Castelsantangelo sul Nera, alle porte della zona rossa (foto Nardi)
Ugo Bellesi
di Ugo Bellesi
Il 26 ottobre 2016 nell’Italia centrale si verificarono due violente scosse sismiche: una alle 19,11 di gradazione 5.4 e l’altra alle 21,18 di gradi 5.9. Quattro giorni dopo, il 30 ottobre subimmo la più violenta scossa di tutto l’evento sismico 2016: erano le 7,40 e fu di gradi 6.5. Ricordiamo tutto questo oggi, a tre anni di distanza, non per rinnovare le paure e il dolore, oltre a terribili danni di quei giorni, ma soltanto per fare il punto della situazione post sisma.
Mauro Falcucci
Partiamo dal recentissimo “decreto Terremoto” sottolineando che ci sono provvedimenti positivi ma non si sono affrontati i grossi problemi che ancora gravano sulle popolazioni colpite dal sisma. E riportiamo subito il giudizio espresso dal sindaco di Castelsantangelo sul Nera, Mauro Falcucci: «Col nuovo decreto sisma l’impegno è stato più onorato nella forma che nella sostanza. Mancano punti fondamentali come personale, zona franca urbana, attenzione fiscale, certezze normative, semplificazione nella ricostruzione pubblica e piano macerie dettagliato». Egli fa poi questa puntuale osservazione: «Perché ad esempio per le agevolazioni dobbiamo essere agganciati alla misura del Mezzogiorno per gli under 46 “Resto al Sud”? Servono interventi mirati».
Alessandro Gentilucci
E’ critico anche il sindaco di Pieve Torina, Alessandro Gentilucci, che spiega: «Nessun pensiero alla scuola o meglio agli insegnanti e al personale Ata, all’organico, tagliato e depotenziato nelle scuole di montagna. E nessuna certezza ai dipendenti del sisma». Lo stesso sindaco di Pieve Torina a suo tempo aveva sottolineato: «Il non aver distinto il cratere in fasce, con indice di danno e in percorsi specifici, che dovevano funzionare per alcuni territori piuttosto che per altri, è il vero danno di questa ricostruzione e di ciò che sta subendo questo pezzo d’Italia».
Giuseppe Pezzanesi
Il sindaco di Tolentino Giuseppe Pezzanesi segnala invece tre incongruenze nell’ultimo decreto per il sisma: «Tre gli aspetti gravi. Innanzitutto il voler interferire sulle scuole con le scelte urbanistiche delle amministrazioni, le uniche a conoscere in modo approfondito i rischi delle case vicine e il traffico. C’è in ballo la sicurezza dei nostri ragazzi. Poi i tecnici non sono rassicurati, né incentivati. E infine non si fa menzione del personale. Per quanti decenni durerà la ricostruzione di questo passo?» E poi precisa: «Perché le scuole all’interno dei centri storici devono essere ricostruite per forza “dov’era e com’era”? Perché nel ridisegno della città o del paese non può esser ripensata anche la collocazione degli edifici scolastici?».
Michele Franchi
Non meno polemico contro il “decreto Terremoto” il vice sindaco di Arquata, Michele Franchi: «Questo decreto va a favore più dei centri grandi che di quelli piccoli come Arquata, Amatrice, Accumoli e quelli del Maceratese. Non è questione di fare città e paesi di serie A e di serie B, perché purtroppo a farlo ci ha già pensato il terremoto del 2016. Ci sono stati 20 Comuni rasi al suolo, che hanno avuto morti, e non possono essere come gli altri».
Luca Giuseppetti
Concetto già espresso a suo tempo dal sindaco di Caldarola, Luca Maria Giuseppetti, il quale si era così espresso: «Il cratere sismico individuato è troppo vasto. Le cose non possono marciare se bisogna parlare con 140 Comuni, quando quelli veramente feriti sono una quarantina».
Nel “decreto Terremoto” per la ricostruzione privata si è decisa una procedura accelerata per l’avvio dei lavori basata sulla autocertificazione redatta dai professionisti. Il controllo però non verrà realizzato più sul 100% dei richiedenti, come avviene oggi, ma solo a campione sul 20% delle pratiche.
Roberto Di Girolamo
In proposito chiarissima la contestazione dell’ing. Roberto Di Girolamo, presidente di Inarsind, che spiega: «Si cerca di semplificare e velocizzare la ricostruzione con l’autocertificazione del professionista. Questo però era già previsto per i danni lievi ma non ha sortito nessun effetto: è stato attuato solo in una decina di casi in tutto il cratere. Il progetto e la relativa attribuzione del contributo sono infatti nelle mani degli istruttori che possono “interpretare” le ordinanze e dire cosa può essere pagato o non pagato, ovvero se un intervento è ammissibile a contributo o meno. Non è pensabile che professionista e proprietario giocheranno questa mano al buio, senza sapere se l’entità del contributo sia sufficiente a coprire i lavori progettati. Se non ha funzionato per i danni lievi, dove gli interventi erano semplici, come possono funzionare per i danni pesanti, cioè le “E” (danni gravi) con molte più variabili?»
