Aida, buona la prima. Commenti positivi dal pubblico (Clicca sull’immagine per guardare il video a cura di Erika Mariniello)
(foto di scena di Alfredo Tabocchini)
Se l’Aida di Francesco Micheli fosse un colore non sarebbe solo celeste, ma un arcobaleno al neon. Il capolavoro verdiano che è andato in scena ieri sera allo Sferisterio aveva la doppia responsabilità di inaugurare la cinquantesima stagione lirica maceratese e di ricollegarsi idealmente con la maestosa Aida del 1921, prima opera in assoluto rappresentata in arena, cui sono seguite negli anni altre otto diverse produzioni (1969, 1973, 1976, 1982, 1985, 1989, 2000, 2006). Un’eredità ingombrante, che Micheli ha raccolto proponendo una lettura registica assolutamente originale, ed ha vinto la scommessa.
Al posto della marcia trionfale con le grandi masse di egizi, soldati, sacerdoti, sacerdotesse, carri e vessilli, elefanti, cavalli e cammelli, uno spazio vuoto danzato da nove ballerini-robot che mimano, in un crescendo di frenesia, la guerra combattuta e vinta dagli egizi sugli etiopi danzando una coreografia hip-hop contemporanea. Al posto dell’oro, un sapiente gioco di luci e i colori forti, accecanti di un caleidoscopio al neon che cambia in continuazione: giallo, arancio, rosso, verde, azzurro, viola. Al posto di piume e stoffe intarsiate la costumista Silvia Aymonino ha disegnato abiti bianchi in tessuti tecnici ultraleggeri, decorati su maniche, stole e copricapi da stampe di geroglifici bianco-neri come graffiti metropolitani di Keith Haring.
Al posto dei papiri, notebook e schermi digitali, dove viene scritto e letto il Libro dei Morti. La lettura futuribile di Micheli parte proprio da lì, dal testo sacro degli antichi egizi. La sua Aida altro non è che il racconto che il Gran Sacerdote Ramfis fa (quando Ramfis racconta veste abiti contemporanei, un completo bianco giacca e pantaloni, quando invece fa parte dell’azione è in costume) della vita e della morte di Aida e Radamès. La scenografia è tanto semplice quanto efficace: un mega computer portatile (il Libro dei Morti appunto) aperto sopra al palcoscenico dove scorre, come si scorrono con le dita le pagine di un tablet o di uno smartphone, l’intera vicenda. Tutti i protagonisti si muovono sul palco-tastiera scrivendo la loro storia, tranne il coro che commenta l’azione da uno spazio sempre ai lati del notebook. Lo scenografo Edoardo Sanchi ha fatto un enorme lavoro trasformando in racconto i bellissimi disegni realizzati da Francesca Ballarini ispirati ai simboli egizi. Lo spazio bianco è completamente vuoto, dall’inizio alla fine, è una tavola da riempire con proiezioni di luce, colori, segni, simboli, parole, e gli unici elementi scenici sono gli sgabelli su cui siedono i sacerdoti-scriba.
Anche nei costumi, si diceva, il colore prevalente è il bianco. Di bianco sono vestiti il Re, Radamès, Amneris, Ramfis, i sacerdoti, le donne e le deliziose bambine che giocano, saltano, fanno capriole e imitano le pose tipicamente egizie intorno ad Amneris, prendendola in giro per il suo amore per Radamès. Le uniche tuniche nere sono quelle indossate da Aida e da suo padre Amonasro re d’Etiopia, gli stranieri, gli schiavi, i nemici. La principessa-schiava etiope è il ritratto della sofferenza, resa irriconoscibile nel volto da una mascherina nera che le copre gli occhi e da una parrucca platinata riccioluta che, francamente, si sarebbe potuta evitare e che non rende giustizia alla bellezza di Fiorenza Cedolins.
Ottima prova del cast nella sua interezza, a partire dalle due protagoniste femminili, la soprano Fiorenza Cedolins e la mezzosoprano Sonia Ganassi, due nomi di assoluto prestigio della scena lirica internazionale. La Cedolins tratteggia un’Aida vocalmente intensa e offre al pubblico una grande interpretazione. La Ganassi è assolutamente credibile nel ruolo dell’antagonista ferita e vendicativa. Con grande esperienza e maturità, hanno saputo entrambe offrire una grande visione scenica e psicologica, pur in una regia in cui i movimenti e la gestualità sono ridotti al minimo.
