La partenza della Lube
e il dominio del denaro

Oggi conta solo l’economia, non i sentimenti, non le passioni. La colpa? Sta nel mondo ed è inutile cercarla a Macerata, a Civitanova e a Treia

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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

Nell’ultimo mese gli articoli che Cronache Maceratesi ha dedicato al trasferimento della Lube a Civitanova sono stati letti da 101.200 persone e i relativi commenti hanno raggiunto il numero di 950. Un argomento, questo, sul quale, data la mia propensione a non cacciarmi nelle polemiche, avrei preferito non prendere posizione, ma com’è possibile evitarlo visto che riscuote un’eco così grande nella pubblica opinione? Sto scherzando, ma il silenzio autorizzerebbe chissà quali sospetti: minacce dalla Lube? pressioni da Carancini? Perciò, mio malgrado, qualcosa la dico. E perché mio malgrado? Perché in questa vicenda sono esplose parole grosse come “tradimento”, “ingenerosità”, “ingratitudine”, “inganno”,  “malafede”, “vendetta” e anche qualche insulto, mentre invece, a pensarci bene, vi ha contato soltanto una cosa: il prevalere a livello planetario del denaro su qualsiasi altro valore del vivere civile, e non alludo al denaro sporco, al denaro come farina del diavolo, ma al denaro pulito, al denaro che in questo caso il Comune di Civitanova ha e il Comune di Macerata non ha. Tutto qui. Addio, quindi, alla “Lube Macerata” e auguri alla “Lube Civitanova”. E la passione dello sport, l’entusiasmo dei tifosi, l’immagine identitaria, le radici popolari? Sciocchezze. Non c’è altro, signori, in questo mondo governato dalle borse, dalle agenzie di rating, dagli spread, dai titoli tossici e dai portafogli. Colpa della Lube? Sbagliato pensarlo. La Lube – l’azienda industriale Lube – è inserita nei tempi che corrono e cerca, com’è naturale, di trarne profitto.

Il patron della Lube Luciano Sileoni firma l'accordo con il Comune di Civitanova

Il patron della Lube Luciano Sileoni firma l’accordo con il Comune di Civitanova

E vengo alla questione del nome. Qualcuno ha detto: “Beh? Pure il Sassuolo calcio va a giocare a Reggio Emilia per convenienze anche patrimoniali e nessuno se ne scandalizza”. D’accordo. Però continua a chiamarsi Sassuolo. Domanda: e se al Torino facesse economicamente comodo spostarsi nello stadio di Cuneo si chiamerebbe Cuneo? No, continuerebbe a chiamarsi Torino. Il nome e chi lo porta sono, in fondo, la stessa cosa. Immaginarsi uno che nel trasferirsi da una casa a un’altra cambi anche il proprio nome. Certo, guardandolo in faccia la gente lo riconoscerebbe. Ma chi si trovasse a passare davanti alla sua nuova abitazione e notasse quel nuovo nome sul portone farebbe fatica a capire che è lui. Esagero, me ne rendo conto. Ma non c’è dubbio che in qualche misura ognuno di noi è come si chiama.

lube civitanovaEbbene, ormai da vent’anni, quando fece il suo debutto nei campionati ufficiali, la Lube volley – i padri erano di Treia, ma la madre fu la maceratese “Azzurra” e il focolare domestico divenne a tutti gli effetti il “Palascodella” – porta il nome “Macerata” e con questo nome ha vinto due titoli nazionali ed è entrata nel Gotha della pallavolo europea. Vero è che ultimamente ha dovuto sopportare il disagio di disputare in campo neutro cinque partite interne su sedici, perché la Federazione impone, per le fasi finali, palazzetti da almeno 3.500 posti a sedere, mentre il “Palascodella” ne ha solo 2.100. Ma anche giocando ad Ancona, Pesaro, Osimo o Jesi, lei ha continuato ad essere lei: Lube Macerata. E così continua ad essere per i tifosi, i giornali, le televisioni, le radio. Domani non più: sarà Lube Civitanova. Era proprio indispensabile? Forse lo era, magari perché Civitanova l’ha posta come “conditio sine qua non” per darsi lustro e per il gusto non nuovo d’insidiare il vacillante prestigio del capoluogo di provincia, oppure per certi screzi personali della dirigenza Lube maturatisi, via via, col Comune di Macerata. In sostanza, però, la vera ragione del cambio del nome sta, ancora una volta, nel denaro. Perché pure i nomi, oggi, hanno un prezzo. E c’è chi li vende. E c’è chi li compra.