Secondo l’ing. Di Girolamo non funziona neppure l’anticipo del 50% ai professionisti della ricostruzione. Infatti «per avere l’anticipo bisognerebbe dare delle garanzie (fidejussione) e tale anticipazione andrà a drenare ulteriormente il già insufficiente contributo per la ristrutturazione o ricostruzione». Lo stesso ing. Di Girolamo critica anche la restituzione della busta pesante al 50% e spiega: «Tale proposta è iniqua in quanto si estende sia alle persone che sono fuori casa e hanno avuto danni alla propria abitazione, che a quelli che non hanno avuto danni».
Maurizio Paulini
In merito all’autocertificazione l’ing.Maurizio Paulini, presidente dell’Ordine degli ingegneri di Macerata, formula un’altra più specifica contestazione: «Ad oggi non è chiarito quali pratiche saranno soggette a tale autocertificazione e cosa i tecnici sono effettivamente chiamati a certificare: il progetto proposto (ricordo che un professionista, all’atto dell’apposizione di timbro e firma, automaticamente si assume la responsabilità, senza necessità di ulteriori autocertificazioni) oppure altro? Nell’ipotesi di certificare altro è necessario comprendere attentamente quali richieste devono essere soddisfatte dai tecnici per evitare di incorrere, nei successivi controlli sulla pratica da parte degli uffici nelle pubbliche amministrazioni, in interpretazioni differenti postume che, per esperienza oramai consolidata, sono altamente probabili in sede di istruttoria valutativa».
Vittorio Lanciani
Contro l’autocertificazione dei progettisti è anche l’arch. Vittorio Lanciani, presidente dell’Ordine degli architetti di Macerata: «Noi professionisti siamo anche disposti a procedere con l’autocertificazione, ma su dati certi. Non possiamo diventare topi di archivio per andare a cercare le carte: ci assumiamo le responsabilità, ma dobbiamo venire a conoscenza di tutte le circolari interne fino ad oggi occultate. E se ci assumiamo più responsabilità, in surroga dell’incapacità dell’amministrazione pubblica, dobbiamo stabilire un quantum: sarebbe impensabile gratis o con le parcelle di adesso».
E a proposito dell’”incapacità della pubblica amministrazione” (di cui parla l’arch. Lanciani) dobbiamo ricordare che, mentre la Swiss Re (la più grande compagnia di riassicurazione del mondo) e la London School of Economics, in uno studio hanno dichiarato che l’Italia è penultima tra 31 paesi del mondo “per capacità di reazione contro catastrofi naturali” (e quindi anche ai terremoti come abbiamo già visto), la Commissione europea ha pubblicato anche quest’anno la Regional Competitiveness indes (cioè l’indice che misura il grado di competitività delle regioni europee) e le Marche “presentano la performance peggiore nella qualità delle istituzioni”. Tutto questo non può certo farci piacere. Ma in proposito capita a pennello la dichiarazione rilasciata da un economista come il prof. Carlo Cottarelli in un recente convegno di Confindustria in Ancona. Questa la sua constatazione: «Se l’efficienza della pubblica amministrazione marchigiana fosse pari a quella dell’Emilia-Romagna il settore privato potrebbe beneficiare di una crescita della produttività più elevata del 7-9%». Che diventerebbero 12/16 punti percentuali se il termine di paragone fosse la Lombardia. Egli ha anche precisato che per raggiungere l’Emilia Romagna basterebbe il «dimezzamento dei tempi della giustizia civile». Nello stesso convegno il capo economista di Confindustria, Andrea Montanino, ha sottolineato che altro handicap è costituito da “una rete di trasporti carente, sotto la media europea in tutte le modalità di trasporto” e “con un gap maggiore rispetto ad altre regioni italiane ed europee” legato alle infrastrutture aeroportuali. E quest’ultimo handicap pesa per non meno di 6 miliardi l’anno sul Pil della Regione Marche.
Cesare Spuri
Per quanto riguarda la ricostruzione post sisma l’ora della verità è arrivata in occasione di un recente convegno della Filca Cisl all’Università di Camerino. Tutto merito dell’ing. Cesare Spuri direttore dell’Ufficio ricostruzione che tra l’altro ha spiegato: «L’Ufficio speciale ricostruzione approva 50 pratiche a settimana, cioè circa 2.600 l’anno. Arriveranno pratiche per altri dieci anni. Nelle Marche ci sono un migliaio di tecnici pieni di lavoro fino al collo, e solo 800 imprese edili. Sono stati aperti 2.500 cantieri di cui 700 hanno concluso i lavori. Lo Stato deve essere consapevole delle condizioni reali della ricostruzione, facendo i conti con i numeri effettivi, sennò non ne verremo mai fuori».
