Lo spopolamento di tutto l’entroterra
crea disoccupazione e crisi economica

IL COMMENTO - In tre anni dal sisma si sono “persi” 6.640 cittadini “consumatori”. E la conseguenza è che i piccoli negozi chiudono e le fabbriche riducono il personale. Se la ricostruzione non parte non è colpa di chi non presenta progetti. Bensì dal guazzabuglio di norme che scoraggia anche i progettisti. O forse era proprio questo che si voleva “in alto loco”?
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Ugo Bellesi

 

di Ugo Bellesi

L’aver trascurato per decenni il problema dello spopolamento dell’entroterra (e la desertificazione si è accentuata con gli ultimi terremoti) ha provocato conseguenze economiche gravissime per tutta la provincia di Macerata. E i nodi stanno venendo al pettine. Infatti si era pensato che la desertificazione dei paesi a ridosso dei Sibillini avrebbe significato soltanto uno “scivolamento a valle” della popolazione. Questo è vero ma solo in parte. Infatti l’intasamento di abitanti nelle cittadine lungo la costa ha determinato inevitabilmente una carenza di tutti i servizi (sanitari, scolastici, di trasporto ecc.) perché quei Comuni non erano “tarati” per assorbire una popolazione doppia di quella per cui erano stati creati. Di conseguenza c’è stato uno spostamento a nord di nuclei familiari che, vuoi per maggiori occasioni di lavoro e vuoi per migliori possibilità di scelta degli studi per i loro figli, hanno preferito trasferirsi verso città più a misura d’uomo. Tra l’altro anche gli stranieri se ne vanno: 305 unità hanno lasciato il territorio della provincia.

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Il rapporto Istat di luglio fotografa un calo della popolazione in provincia

Pur tenendo conto anche del fenomeno della diminuzione delle nascite (conseguenza della carenza di asili nido e di scarse o nulle agevolazioni per chi deve allevare i figli con un solo stipendio e non avendo rimunerazioni adeguate) siamo arrivati al risultato che attualmente ogni anno in provincia di Macerata, come già avevamo segnalato recentemente, c’è una perdita media di 2.000 abitanti l’anno. Il che significa che ogni anno letteralmente “sparisce” la popolazione di un Comune come Apiro o come Loro Piceno. Così negli ultimi tre anni, tra il gennaio 2016 (l’anno del terremoto) e il marzo 2019 abbiamo avuto una perdita di 6.640 abitanti. In pratica sono “scomparsi” gli abitanti di un Comune come Pollenza.

La conseguenza quale è? Semplice: ci sono 6.640 consumatori in meno. Oltre 6.000 persone quindi che non acquistano generi alimentari, che non consumano scarpe, che non hanno bisogno di vestiti eccetera, eccetera. Quindi si verifica il “dramma” che tutto il settore della produzione e tutto il settore del commercio stanno perdendo molti dei loro acquirenti. Con la conseguenza che i piccoli negozi chiudono, che le fabbriche licenziano, che gli artigiani a poco a poco non hanno più clienti. Un esempio su tutti: quello dell’azienda Cappa Salumi di Villa Sant’Antonio a Visso. Lo stesso Cappa ha detto: «Prima del terremoto, d’estate, avevamo sette o otto persone impiegate qui, e ora siamo rimasti solo in tre».

Come è evidente, lo spopolamento si riflette sull’occupazione. Non abbiamo le statistiche della provincia di Macerata ma, in base ai dati forniti dall’Istat elaborati dall’Ires Cgil Marche, risulta che i disoccupati, che erano 63.122 nel primo trimestre 2018, sono saliti a 64.000 del 2019 con un + 1,4%. Se confrontati con i risultati del 4° trimestre del 2018 il numero dei disoccupati quest’anno nelle Marche aumenta del 9,4%. Intanto continuano a crescere i dati della cassa integrazione e a diminuire quelli della produzione industriale. Così le Marche, che poco più di una decina di anni fa, insieme a Toscana e Umbria, venivano considerate economicamente in ripresa e capaci quasi di agganciare le regioni del Nord, oggi retrocedono a livello delle regioni del sud.

