
Enea Simonetti condannato all’ergastolo per l’uccisione della nonna Rosina Carsetti
di Gianluca Ginella
«L’humus all’origine della condotta di Enea Simonetti si rinviene nell’ambito di un rapporto connotato da una reciproca astiosità latente tra nonna e nipote, mai travalicata in maltrattamenti, la cui evidenza piuttosto era emersa in due soli episodi di un certo rilievo nell’arco di quasi un anno di convivenza: un gesto minaccioso di Enea, dopo che la nonna aveva schiaffeggiato Arianna Orazi (la madre di Enea, ndr) ed in un calcio contro il piede di un divano, in quanto Enea aveva cercato di riattivare la linea wi-fi, mentre Rosina era al telefono con una amica».

Rosina Carsetti
Questa la sintesi del delitto della 78enne Rosina Carsetti nelle oltre 700 pagine della sentenza con cui lo scorso 15 dicembre la Corte d’assise di Macerata ha condannato all’ergastolo Enea Simonetti, 23 anni, nipote della donna uccisa il 24 dicembre del 2020 a Montecassiano. Assolti per l’accusa di omicidio gli altri due imputati Enrico Orazi, marito di Rosina, e la figlia della 78enne, Arianna Orazi (condannati entrambi a 2 anni per simulazione di reato).
Sul delitto di Rosina, i giudici scrivono che «Nell’ambito di questo rapporto privo di un sincero affetto reciproco (tra nonna e nipote, ndr) piuttosto connotato da una vicendevole tensione latente, mai compiutamente esternata – tanto da non essere mai travalicata in maltrattamenti -, ma, al contempo, mai catartizzata, si inscrive l’omicidio di Rosina. Verosimilmente un litigio scaturito da un presunto “dispetto” da parte di Enea Simonetti o da una lamentela da parte della nonna, magari proprio nei suoi confronti, aveva suscitato nel giovane una improvvisa determinazione omicidiaria, magari anche nella piena consapevolezza che altrimenti la nonna avrebbe chiamato ancora una volta i carabinieri, per dargli un’altra lezione e magari, in questa occasione, si sarebbe avvalsa di un avvocato, a cui fornire la propria versione del “diverbio”. Enea, solo di fronte alla nonna, senza la madre, questa volta – nell’ambito di una verosimile discussione – le aveva manifestato il suo rancore, sino a quel momento represso. Del resto – continua la sentenza -, lo stesso Enea nell’ascrivere la responsabilità dell’omicidio al nonno ed alla madre – aveva indicato quale causa l’ennesimo litigio». I giudici escludono che vi sia stata premeditazione e anche la famosa frase trovata su Instagram in cui Arianna diceva al figlio «sto studiando il piano» viene ritenuta troppo generica e poteva trattarsi di qualsiasi cosa.

Arianna Orazi
Sulla posizione degli altri imputati: «Non emergono dagli atti né elementi probatori, né indizi gravi, precisi e concordanti a carico dei correi Arianna ed Enrico Orazi per l’omicidio di Rosina. Va innanzitutto evidenziato che, nel corso delle intercettazioni, Arianna pur ammettendo la propria responsabilità per la simulazione della rapina, riconoscendo una molteplicità di “errori” commessi, non “confessa” mai alcun coinvolgimento nell’omicidio, anzi utilizza espressioni accusatorie nei confronti di Enea, ovverossia proprio nei confronti del figlio che in realtà con la perpetrazione della simulazione della rapina intendeva “difendere”.
Esclusa la premeditazione, avendo Arianna interagito continuativamente con il suo cellulare sino a qualche minuto prima dell’allontanamento dall’abitazione di Enea, non avrebbe avuto il tempo né di istigarlo a commettere l’omicidio né di concorrere materialmente con lo stesso per realizzarlo. Pur nel contesto di una reciproca tensione familiare, da ricondurre nell’ambito di una sostanziale normalità, considerato che due nuclei familiari, da poco riunitisi nella stessa abitazione, stavano cercando un nuovo equilibrio per proseguire serenamente la loro convivenza, pur nell’ambito della crisi economica della ditta di famiglia, all’epoca dell’omicidio di Rosina, Arianna si stava preoccupando delle sorti della società, tanto che ne parlava con il fratello Enea, nonché di trovare soluzioni lavorative alternative per il figlio. Nel frattempo stava sistemando la villetta, in modo che ognuno avesse i propri spazi, migliorando la cucina del seminterrato, sistemando l’illuminazione della mansarda e degli altri ambienti della casa, ordinando delle porte, affinché ciascuno avesse la propria privacy, che avrebbero dovuto essere montate dopo il Natale del 2020». I giudici poi citano un dialogo tra Arianna e una amica il 24 dicembre 2020, che avevano parlato per circa un’ora dalle 14,30.

