico che poi volesse uccidere e l’ha fatto con una presa molto conosciuta nelle arti marziali, detta la cravatta, che lui conosce anche se nega di averla usata. E’ un dolo d’impeto causato dalla rabbia che caratterizza la vita dell’imputato. Va condannato all’ergastolo per omicidio volontario aggravato dai futili motivi, non si possono concedere le generiche». Al processo sono parte civile la vedova di Alika, Charity Oriakhi, e altri cinque familiari del 39enne, tutti assistiti dall’avvocato Francesco Mantella.
La vedova di Alika, Charity Oriakhi
L’avvocato Francesco Mantella
A destra il pm Claudio Rastrelli all’uscita dall’aula dopo il processo
Il procuratore Giovanni Fabrizio Narbone
Un fotogramma del delitto di Alika su corso Umberto
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