Spuri ha poi reso nota la situazione nel settore dei beni culturali: «Dei 700 interventi non ne è partito nemmeno uno. Tra le domande presentate all’Ufficio ricostruzione mancano ancora 3.000 cantieri, ma la capacità produttiva è quella data dal numero di professionisti ed imprese». E ha così proseguito: «Non avremo nelle Marche 46.000 cantieri, ne prevediamo circa 30.000. Mancano gli alloggi per le maestranze. La ricostruzione soggiace a meccanismi finanziari che ci tolgono ogni illusione. E’ una ricostruzione che non ha cassa, tutta su debito. I professionisti vantano cento milioni di euro di credito, alle aziende viene pagato il primo stato di avanzamento lavori dopo 45 giorni, a cui si devono aggiungere due mesi di attesa prima di riscuotere. Con questi tempi non ha senso parlare di anticipazione». E questo senza tener conto che all’Ufficio ricostruzione ci sono soltanto 13 tecnici che pagano i vari stati di avanzamento dei lavori e, «se una ditta non viene pagata entro un certo termine, poi i soldi tornano alla Cassa depositi e prestiti e vanno richiesti di nuovo». Nello stesso convegno, Luca Tassi, segretario regionale Filca, ha sottolineato la necessità di rifare edifici che possano resistere ai terremoti del futuro ma bisogna anche garantire la qualità del lavoro. E invece sono state soltanto 35 le richieste del documento unico di regolarità contributiva delle imprese edili e non è partito il settimanale di cantiere, che permette di sapere quanta gente vi lavora ogni settimana.
Troppe cose non hanno funzionato .. Stiamo ancora pagando il cas Spese inutili Un emergenza non può durare 3 anni... Spesi milioni per le messe in sicurezza di edifici totalmente irrecuperabili. La macchina della ricostruzione è ferma con le 4frecce. Di questo passo non se ne esce piu
Una burocrazia oscena in tutti i sensi..rallenta la ricostruzione e non da modo di ripartire!!
Vergogna x un paese dove il governo se ne frega è la maledetta Burocrazia fa il resto.
Si sono susseguiti intanto vari governi e commissari. Forse è il caso di chiedersi se la responsabilità non sia del tessuto sociale coinvolto, quello rimasto invariato.
Chi spuri quello messo lì da Cerisicoli ? Ha ha ha
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In tutta questa ricostruzione, ciò che non manca sono norme, regole, prassi. Ma nulla funziona realmente.Anzi,la sensazione è sempre più quella della corda stretta al collo, asfissiante. Tento un piccolissimo contributo, senza pretese: ma ciò che pare mancare totalmente è “l’umanità delle persone normali”. Tutto, in questa ricostruzione, è partito dall’impedire: abusi o ruberie. E ci mancherebbe. Ma poi i pagamenti alle imprese e ai professionisti arrivano dopo 9/10 mesi dalle certificazioni del dovuto. E non si trova soluzione. Tutto è partito perchè la ricostruzione fosse sostenuta dal finanziamento pubblico. Ma non c’è un intervento che riesce ad uscire senza spese a carico dei singoli privati, siano essi ricchi possidenti o semplici pensionati al minimo. Ma non c’è proposta e men che meno soluzione. Infine, qualcuno pensa che mettendo tutto dentro ad una autocertificazione del professionista si risolva tutto. Ma si tralascia di riflettere sulla pretesa che si è avuta all’inizio, ovvero quello di far “scontare” ai proprietari degli immobili tutti gli eventi accaduti nei decenni precedenti. Con istruttorie a carico dei comuni sulle legittimità degli immobili che arrivano ai documenti catastali del 1939, con la generazione di percorsi infiniti per riuscire a venir fuori da situazioni di cui nessuno, men che meno gli utilizzatori di oggi, sanno praticamente nulla. Di sicuro c’è il costo delle sanatorie, in termini economici e di tempo necessario. Ma su tutti i problemi che emergono man mano, le scelte non sono di concertazione (men che meno con la rete delle professioni tecniche…) ma di imposizione, perdendo completamente di vista il problema vero: la paura, le persone, le lacrime e il desiderio di provare a tornare ad una vita “normale”. Magari imperfetta. Ma una vita. Che con l’ipotesi della “ricostruzione perfetta” resta un miraggio che già sta producendo la nausea: nel confezionare progetti da parte dei professionisti, nel realizzarli da parte delle imprese, nell’attendere infiniti percorsi da parte dei proprietari che, in tante già materiali situazioni, hanno cambiato vita e non torneranno più nei paesi più danneggiati. Torna alla mente un vecchio detto: “il meglio è nemico del bene”. Per dire che in una vastità di problemi come quella che è accaduta, “farsi bastare” il bene potrebbe essere in tanti casi sufficiente, di fronte ad un “meglio” il cui raggiungimento rischia di non interessare più a nessuno.