Cure domiciliari, la proposta di Incroci:
«Farmacie comunali come hub
Centrale sarà l’infermiere di comunità»

ELEZIONI CIVITANOVA - L'idea lanciata da Natalia Conestà, candidata a sostegno di Vinicio Morgoni: «Ci proponiamo, rafforzando la sinergia con l’Ambito Territoriale Sociale, di accorpare i servizi, migliorando l’accessibilità, definendo meglio la destinazione ed agevolando la medicina di prossimità»

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Natalia Conestà, candidata della lista Incroci a sostegno di Vinicio Morgoni

 

«Farmacie comunali come hub per le cure domiciliari attraverso la figura dell’infermiere di comunità». E’ la proposta che lancia Natalia Conestà, candidata della lista Incroci a sostegno di Vinicio Morgoni.

«A Civitanova – dice – i servizi sanitari (ospedale, Ufficio di igiene e sanità pubblica, sportelli dell’Asur )sono dislocati in diverse zone della città. Ci proponiamo, rafforzandola sinergia con l’Ambito Territoriale Sociale, di accorpare i servizi, migliorando l’accessibilità, definendo meglio la destinazione ed agevolando la medicina di prossimità. Oltre all’accorpamento dei servizi socio sanitari, dunque, e una maggiore efficienza degli stessi, il Comune può fare qualcosa anche sul versante delle cure domiciliari, attraverso la figura dell’infermiere di comunità, che, in mancanza di politiche sanitarie vere e proprie al riguardo, possano appoggiarsi alle Farmacie comunali che potrebbero fare da Hub per questo servizio, come già lo stanno facendo per la diagnostica, e alla misurazione della pressione e di altri parametri a sostegno dei medici di famiglia, di cui l’importanza per le cure va riconosciuta».

«Il grande ospedale o l’eccellenza non può sostituire la medicina di base. Il Covid, peraltro, ha reso ancora più urgente l’istituzione dell’infermiere di famiglia e di comunità – continua Conestà – per rafforzare i servizi di assistenza territoriale. Una figura che potrebbe essere centrale per la prevenzione e la gestione delle situazioni di cronicità, già sperimentata con successo in alcune regioni e comuni d’Italia. L’infermiere di famiglia e di comunità entra nelle case delle persone, contrasta le disuguaglianze soprattutto nelle aree più periferiche e garantisce un’assistenza territoriale accessibile soprattutto a una popolazione che invecchia e presenta sempre più cronicità e disabilità, con la necessità di soddisfare bisogni di assistenza complessi che gran parte delle famiglie non può affrontare da sola, come emerso con tutta la sua drammaticità durante questa pandemia. Riconoscere ovunque nei sistemi sanitari delle Regioni italiane la figura dell’infermiere di famiglia e comunità, sarebbe un grade passo in avanti».

La Conestà accende poi i riflettori sulle Rsa. «L’epidemia di Covid ha squarciato una realtà di sofferenza e isolamento, per lo più misconosciuta, di cui non si parla o rispetto alla quale si prova vergogna: le residenze per anziani non più autosufficienti. Il numero di contagi e di morti all’interno delle Rsa e delle case di cura ha scoperchiato una realtà sempre lontano dai riflettori, facendo aprire una riflessione su come cambiare il modello fino a qui adottato e le regole e i controlli a cui sono sottoposti i privati che gestiscono queste strutture con soldi pubblici». Già nel 2020 la Conestà aveva lanciato insieme ad altri colleghi una petizione online per un centro di riferimento per le cure territoriali, in altri termini per la medicina di comunità, basato proprio a Civitanova come esperienza pilota. «Le Marche – sottolinea – non dispongono di organizzazione e strutture all’altezza del compito di controllare epidemie sul territorio per proteggere le persone più esposte e fragili, i sanitari e i luoghi più sensibili. Una lettera era stata inviata anche alla Regione che non aveva risposto. La sanità non è appannaggio né dei politici né dei medici da soli. Il sistema anglosassone ci spiega che il concetto di sanità pubblica è interdisciplinare e la sanità pubblica è definita come la scienza e l’arte del prevenire le malattie – conclude Conestà – La copertura sanitaria universale significa che tutte le persone hanno accesso ai servizi sanitari di cui hanno bisogno, quando e dove ne hanno bisogno, senza ostacoli finanziari. Purtroppo però si è costretti a portare i nostri anziani negli ospizi o Rsa che hanno dimostrato non essere idonee a gestire una epidemia».

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