Durante il preludio, viene proiettato l’omaggio al cinquantesimo anniversario: sul grande notebook appare una fotografia della prima Aida allo Sferisterio, contornata ai lati, sul muro di fondo, dalle scritte Aida 1921 e Aida 2014. Poi una luna gigante cala dietro quella scenografia d’epoca e l’opera ha inizio. L’ingresso di Ramfis, che col suo notebook in mano guarda la scena vuota e ripercorre col pensiero la vicenda già conclusa, è un evidente omaggio alla Traviata di Brockhaus, dove Alfredo, nel preludio, percorre tutto il palcoscenico e la sua storia d’amore passata dopo la morte di Violetta. La prima proiezione è il Libro dei Morti, una grande tavola geroglifica che contiene l’alfabeto del racconto che si farà, ovvero tutti i simboli, i segni e le figure che verranno utilizzati in varie declinazioni come elementi scenografici: frecce, onde, recinti, guerrieri, la bilancia, la volta celeste, l’occhio di Horo. Ramfis al suo passaggio li cancella tutti, tranne due figure in battaglia. Siamo nel palazzo del Re a Menfi, Radamès fa il suo ingresso da un’apertura del pavimento-tastiera e canta “Se quel guerrier io fossi” col giusto piglio, potenza e squillo, mentre su uno sfondo viola si stagliano figurine bianche stilizzate di guerrieri egizi. Quando intona una “Celeste Aida” carica di passione tutto ritorna bianco e si posiziona al centro di un sole proiettato a terra (auspica per sé e per l’amata Aida “un trono vicino al sol”), con un effetto pulito e minimalista molto simile alle atmosfere zen giapponesi. La scena diventa viola ed entra in scena Amneris, la figlia del Re, innamorata segretamente di Radamès ma che nutre dei sospetti “Guai se un altro amore ardesse a lui nel core!… Guai se il mio sguardo penetra questo fatal mister!” canta Amenris, GUAI SE sono le parole chiave del suo personaggio e dell’intera vicenda, stampigliate sullo sfondo a lettere cubitali. Quando entra in scena anche Aida, i sospetti di Amneris trovano conferma: Radamès è innamorato della sua schiava. Bello musicalmente il terzetto, mentre il notebook si accende di diversi colori e tre frecce disegnano in terra il triangolo amoroso, con i protagonisti che entrano alla fine ognuno in un recinto bianco che li imprigiona nelle rispettive posizioni. All’ingresso del Re la scena si veste di luce gialla, mentre a destra e a sinistra della scena i sacerdoti-scriba si siedono e iniziano a digitare sui loro papiri hi-tech, schermi di i-pad che emettono una fortissima luce bianca
. Quando arriva dai confini dell’Etiopia il Messaggero (prezioso cameo del tenore Nazareno Antinori) e annuncia che i nemici hanno osato invadere l’Egitto, viene dichiarata la guerra. Molto suggestiva la scena in cui il Re nomina Radamès capo dell’esercito, con i personaggi maschili (Re, Radamès, Ramfis e Messaggero) al centro di un cerchio bianco disegnato su fondo arancione, e ai lati i sacerdoti invocano la guerra su un pavimento di luce viola. Poi, mentre Amneris consegna il vessillo a Radamès, la scena costellata di centinaia di frecce bianche si tinge di rosso sangue al grido di “Guerra! Guerra!”. Molto intensa Fiorenza Cedolins nell’aria “Ritorna vincitor”, le coloriture scure della sua voce estesa e limpida pennellano alla perfezione lo strazio di Aida dilaniata fra l’amore e la sua patria, alternando suoni pieni e morbidezze di accenti. “Numi pietà del mio soffrir…. amor fatal, tremendo amor, spezzami il cor, fammi morir!” canta Aida, mentre intorno a lei lo spazio si scolora da rosso a rosa a bianco, solcato infine da due minacciose gigantesche frecce nere che puntano verso di lei, e in mezzo alle frecce appare già una figurina di donna. Al cambio scena un soave cielo stellato si estende sul tempio di Vulcano, dove le sacerdotesse invocano l’immenso Fthà affinché conduca Radamès alla vittoria. È proprio il suo spirito (impersonato da un ballerino inguainato in una tuta a stampe geroglifiche bianco-nere che in una sorta di break dance egizia riproduce la danza sacra delle sacerdotesse) a guidare il condottiero lungo tre percorsi bianchi che vanno a comporre un triangolo, mentre il coro canta “vita dell’universo, mito di eterno amor noi ti invochiamo” e lo sfondo è sovrastato dal simbolo egizio della volta celeste, anch’esso triplicato, sotto cui si accende una bilancia. Bello il duetto fra Radamès e il Gran Sacerdote Ramfis (“Nume, custode, vindice”), col coro prima seduto di spalle e poi rivolto ai due protagonisti.
