di Fabrizio Cambriani
Strana campagna elettorale quella in corso. Mancano due sole settimane alla data delle elezioni e sul territorio, sul campo, non se ne percepiscono ancora i segnali di vivacità. Ma neanche di vitalità. Desolatamente ancora vuoti gli spazi elettorali per i manifesti. Isolate le facce dei candidati incollate sopra. Però tutte rigorosamente photoshoppate a correggere anni e occhiaie. Rari gli incontri organizzati dalle forze politiche e in questi pochi, semideserte le sale. Anche nei collegi maggioritari, dove la battaglia è uno contro l’altro, manca il confronto pubblico. Benché i mezzi di comunicazioni abbiano fatto passi da gigante rispetto al 2001. Anno dell’ultima competizione attraverso i collegi uninominali.
Spazi elettorali vuoti
Un’apparente, generale disinteresse che stride con il tifo da stadio sempre più energico e saldamente presente sui social, nel web. È come se ci fossero due realtà: quella della quotidianità vera, nella quale prevale indifferenza e disillusione e una virtuale in cui ci si azzuffa reciprocamente per ventiquattro ore al giorno praticando l’esegesi di ogni più banale dichiarazione di questo o quel leader. È una ripartizione trasversale agli schieramenti che attraversa e pervade l’intera penisola. Frazionandola tra disincantati e ultras. Con i primi che non hanno deciso ancora per chi votare. Ma soprattutto non sanno ancora se si recheranno alle urne, domenica 4 marzo, esercitando il loro diritto-dovere. Mentre i secondi, dall’alto delle loro incrollabili certezze, tanto glorificano il loro candidato, quanto infangano quelli degli avversari. Il risultato è che, in questo clima da Malebolge, la politica recluta un’aspirante classe dirigente capace solo di sputare fiele. Ma del tutto incapace di analizzare e governare fenomeni di complessità epocale.
Grandi assenti, in questo giro di boa, i partiti politici che ormai nella loro quasi totalità, hanno rinunciato al ruolo di filtro, guida, e indirizzo delle masse. Mancano, oltre a quattro o cinque idee forti e adeguate al terzo millennio, anche risorse organizzative e mezzi. L’abolizione dei rimborsi elettorali (ex finanziamento pubblico ai partiti), non solo gli ha svuotato le casse, ma li ha messi nella condizione di far pagare, di tasca propria, ai candidati la loro nomina. Cifre da trentamila o quindicimila euro. Una follia da qualsiasi punto di vista democratico la si voglia guardare. Oppure, molto più terra terra, un cinico investimento.
Fac-simile della scheda elettorale
I grandi media non fanno altro che preannunciare l’assenza di una maggioranza certa nel prossimo Parlamento. Gli ultimi sondaggi effettuati, prima del divieto di ogni ulteriore pubblicazione da domani, certificano lo stallo. Davanti il centrodestra, staccato di qualche punto il Movimento 5 Stelle e a un’incollatura l’oramai ridotto centrosinistra a guida Pd. Ma il partito più consistente è quello del non voto seguito a ruota da quello degli indecisi, stimato in circa sei milioni di persone. C’è da riconoscere che se lo scenario che si prospetta è un nulla di fatto – un votare a vuoto – per poi lasciar in mano il destino dell’Italia ai soliti tre o quattro capi di partito si rivela comprensibile pure il restare a casa di molti. Ma temo che la stesura e l’approvazione di questa assurda legge elettorale si sia ispirata proprio a questa finalità: allontanare il più possibile dal campo della democrazia partecipativa il grosso del corpo elettorale. Quello che non si riconosce nelle ristrette élite di fazione. Quella maggioranza silenziosa che nel segreto dell’urna indicava ai partiti quale fosse la nuova fase politica da aprire. Senza traumi, né strappi rilevanti.
