Coronavirus o terremoto,
non c’è posto per i sindaci

AI MARGINI nelle procedure per la ricostruzione, ora si trovano, pur essendo l'Autorità sanitaria locale, a dover solo recepire le indicazioni governative e regionali. Eppure sono i più vicini ai cittadini che li hanno espressamente scelti

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La riunione dei sindaci col presidente Ceriscioli

 

di Alessandra Pierini

E ci risiamo. Ancora una volta i sindaci sono i grandi esclusi dell’emergenza. Era accaduto dopo il sisma del 2016. E si sta replicando anche ora. I primi cittadini che si trovano a contatto diretto con i cittadini, con i disagi della loro gente e con continue domande a cui dare risposta si trovano ancora una volta a poter solo recepire indicazioni che arrivano direttamente da Roma, o al massimo, quando va bene, dalla Regione. Spesso inascoltati e informati in ritardo, non possono che lanciare appelli per chiedere un maggior coinvolgimento ma la tendenza all’accentramento vince, sempre e comunque.
La differenza si è vista prepotentemente dopo il terremoto del 2016. A evidenziarla più volte è stato Venanzo Ronchetti, ribattezzato il “sindaco del terremoto” dopo le terribili scosse del 1997. Allora i sindaci erano stati protagonisti dell’emergenza e della ricostruzione. Non così da quattro anni a questa parte. I primi cittadini hanno minacciato più volte di restituire la fascia, hanno lanciato infiniti appelli per essere quantomeno consultati e ogni tanto pure ascoltati, magari. Alla base di tutto la logica del sospetto (come se i Comuni rappresentassero una falla dal punto di vista della corruzione) che comporta infiniti cavilli burocratici, passaggi su passaggi tra istituzioni. Risultato: la ricostruzione non parte, poco si muove e con grande lentezza. Se qualcosa è stato fatto, spesso il merito è di privati che si sono prodigati in donazioni, anche importanti.

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Il sindaco Sborgia a confronto con l’assessore Sciapichetti

Cosa sta accadendo con il Coronavirus? Esattamente la stessa cosa. I sindaci che, non a caso rappresentano l’autorità sanitaria locale e i quali, quasi sempre, conoscono molto bene i loro territori e le problematiche che li affliggono, non hanno praticamente voce in capitolo. Esempio palese quello di Camerino. Il sindaco Sandro Sborgia ha ammesso che ha saputo che l’ospedale della sua città stava diventando un Covid Hospital quando la trasformazione era già iniziata. O peggio ancora il primo cittadino di Matelica Massimo Baldini che si è trovato addirittura a dover smentire l’ordinanza regionale che indicava un caso accertato di Covid-19 nel suo comune. Intanto tra i primi cittadini della nostra provincia c’è chi si limita a riportare su Facebook le indicazioni date dal governo, chi fa telefonate serali ai residenti raccomandando di stare uniti. Qualcuno va oltre. Come il sindaco di Porto Recanati Giuseppe Mozzicafreddo che ha protestato perchè nessuno lo aveva informato che nel territorio del suo comune ci fossero dei contagiati.Ad esempio il sindaco di Caldarola Luca Maria Giuseppetti il quale, in modo assolutamente sensato, mentre in tutta Italia, risuona l’appello #stateacasa, cerca di far capire che forse non è il momento di riunire tutti i sindaci in uno stanzone con il nuovo commissario straordinario per il sisma Legnini: «Non è urgente, la trovo irresponsabile». Per fortuna, almeno in questo caso, è stato ascoltato. Che dare potere ai sindaci possa portare ad una forma di anarchia istituzionale? Non è escluso ma al momento i sindaci sono tra i soggetti al potere quelli che realmente sono stati scelti ed eletti dai cittadini. Del governo, certo, non si può dire lo stesso.

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