Lungi da me, sia chiaro, l’intenzione di criticare la Lube, che ha tutto il diritto di fare i propri interessi nella pallavolo in funzione dei propri interessi  nell’azienda cuciniera. Grazie a investimenti incrociati fra pubblico e privato sull’area fieristica, infatti, la città rivierasca è in grado di realizzare un palazzetto da ben 4.200 posti e l’ha proposto alla Lube con la possibilità aggiuntiva di ampi spazi commerciali per la promozione dei prodotti aziendali. Un’offerta, come dice il Vito Corleone di Marlon Brando nel film “Il Padrino”, impossibile da rifiutare. Dunque no, nessuna critica. Parafrasando il Leporello del “Don Giovanni” di Mozart mi limito a dire: “Madamina, il catalogo è questo”. E bisogna starci. Meglio un catalogo diverso? Forse, nel sogno di una società che come ripete anche Papa Francesco dia sì importanza al denaro ma non lo ponga al vertice assoluto di qualsiasi altro valore. Queste, però, sono utopie da anime belle.

La presidentessa della Lube Volley Simona Sileoni e il sindaco di Macerata, Romano Carancini

La presidentessa della Lube Volley Simona Sileoni e il sindaco di Macerata, Romano Carancini

Ecco la ragione per cui mi sembrano fuori luogo le parole – “tradimento”, “ingenerosità”, “ingratitudine”, “inganno”, “malafede”, “vendetta” – che han tenuto banco nelle ultime settimane. Esse esprimono sentimenti, ma i sentimenti, oggigiorno, non contano nulla. Ovvio che a Romano Carancini questa storia non piaccia, ma io, nei suoi panni, farei buon viso a cattivo gioco, perché i costi del raddoppio di capienza del “Palascodella” (quanti milioni?) erano e sono incompatibili, specie in questi anni di crisi, con le reali capacità finanziarie del Comune. Il suo debole, semmai, è stato di non dirlo subito, fin dalle prime richieste della Lube, ma di tirarla per le lunghe con ipotesi, proposte e speranze capaci, sì, di diluire il brodo e renderlo meno salato, ma fatalmente destinate a scontrarsi con l’incombente realtà del denaro, che – ripeto ancora una volta – il Comune di Civitanova ha (privati a parte, di tasca sua uno o due milioni di euro?) e il Comune di Macerata, invece, non ha, nemmeno per cose più importanti di questa.

Già, il Centro Fiera. E qui, fra i maceratesi, non può non emergere un altro sentimento: il rimpianto, un amaro rimpianto. Perché una decina d’anni fa Macerata avrebbe potuto avere un moderno Centro Fiere a Villa Potenza dove l’intesa fra pubblico e privato avrebbe consentito anche la realizzazione di un palasport degno del ruolo di capoluogo. Ma su questo punto rimando i lettori alle documentate inchieste di Giuseppe Bommarito e non mi resta che prendere atto del rimpianto per le cose che potevano essere e, per ragioni un po’ oscure, non sono state. Latte versato, insomma, sul quale è inutile piangere.

Ultime cosucce che butto là come semplici constatazioni. La prima: mentre adesso il “Palascodella” è quasi di proprietà della Lube che ne ha la gestione esclusiva, il palazzetto – o palazzotto – di Civitanova dovrà dividersi fra il volley della Lube e il basket della Sutor di Montegranaro, con qualche reciproco disagio per la concomitanza dei due campionati e per il materiale del tappeto di gioco, che fra i due sport mi si dice diverso. La seconda: siccome, se tutto va bene, l’impianto civitanovese sarà pronto alla fine di agosto del 2014, la Lube dovrà comunque disputare al “Palascodella” il prossimo campionato e forse, non potendosi escludere che vi saranno ritardi nella consegna di quei lavori, anche il successivo, in una situazione ambigua e incline a ulteriori polemiche. La terza: tutto sembra deciso, ma già si legge di danarosi contrasti all’interno della Civita Park, la società edile sulla quale ruotano sia la Fiera sia il Palas sia l’area commerciale, e siccome in Italia non si riesce a capire neanche se domani ci sarà ancora un governo, si deve concludere che il futuro è sempre nel grembo degli dei. I quali, in preda all’ebbrezza dell’ambrosia, non fabbricano cucine e non giocano a pallavolo.

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