Enrico Orazi con il suo legale, l’avvocato Barbara Vecchioli
L’amica aveva riferito in aula che aveva trovato Arianna “serena”, “quasi un po’ assonnata, addormentata, proprio lenta”, “tranquilla”, «tanto da ritenere che probabilmente stesse distesa sul divano o sul letto. Dopodiché alle 16,46 Arianna aveva risposto ad un messaggio inviatole da “tale Alvaro” (“Auguri Alvaruccio ti auguro che tuo padre guarisca presto”), proprio mentre il figlio stava scattando le foto dal giardino». E poi aveva risposto subito, alle 17,46, all’amica con cui aveva parlato un’ora al telefono che era andata a fare il tampone per il Covid e le aveva comunicato essere negativo. «Considerato che Simonetti Enea era uscito dalla sua abitazione alle 17,47 non si ravvisa alcun margine temporale per ipotizzare un concorso di Arianna nella commissione dell’omicidio, al contempo non solo le tempestive risposte, ma neppure il tenore dei messaggi lascia spazio per ipotizzare un suo coinvolgimento nell’omicidio della madre, non ravvisandosi un tempo utile per configurare una sua compartecipazione nell’omicidio né materiale né a titolo di concorso morale.

L’avvocato Olindo Dionisi, legale di Arianna
Piuttosto risulta verosimile che Arianna non si fosse neppure accorta che la madre stesse morendo a causa della condotta del figlio, avvedendosene solo una volta che era deceduta. Peraltro, l’estemporanea ideazione della simulazione della rapina risulta strettamente connessa con l’alibi “costruito”, relativamente alla posizione di Simonetti Enea, come dimostrato dal suo pieno coinvolgimento nella realizzazione delle tracce della stessa simulazione, posto che il contributo del ragazzo risulterebbe altrimenti inspiegabile, in quanto Arianna ed Enrico avrebbero potuto autonomamente predisporle con la stessa efficacia». I giudici fanno poi riferimento ad un litigio tra Arianna e Rosina nel luglio 2020, «era stata proprio la madre che aveva colpito per prima Arianna, con una sberla, mentre l’imputata, dandole una spinta, l’aveva sostanzialmente allontanata da sé, per quanto poi l’anziana mamma fosse caduta a terra. Va evidenziata la reazione di Arianna di fronte all’intervento del figlio che si stava avvicinando alla nonna come per aggredirla: l’imputata lo aveva fermato repentinamente, impedendogli di farle del male. Tale evento risulta particolarmente significativo, in quanto la dinamica del fatto risulta del tutto veritiera, essendo stata descritta con assoluta lucidità dalla stessa Rosina nel corso di una registrazione intercettata». Dunque per i giudici Arianna non ha partecipato al delitto, ma ha cercato di salvare il figlio inventando la storia del rapinatore solitario.

Il pm Vincenzo Carusi
C’è poi il capitolo dei maltrattamenti in famiglia, per i giudici il reato non sussiste e spiegano: «Non solo alcune delle condotte prospettate come vessatorie non risultano dimostrate, mentre altre risultano altrimenti giustificabili, dunque non costituiscono espressione di angherie o di soprusi, ma anche allorquando vi erano delle discussioni tra i familiari le stesse avvenivano ‘inter pares’, posto che Rosina riusciva pienamente a fronteggiare i suoi interlocutori non risparmiando loro insulti e rimproveri e ricorrendo anche alle ‘sberle’, laddove non avesse ritenuto sufficienti le sue pur efficaci parole, come esaustivamente comprovato dalle ‘conversazioni’ registrate» scrivono i giudici. Inoltre su Rosina aggiungono che, da quanto emerso nel corso del processo, risultava essere una donna che era stata abituata ad un alto tenore di vita, che mangiava al ristorante almeno una volta a settimana, andava spesso dall’estetista, acquistava abiti costosi, molte scarpe e all’improvviso si era trovata a ricevere dal marito solo 10 euro al giorno per le spese, questo a causa delle difficoltà economiche dell’azienda di famiglia. Ciò la portava a lamentarsi, così come la situazione di trovarsi a vivere con nipote e figlia in una casa che aveva gestito da sola per molti anni e che si era trovata a dover rivedere la gestione della casa e degli spazi.
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Situazione esplosiva. Naturale deflagrazione. Processo o meglio condanna da rivalutare.