Sul muro dello Sferisterio ecco una proiezione a metà: a sinistra stelle e pianeti dell’intero sistema solare, a destra le figurine dei soldati egizi che andranno a combattere contro gli etiopi. Radamès viene investito delle armi sacre e parte per la guerra, è l’invocazione finale dell’immenso Fthà, con i sacerdoti che rivolgono gli schermi dei loro I-pad verso il pubblico e la scena diventa tutta nera, con il solo Fthà bianco che fa strage di nemici. E qui si chiude il primo atto, con Ramfis che cambia scena (ma solo per metà, perché a sinistra restano le immagini dei morti in guerra).
I sacerdoti e i soldati lasciano il posto alle schiave e a i bambini su uno sfondo di luce rosa, la vicenda si sposta nell’appartamento di Amneris, che entra e si posiziona nella metà destra colorata di blu con dei fiori bianchi. All’ingresso di Aida Amneris si finge benevola e vuole consolarla per la sconfitta degli etiopi (“Io son l’amica tua…”). Le due donne occupano la metà bianca dello spazio, mentre l’altra blu è ancora occupata dai morti in guerra, che diventano uno solo quando Amneris, per far confessare ad Aida il suo amore per Radamès, la inganna dicendole che è morto. Le due donne ormai si scontrano apertamente, Aida sta nella metà viola del palco, Amneris nella metà bianca. “è vero… io l’amo d’immenso amore” canta Aida, mentre sopra di lei compare la parola POSSENTE e sopra ad Amneris la parola SCHIAVA (sono gli epiteti che le due rivali si rivolgono). Bello anche il duetto Cedolins-Ganassi, di grande partecipazione emotiva oltre che di grande levatura vocale. Ma alla fine la vincitrice è Amneris che mano a mano guadagna terreno sulla rivale e fa diventare lo schermo tutto bianco. Resta un’unica scritta, POSSENTE, mentre Aida piange la sua sconfitta (“Numi pietà del mio soffrir) e si ritira umiliata strisciando a terra mentre sullo schermo si compone la parole GLORIA.
Al cambio scena, in uno degli ingressi della città di Tebe, il popolo e le donne inneggiano al vincitore. Entrano i ballerini-guerrieri (gli EROI) con l’elmetto in testa e danzano la marcia trionfale al suono delle lunghe trombe egizie, è un tripudio: sul muro di fondo scorrono velocemente a passo di marcia tutte le immagini della vittoria, le prede, i prigionieri, i carri, i numi tutelari, le teste mozzate, le palme, gli arcieri. La danza-battaglia diventa sempre più frenetica e violenta fino alla morte. Il popolo viene investito da un’evocativa luce dorata, e allargando le ampie maniche bianche canta “Gloria all’Egitto e a Iside… Vieni, o guerriero vindice”. Il nome di Radamès compare sullo sfondo diviso in tre sillabe RA DA MES. Fanno il loro ingresso trionfale dai corridoi laterali il Re, il Gran Sacerdote, Amneris e Aida che si dispongono ai quattro vertici di un quadrato, mentre il vincitore entra dall’apertura del palco e si pone al centro. Una freccia viola a terra indica Aida, l’unica sconfitta. Dopo aver ricevuto il serto trionfale concesso dal Re per mano di Amneris, Radamès fa trarre i prigionieri, e sullo sfondo vengono proiettate teorie di piccoli prigionieri rossi incatenati. Tra questi c’è Amonasro, il padre di Aida, al quale il bravo baritono Elia Fabbian riesce a dare, nonostante la giovane età, un’interpretazione molto credibile, sia dal punto di vista vocale che interpretativo. Il suo Amonasro è fiero, indomito, non si sente per nulla sconfitto e già medita la vendetta.
Di grande intensità e potenza suggestiva il concertato che chiude il secondo atto, come tutti i concertati verdiani, con i protagonisti chiusi nella propria solitudine: ognuno parla a se stesso, non c’è relazione con gli altri. Radamès guarda Aida con occhi pieni d’amore e vede la sua sofferenza, Amneris se ne accorge e si infuria, alla fine svaniscono piano piano le immagini dei morti in guerra e si accendono tante frecce che puntano tutte su Aida e Amonasro, per mano al centro della scena con tutti gli altri protesi verso di loro. Quando Radamès chiede la liberazione dei prigionieri etiopi i protagonisti si dispongono a triangolo sulla scena, con il Re all’apice superiore, Aida e Amneris sui lati, Radames, Ramfis e Amonasro alla base. Il Re acconsente alla richiesta di Radamès e gli concede la mano della figlia, allora il triangolo cambia: su un vertice il Re e Ramfis, su uno Amneris e Radamès, su uno Aida e Amonasro, in un gioco di spostamento dei personaggi molto curato e carico di simbolismi. Quando appare la scritta GLORIA sullo sfondo, tutti i protagonisti sono girati di spalle a onorarla, poi si girano di fronte e avanzano, ognuno all’interno della propria corsia separati da linee sottili, e nel frattempo la scritta GLORIA scivola verso di loro fino al pavimento e sembra schiacciarli col suo peso, fino a spingerli giù dal palco. A questo punto la parola GLORIA diventa AIDA e in scena resta solo lei, col suo dolore.