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Una casa inagibile a Pieve Torina

Ma passiamo al grave problema della mancata ricostruzione post sisma. Su questo fronte ci stanno imponendo l’idea che, se sono poche le richieste per le riparazione dei danni lievi e latitano quelle per danni gravi, la colpa non è delle norme contraddittorie varate in materia, non è del famigerato decreto 189/2016, non è della insufficienza di professionisti e tecnici negli Uffici della ricostruzione, non è della burocrazia, non è della sfiducia dei cittadini che i lavori saranno pagati per intero dallo Stato, non è per il fatto che ancora ci sono troppe zone rosse, non è per le macerie che intasano molte strade dei centri urbani, bensì (Udite! Udite! Udite!) dei terremotati che non presentano le domande. E qualche burocrate avrebbe detto: «La colpa è vostra perché c’è gente che non ha interesse per la ricostruzione. Ormai è andata in altri luoghi». Ed è per questo che le Istituzioni (forti con i deboli ma deboli con i potenti) salgono in cattedra e, misconoscendo tutte le proprie colpe, intimano perentoriamente ai cittadini di presentare domande e progetti per danni lievi entro il 31 dicembre 2019. Ben sapendo che in tre mesi sarà impossibile che gli interessati riescano a presentare tutti i documenti richiesti. Infatti gli architetti e ingegneri delle Marche avevano già scritto al presidente della Repubblica Mattarella spiegando che: «La ricostruzione non si velocizza imponendo delle scadenze umanamente impossibili da rispettare, ma concertando le regole con chi operativamente si trova in trincea e sacrifica anche la famiglia per essere il più possibile produttivo».

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Giuseppe Conte a Castelsantangelo sul Nera ha ribadito che non ci saranno proroghe

Ma poiché le stesse Istituzioni hanno minacciato che non ci saranno più proroghe e che quindi gli inadempienti decadranno da ogni diritto, tra i terremotati è sorto un terribile dubbio: “Vuoi vedere che il decreto 189/2016 e i successivi provvedimenti contraddittori tra loro erano stati emanati soltanto per creare un guazzabuglio di norme e mettere i tecnici progettisti in estrema difficoltà, col fine ultimo di limitare al minimo il numero di edifici da ristrutturare, con evidente risparmio per le casse dello Stato. Ma se il fine era questo perché non l’hanno detto subito? Avremmo un po’ protestato e poi ci saremmo messi il cuore in pace, sia pure con molto rancore”. E che si tratti di un problema di soldi lo ha sottolineato anche la Fondazione Symbola. Nel corso di una conferenza stampa infatti è stato evidenziato che: «Se escludiamo i 15 miliardi messi nella prima fase dal governo Renzi, aggiunti ad 1,2 miliardi arrivati dall’Europa, non c’è traccia di altri stanziamenti destinati a coprire le esigenze di una ricostruzione post sisma che complessivamente vale almeno 50 miliardi di euro». D’altra parte anche l’architetto Vittorio Lanciani, presidente dell’Ordine degli architetti di Macerata, aveva espresso timore identico sulla insufficienza delle risorse economiche: «Nessuno ormai crede più che 79.500 progetti di ricostruzione possano essere finanziati solo con il meccanismo del credito di imposta».

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Case inagibili a Castelsantangelo

D’altra parte non è assolutamente vero che la gente non voglia ricostruire. Le famiglie terremotate vogliono fortemente ritornare nelle loro case prima possibile. Infatti le abitazioni, a causa delle piccole o grandi lesioni, dopo tre inverni (e sta arrivando il quarto) si sono ulteriormente deteriorate perché esposte a tutte le intemperie. Non solo si stanno macerando tutti i mobili, diventano inservibili le attrezzature delle cucine, l’acqua piovana e la neve che si scioglie danneggiano gli impianti elettrici e rendono inutilizzabili le cantine. Il che significa che una volta ristrutturata la casa si dovrà acquistare tutto di nuovo con spese non irrisorie. Per tutto questo la verità non è quella raccontata dalle Istituzioni. «Chi sta nelle Sae – ha scritto su facebook una terremotata – ha tutto l’interesse a ricostruire perché non è carino vivere in una Sae. E’ come stare in un ghetto. Ce li farei stare un giorno, solo un giorno, a loro in 40 metri quadri con una persona disabile». Tutti hanno desiderio di lasciare le Sae e vedere messa al sicuro la loro casa danneggiata dal sisma. Ma quando si presentano dei progetti capitano cose stranissime. Uno studio di Macerata un anno fa aveva presentato un progetto per il “consolidamento” di un edificio. «Ebbene – ci dichiara il titolare – dopo un anno ci arriva la comunicazione che la normativa è cambiata ed ora dobbiamo rifare tutto il lavoro da capo». D’altra parte non è soltanto la ricostruzione privata che langue. Quello che preoccupa i terremotati è soprattutto il fatto che neppure le strutture pubbliche marciano a pieno regime nella ricostruzione come dovrebbe. E sicuramente il presidente Conte, nella recente visita nell’area terremotata, se ne sarà reso conto visto che ad Accumoli, per incontrare gli amministratori locali, ha dovuto far ricorso al Centro polifunzionale finanziato dalla solidarietà di molte organizzazione e da un contributo di 32.000 euro dell’agenzia di informazione Auser. A Castelsantangelo sul Nera il presidente ha incontrato i sindaci del territorio nella sala polivalente “Amici del Trentino” realizzata con i finanziamenti della Pro Loco di Revò e dell’altopiano di Vigolana.

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