di Gabriele Censi
Un inno al lavoro e un po’ meno al reddito di cittadinanza: questo è uscito in modo più o meno palese in molti degli interventi celebrativi della Confartigianato Macerata che ha festeggiato oggi i suoi 70 anni. Fondazione avvenuta nella sagrestia della chiesa di San Giorgio, proprio il giorno 11 febbraio del 1949 per volontà di Rodolfo Tambroni. Anche un taglio del nastro per la nuova sede di via Pesaro, che in realtà è stata già aperta nel 2016 ma senza celebrazioni perché subito dopo il sisma ha cambiato agenda e urgenze.
Il taglio del nastro
Per l’occasione tutti i vertici nazionali presenti, il presidente Giorgio Merletti ha ricordato la vocazione dell’associazione: «Settanta anni dalla parte giusta, delle piccole imprese, di chi lavora e di chi produce e di chi ha usato da sempre il “lavoro di cittadinanza”, è il lavoro che dà dignità e inclusione poi si possono fare tutte le politiche che si vuole. Siamo cambiati fuori con le nuove tecnologie ma non siamo cambiati dentro, il futuro non è nelle dimensioni, ci vogliono più grassi ma dobbiamo essere più alti». Renzo Leonori, presidente provinciale ha ricordato le difficoltà del terremoto e i tanti personaggi che hanno segnato la vita dell’associazione. In primo piano, dopo il fondatore Tambroni, il presidente Folco Bellabarba che per decenni ha segnato la storia di Confartigianato. Poi l’ex segretario Giuliano Bianchi, assente alla celebrazione, e i tanti che hanno lavorato per le piccole imprese maceratesi, citati anche nel testo letto da Francesca Del Mastro che ha ripercorso l’intera storia dei 70 anni.
Tra le autorità intervenute il sindaco Romano Carancini con la fascia (stavolta del tricolore giusto) ha lodato il coraggio di chi investe e crea lavoro: «Non rassegniamoci al disfattismo e usciamo dal tunnel dell’individualismo per ricreare la comunità». Poi il prefetto Iolanda Rolli, il presidente della Camera di commercio Marche Gino Sabatini e il vescovo Nazareno Marconi, che prima ha benedetto la sede e poi si è lanciato in un intervento che ha lui stesso dichiarato politico. «Sono stato uno studente democristiano – ha detto il vescovo – e i valori della dottrina sociale della chiesa sono la via giusta. Il fondatore del cristianesimo era un artigiano, anzi un apprendista, il figlio di un falegname, il nostro primo capo San Pietro era un piccolo imprenditore, un capo barca, San Paolo ha fatto per primo la comunicazione economica con le lettere e al centro c’è sempre il lavoro. Anche nella nostra Costituzione che è segnata dall’influenza democristiana, quindi non va bene l’assistenzialismo che non porta lavoro. La stessa Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo.
Siamo popolari ma non populisti, servono i corpi intermedi e mantenere la vicinanza osmotica con il popolo, l’artigiano con una filiera corta si avvicina alla dottrina cristiana che dice di produrre “bene” e non “beni”». Il vescovo è stato applaudito e ha ricevuto gli auguri per il suo 61esimo compleanno di domani: «Devo prendere le medicine per l’influenza – ha concluso scherzando – se ho detto qualcosa di scorretto dite che avevo la febbre». Ad ascoltare attenti in prima fila uno accanto all’altro il sindaco Carancini e Tullio Patassini deputato della Lega. A moderare l’evento è stato il segretario maceratese Giorgio Menichelli, che ha ricordato la recente fusione dell’associazione con Fermo e Ascoli e ha dato la parola al collega nazionale Cesare Fumagalli: «Siamo in una realtà produttiva che è un modello per la capacità di reazione anche a terribili prove come il sisma. Il lavoro si sta trasformando ma la capacità di relazionarsi e di distribuire sul territorio funzioni aziendali come accade qui ha ancora un futuro».
Renzo Leonori
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Confartigianato ha vissuto un suo collateralismo con la DC e il mondo cattolico senza rinunciare al pluralismo, sia tra gli iscritti che tra o rappresentanti (vedi ad esempio la figura di Bellabarba). Il vescovo con l’influenza, nell’anniversario pure dei Patti Lateranensi, si è concesso un intervento politico più di orientamento che di azione ma se è stato studente democristiano avrebbe potuto anche ricordare che la costituzione (e qui sta il suo valore e insieme il suo limite) non fu un’espressione della cultura democristiana ma una convergenza di più esperienze e culture.
Ho tirato un sospiro di sollievo pensavo si celebrasse una messa funebre,poi leggendo bene l’articolo mi sono tranquillizzato.