La novità significativa per quanto riguarda la nostra regione – stando agli ultimi rilievi sulle intenzioni di voto – è che le Marche hanno perduto o stanno perdendo la connotazione di regione rossa. Sono lontanissimi gli anni in cui il frettolosamente rottamato Ulivo, nei collegi uninominali, faceva il pieno di parlamentari. Da Pesaro fino ad Ascoli, passando per Macerata. Oggi, in regime di tripolarità, si viaggia su di un sostanziale pareggio. Con un leggero vantaggio per il centrodestra. E non perché i suoi abitanti si siano imborghesiti. Al contrario e con la crisi del manifatturiero, emerge un disagio sempre più diffuso. Licenziamenti e ricorsi agli ammortizzatori sociali non fanno ormai più notizia. Anche la percezione del problema della sicurezza – talvolta legato all’immigrazione – sta assumendo proporzioni parossistiche. I fatti di Macerata sono la punta di un iceberg che include un sommerso sempre più preoccupante. Fino al punto di far retrocedere bruscamente dal primo punto dell’agenda politica pure tutte le spinose questioni legate al post sisma. Un’altra complicata priorità che si aggiunge e rende più difficile, sin da dopo il voto, il percorso già tutto in salita della giunta Ceriscioli. Ma questa è un’altra storia…
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Votare significa assumersi la responsabilità anche per gli altri. Direi che ci vuole coraggio per farlo. Se poi ci mettiamo il disinteresse per la classe politica,votare senza sapere nemmeno se servirà e se si dovrà andare di nuovo alle urne e chissà quanto. Poi se ci mettiamo tutta una serie di motivi per cui essere indecisi o già decisissimi di non votare, hai voglia di parlare di diritti e doveri. C’è una forza nuova che non ha mai governato a livello nazionale e le cui idee sono ottime e odiate dagli altri partiti….
Le Marche possono recuperare una centralità non tanto come laboratorio politico post-elettorale di nuovi equilibri applicati al territorio ma come regione incubatrice di modelli e sistemi originali di sviluppo dopo la crisi della manifattura e tutto il resto. È un bene che i partiti non guidino più le masse; peccato si occupino poco o nulla di questi problemi. Nei collegi uninominali, pure in quelli incerti, sarà determinante probabilmente più il voto sul simbolo nei suoi flussi che la valutazione sul candidato, vista anche l’assenza per legge del voto disgiunto. Un sistema proporzionale, in un quadro di tripolarismo con coalizioni provvisorie e con un movimento a vocazione solitaria, prevede la possibilità e non l’eccezionalità di una maggioranza di governo che si formi in parlamento e non esca “direttamente” dalle urne.
ma no dai andiamo avanti coi paraocchi come abbiamo fatto finora c
ol solito sedicente centro sinistra,
che di destra ovviamente non e’ di centro neanche e men che meno di sinistra almeno banchieri e industriali continueranno a fare i ca..i loro e noi ci sentiremo ancora convinti che, in fondo, era l’unica cosa da fare
Sarebbe interessante se i vari candidati, nei collegi e nel proporzionale, esprimessero le loro idee in merito alle questioni di seguito elencate, tra le più gravi della provincia: l’epidemia della droga, ormai riguardante anche ragazzini di 11-12 anni; la presenza sempre più egemone della criminalità organizzata; la sottrazione dell’immigrazione agli interessi strumentali delle associazioni di cosiddetta accoglienza.
Non c’è da stupirsi dell’apatia elettorale.
I partiti, con pochissime eccezioni (M5S, Potere al Popolo, forse Lega ex Nord e FdI) si sono trasformati in comitati elettorali.
Hanno fatto di tutto per isolarsi dalla società, per tagliare le radici che li ancoravano a essa, per diventare cordate di persone, spesso senza arte né parte, che non dovessero mai rispondere del loro operato, con metodo democratico, a una base di militanti.
Ci sono riusciti.
Il modello berlusconiano del partito personale, emanazione di un leader che sceglie a suo arbitrio, inevitabilmente tra i fedelissimi, i suoi proconsoli a tutti i livelli; quel modello che venticinque anni fa veniva dipinto come un’anomalia ha trionfato ed è stato abbracciato anche da coloro che si dicevano suoi oppositori. Non solo il PD, ma anche LeU.
Per anni ci è stato detto che questa era la modernità; anzi, la postmodernità.
Forse lo è, ma a me sa tanto di Ottocento, quando i candidati venivano scelti da gruppi ristretti di privilegiati.