«La sconfitta del centrosinistra a Macerata?
Una sorta di rigetto
verso l’amministrazione Carancini»

L'ANALISI del post voto di Alessandro Savi, ex consigliere e attuale coordinatore di Art.1

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Alessandro Savi

 

Continuano le analisi sulla sconfitta del centrosinistra nell’ultima tornata elettorale. Sconfitta che nel Maceratese ha assunto i contorni di una vera e propria disfatta, con il comune di Macerata che è passato al centrodestra dopo 20 anni con il sindaco Sandro Parcaroli e con la Lega che è diventato primo partito in provincia nel voto alle Regionali. Il partito che più ha pagato è stato il Pd, con un’emorragia di voti senza precedenti. Tanto che il segretario provinciale Vitali e quello di Macerata Di Pietro hanno rimesso il mandato nelle mani dei rispettivi direttivi. E così nel dibattito si inserisce anche Alessandro Savi, già assessore provinciale e consigliere a Macerata con la lista della Tardella e ora coordinatore di Art.1 Macerata, che analizza la sconfitta del candidato Narciso Ricotta parlando di una «una sorta di “rigetto” nei confronti dell’amministrazione uscente».

Ecco il suo intervento integrale

«La sconfitta del centrosinistra maceratese nella tornata elettorale del 20 e 21 settembre era nell’aria. Tuttavia proporzioni, numeri e percentuali stupiscono: quasi 20 punti percentuali e quasi 5.000 voti di differenza tra i due schieramenti rappresentano un abisso rispetto al quale occorre interrogarsi con estrema lucidità.
Abbiamo sbagliato tutti e abbiamo sbagliato tutto. Ad iniziare dal candidato sindaco che, pur essendo ottima persona e politico di primo livello, ha rappresentato nell’immaginario collettivo la continuità con l’amministrazione uscente e per questo ha perduto.
Inutile e fuorviante aggrapparsi all’effetto di trascinamento del voto regionale perché gli elettori sanno perfettamente distinguere le schede elettorali: basti guardare cosa è successo a Fermo dove i cittadini hanno premiato la destra in Regione con percentuali al di sopra della media (Acquaroli al 51% e Mangialardi al 34%) ma, nello stesso tempo, hanno confermato con un sonoro 71% il sindaco uscente, a capo di una lista civica.
Inutile e fuorviante anche il tentativo di giustificare il disastroso risultato del PD ricorrendo alle “fecondazioni” effettuate alle liste civiche da alcuni suoi esponenti: i 1500 voti perduti rispetto a cinque anni fa sono un dato drammatico che diventa ancora più pesante (e, per certi versi, pedagogico) se si pensa ai tanti incroci di voto Pd/Parcaroli che ogni rappresentante di lista ha notato ai seggi il giorno dello scrutinio.
Per essere chiari e diretti: la città ha vissuto una sorta di “rigetto” nei confronti dell’amministrazione uscente. Ciò è avvenuto non tanto e non solo per ragioni strettamente amministrative (da questo punto di vista il giudizio è mediocre, non disastroso) ma principalmente per ragioni politiche: l’estrema divisività, il manicheismo (o con noi o contro di noi!), l’incapacità di sintesi e le conseguenti fratture anche istituzionali, la distanza dalla “città reale” sono state una costante in questo decennio vissuto all’insegna dell’isolamento politico. Un isolamento volontario, sia chiaro, dettato da uno sfrenato individualismo per certi versi assimilabile alla figura archetipica dell’eroe romantico.
Che fare? Anzitutto rispettare la “luna di miele” che la città sta vivendo in questa fase. Gravano su Sandro Parcaroli aspettative enormi, attaccarlo adesso è inutile e controproducente. Meglio sfruttare questo periodo per riorganizzare la coalizione che, dopo una disfatta di tali proporzioni, ha bisogno di un bagno di umiltà e di ripartire su basi diverse.
Le liste civiche andrebbero stabilizzate e radicate nel territorio (sarà più semplice per quelle che hanno una rappresentanza in consiglio) mentre le forze politiche che, presenti in Parlamento ma prive di una presenza dignitosa in città (Sinistra Italiana, +Europa, Verdi, Articolo Uno), andrebbero incoraggiate ad organizzarsi piuttosto che esser viste dal Pd come soggetti potenzialmente drenanti. Fino a pochi anni fa la ricchezza politica della coalizione era un punto di forza del centrosinistra: basti pensare che nel 2010 a sostegno di Carancini c’erano cinque forze politiche e due liste civiche mentre con Pistarelli tre partiti e due civiche; nel 2015 nel centrosinistra il rapporto tra partiti e civiche si era eguagliato (tre a tre) mentre a Deborah Pantana erano collegate appena due forze politiche e ben cinque liste civiche; oggi il rapporto si è invertito: due partiti e sei liste civiche con Ricotta mentre, con Parcaroli, ci sono quattro forze politiche e tre civiche. C’è una costante in questi numeri: chi ha avuto il maggior numero di partiti al suo fianco ha sempre vinto le elezioni. E’ il tema del radicamento nel territorio e della maggiore riconoscibilità dei partiti rispetto al civismo, un tema per certi versi inedito per un centrosinistra che, a distanza di dodici anni da quella corsa solitaria di Veltroni che marginalizzò gli alleati, adesso dovrà finalmente affrontare in tutta la sua grave portata».

 

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