Intervento Gilberto Pambianchi
di Monia Orazi
Erosione del suolo nei territori abbandonati, rischio di parziale rimpicciolimento dei grandi laghi artificiali della vallata del Chienti, sempre meno precipitazioni in montagna e tanti giorni di pioggia o siccità tutti insieme: sono questi alcuni dei dati con cui dovrà fare i conti la ricostruzione post terremoto, emersi dalla giornata di studi appena conclusa a Camerino, organizzata dalla Redi, Rete per la riduzione dei rischi naturali, in collaborazione con i club Unesco di San Benedetto e Tolentino, con il patrocinio di Unicam, comune di Camerino ed altri enti, nell’auditorium Benedetto XIII. Una lunga carrellata di interventi tra mattina e pomeriggio ha messo in luce la scarsa azione di prevenzione e pianificazione strategica che si sta mettendo in campo per ricostruire dopo i sismi del 2016. “L’esposizione alle calamità naturali, delle aree fragili sull’Appennino”, è il titolo scelto per la giornata, conclusasi con la visita alla zona rossa di Camerino e con tavoli tematici nel pomeriggio sui vari aspetti legati al lungo processo di ricostruzione che riguarderà le zone devastate dal terremoto. «Un terremoto non è solo la somma dei danni riportati dagli edifici – ha detto Valter Fabietti docente di pianificazione urbanistica all’università di Chieti – ma una città con il passare del tempo eroga sempre più funzioni, che vengono drasticamente ridotte o fatte cessare dall’evento sismico, a seconda del livello di danno, perché manca lo spazio.
Intervento Emanuele Tondi
La prevenzione fatta prima dell’evento calamitoso, riduce costi e tempo necessari alla ricostruzione, spetta alla politica la scelta di attuarla, è un problema di risorse e non sempre chi la attua ne riceve un beneficio politico. Passato l’evento sismico, l’interesse alla prevenzione gradualmente cala». Tra gli interventi anche quello del geologo Unicam Emanuele Tondi, che ha illustrato come per ridurre il rischio sismico nelle diverse zone d’Italia serva aggiornare le mappe di pericolosità sismica esistenti, che considerano il terremoto non dipendente dal tempo, riportando valori di accelerazione più bassi rispetto a quelli che si verificano con i terremoti. Ad esempio a Norcia è riportato un valore di 0,25 g, mentre con le scosse del 2016 si è raggiunto il livello doppio di 0,5 g. Ha detto Emanuele Tondi: «Stiamo ricostruendo in modo sicuro? Ci stiamo preparando per affrontare al meglio il prossimo terremoto? Per rispondere a questa domanda andrebbe utilizzata una carta della pericolosità sismica deterministica e dinamica, in relazione al tempo in cui si sono verificati i terremoti in passato, riducendo la vulnerabilità sismica degli edifici». È intervenuto anche il geologo Gilberto Pambianchi il quale ha denunciato che la programmazione si basa su materiale cartografico geologico da aggiornare. «La prevenzione è la via maestra – ha detto Pambianchi – non si fa solo prima ma anche dopo l’evento sismico. Durante la ricostruzione si deve pensare alla prevenzione, altrimenti quando arriverà un altro sisma gli sforzi saranno vani». Un altro problema è il rischio idrogeologico, derivante dal cambiamento climatico che si ripercuote anche sul futuro della ricostruzione. Come ha evidenziato Matteo Gentilucci in cinquant’anni cadono 75 millimetri in meno di pioggia nelle Marche ed in particolare una forte diminuzione delle piogge si registra nell’area montana, inoltre i periodi di pioggia si concentrano. Questo rende ancora più probabili erosioni e frane, specie in zone disabitate, con piogge forti e concentrate su brevi periodi. Marco Materazzi di Unicam ha portato l’esempio dei bacini artificiali della vallata del Chienti, che con il tempo perdono la capacità di contenere acqua, minore produzione di energia elettrica e la riduzione della capacità di mitigazione delle piene dei fiumi. La giornata è stata moderata da Laura Cennini, sono intervenuti anche il professor Stefano Grimaz dell’università di Udine, Pierpaolo Tiberi della Protezione civile regionale, Vania Virgili dell’Inno, i docenti Unicam Andrea Dall’Asta, Sara Spuntarelli e Massimo Sargolini.
Pubblico
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Va a finire che se non si ricostruisce la colpa è del clima anziché dei politici imbelli e/o marpioni.
Io aspetterei un altro terremoto per avere più elementi da considerare in vista di un altro terremoto. Nel frattempo inviterei gli esperti a rafforzare le loro conoscenze sul territorio con applicazioni di agricoltura sostenibile da effettuare personalmente scegliendo gli strumenti più adatti tra zappe, vanghe e guanti da lavoro. Naturalmente non fatevi sfuggire la splendida occasione di dividere l’esperienza con chi fino adesso si è occupato di non occuparsi.