Ugo Bellesi
di Ugo Bellesi
Il disastroso evento sismico del 2016 che ha provocato tante vittime e sconvolto un vasto arco dei nostri Sibillini ha avuto come unico risvolto positivo quello di richiamare l’attenzione di tutta Italia, attraverso i mass media, su di un territorio bellissimo e su di una eroica popolazione che per anni erano stati quasi emarginati. Infatti mentre i tanti progetti di rilancio proposti dagli enti locali sono stati sempre accantonati, e alcune delle leggi positive, che pure erano state varate da diversi Governi nazionali, o avevano scarsi finanziamenti o non sono state accompagnate dai necessari regolamenti di attuazione.
Il risveglio dell’attenzione di tutti verso quel “territorio di mezzo” ha provocato una serie di pubblicazioni, come libri e riviste, tutte interessanti e con illuminanti progetti per la rinascita di una parte d’Italia che può ancora dare un valido contributo alla crescita del Pil e alla diminuzione dello spread. Tra i tanti libri apparsi in tempi più recenti non si può fare a meno di leggere quello a firma del prof. Augusto Ciuffetti, docente all’Università politecnica delle Marche, intitolato “Appennino – Economie, culture e spazi sociali dal medioevo all’età contemporanea”, che ha il merito, prima di arrivare all’attualità, di tracciare la storia della “dorsale appenninica dell’Italia centrale, dall’area tosco-emiliana fino all’Abruzzo”. E siccome la “storia è maestra di vita” in questa narrazione, fatta in modo scientifico con precise citazioni e tantissimi riferimenti bibliografici, abbiamo tutti tantissimo da imparare.
Augusto Ciuffetti
E’ proprio in questa “terra di mezzo” che è nata la civiltà appenninica la quale ha lasciato un’impronta indelebile, confermata dal legame profondo che c’è tra gli abitanti dell’Appennino e la loro terra come dimostrano la forte resilienza di questa gente e il fenomeno ricorrente del “ritorno”. Il prof. Ciuffetti nella sua ricostruzione storica parte da lontano risalendo alla Valle Castoriana e all’abbazia di Sant’Eutizio (“la più antica prosa lunga in volgare proviene proprio da quel monastero”). Il che gli consente di sottolineare “l’alto tasso di alfabetizzazione nelle aree montane” nonché “la diffusione di una cultura popolare di grande valore e rilievo” oltre alla presenza “nel territorio di un patrimonio artistico di rilievo”. E conclude affermando che si tratta di “una civiltà appenninica in grado di illuminare per l’intera età moderna l’Italia centrale” (come rivela in una intervista rilasciata alla redazione di “Letture.Org”). Tanto è vero che il primo libro stampato in Italia proviene da una prototipografia installata all’interno del monastero di Santa Scolastica a Subiaco. E la cultura viaggia anche grazie all’industria cartaria e grazie ai traffici commerciali che legavano il porto di Ancona, attraverso l’Appennino, all’Abruzzo e al Lazio. E ovviamente egli fa riferimento anche al francescanesimo e alle numerose comunità religiose sparse in questo territorio.
Passando ad esaminare la situazione economica il prof.Ciuffetti spiega che la gente “riusciva a sopravvivere integrando la coltivazione di piccoli appezzamenti di terra con la pratica degli usi civici e partecipando alla gestione e allo sfruttamento di beni comuni o collettivi”. Ed era intenso un circuito commerciale tra “terre alte” e “terre basse” con un capillare sistema di tratturi, sentieri e mulattiere. Altro fenomeno era costituito dal fatto che i contadini avevano una pluriattività ricorrendo anche alla migrazione stagionale, che caratterizzava non solo la transumanza delle greggi ma anche quanti, oltre a coltivare i campi, diventavano carbonai, fornaciai, braccianti, venditori ambulanti nella maremma o nell’agro romano. Per non parlare delle protoindustrie come mulini, gualcherie, cartiere, concerie, segherie, lanifici che servivano non soltanto i mercati locali ma anche quelli lontani. E queste attività erano favorite dal fatto che la forza motrice era fornita dai corsi d’acqua.
Il prof. Ciuffetti passa infine ad esaminare le prospettive di rinascita di questo territorio ed esclude subito la possibilità di attuare grandi progetti economici e sociali che non sono applicabili all’Appennino. E’ invece importante puntare alla riscoperta dei “beni territoriali” pensando soprattutto ad un turismo delle aree interne “a passo lento” favorito dalla sentieristica. Ma questo va integrato con una produzione agricola che privilegi la biodiversità, preziosa per proteggere il paesaggio. Bisogna soprattutto pensare ad una produzione di alta qualità che abbia l’impronta della tipicità e del marchio che avvalori l’appartenenza a quel territorio. I consumatori infatti sono sempre più alla ricerca di cibi genuini e garantiti. Anche i processi produttivi però dovrebbero essere “artigianali” quindi “esclusivi per quanto possibile del territorio” dal momento che quelli industriali li troviamo in tutto il mondo.
Passando alle conclusioni l’autore evidenzia come, per attivare tutto ciò, sia necessario un “contenitore politico”, con relativi strumenti amministrativi e normativi, che consentano di portare avanti questi progetti e queste idee. Poi per gestire le risorse collettive e per durare nel tempo egli propone, quale ente territoriale, le “Comunanze agrarie”, bisognose però di un aggiornamento mediante “cooperative di comunità” che consentano ai montanari (vecchi e nuovi) di rimanere nel territorio e di sviluppare progetti economici, sociali e culturali. Solo in questo modo l’Appennino può tornare ad essere “uno spazio accogliente e aperto nei confronti degli ‘altri’, dove regnino coesione sociale e solidarietà, indispensabili per ritrovare lo spirito di umanità “che appartiene alla storia plurisecolare della dorsale appenninica”.
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