La seconda parte (terzo atto) si svolge sulle rive del Nilo in una notte stellata, con Ramfis che invita Amneris a pregare affinché Radamès ricambi il suo amore (“Vieni d’Iside al tempio”). Le acque del sacro fiume sono rappresentate da onde bianche e nere proiettate sul muro. In scena Aida e Amneris guardano in direzioni opposte, sono nemiche ormai, e mentre la figlia del Re entra nel tempio Aida attende il suo amato (“Qui Radamès verrà”). Un profilo femminile blu si staglia al centro di un triangolo, Aida è tormentata e intona un canto carico di nostalgia rivolto a quel volto femminile (“O patria mia mai più ti rivedrò… O cieli azzurri… O fresche valli”) che Fiorenza Cedolins tratteggia con la sua voce in maniera impeccabile. Sullo schermo inequivocabile compare la scritta MAI PIU’. All’arrivo del padre Amonasro onde arancioni invadono il pavimento e quelle sul muro si colorano di verde. FTHÀ riappare implacabile con tanti piccoli morti e Amonasro ricorda il sangue versato meditando vendetta.
Nell’ottimo duetto carico di drammaticità e cantato con gran temperamento da Fabbian e Cedolins il padre, promettendole di rivedere presto la patria, convince la figlia a far parlare Radamès, per conoscere il punto in cui attaccare gli Egizi. All’inizio Aida si oppone ma quando Amonasro le grida “Non sei mia figlia.. dei faraoni tu sei la schiava”, in Aida esplode tutto il dramma e infine cede, cantando “O patria! O patria… quanto mi costi!”. Radamès arriva e le dichiara il suo amore “Nel fiero anelito di nuova guerra”, mentre tutta la scena si tinge di verde acceso, ma anche in questo frangente i due innamorati sono distanti, non c’è quasi mai il contatto fisico fra loro. Aida teme la vendetta di Amneris e gli propone la fuga, con il notebook che diventa verde menta e infine verde acqua. Quando Radamès si rifiuta, si apre una linea di frattura fra loro, ma alla fine accetta piuttosto che sposare Amneris o far uccidere il padre di Aida, “Sì, fuggiam da queste mura” canta con impeto Sergio Escobar, e solo alla fine la barriera d’acqua che li divide si dissolve e i due possono avvicinarsi. All’ingresso di Amonasro, che si rivela come re degli Etiopi la scena si tinge di rosso, Radamès sa di aver tradito il suo popolo ed è sconvolto. I tre personaggi ora sono intrappolati in tre diversi labirinti e quasi non riescono a venirne fuori. Amneris chiama Radamès traditore e lui fa fuggire Aida e Amonasro consegnandosi alla cattura “Sacerdote io resto a te” canta a voce spiegata Escobar.
Il quarto atto si apre nel palazzo del Re. Amneris furente canta “L’aborrita rivale a me sfuggia”, ma ama Radamès, si rende conto di averlo condannato e gli chiede di discolparsi, così potrà ottenere la grazia per lui. Molto bello il duetto Radamès-Amneris, con una superba prova di Sonia Ganassi, che riesce a raffigurare un personaggio crudele e sofferente allo stesso tempo, con una forza di rara intensità. Ora la scritta GUAI SE si rivolge contro di lei, gli occhi di Horo, che tutto vedono, si moltiplicano alle sue spalle. “Mi sento morir” canta disperata quando lui non solo non si discolpa ma dichiara il suo amore per Aida. Radamés viene condannato e Amneris prima si strugge di dolore e poi sfoga la sua ira contro i “ministri del ciel” che chiamano il suo amato traditore e cancella con rabbia il nome di Aida. La condanna è scritta, la morte si avvicina, tutto lo schermo è rosso, rossi sono anche gli schermi degli I-pad dei sacerdoti. Chiuso all’interno della tomba (“La fatal pietra sovra me si chiuse”) il condannato invoca Aida e in questi passaggi le parole d’amore del Radamès di Escobar risultano un po’ troppo strillate, mancano un po’ di dolcezza. Quando Aida, che si era nascosta per morire con lui nella tomba, gli compare davanti i due innamorati finalmente rasserenati cantano insieme l’addio alla vita, seduti nelle scale che li porteranno sotto terra. È a questo punto che lo schermo del pc si abbassa sulle loro teste, il Libro dei Morti si chiude, come lo specchio della Traviata di Brockhaus-Svoboda si alzava nel finale, rendendo partecipi del dramma della morte di Violetta tutti gli spettatori. Sopra allo schermo che si chiude, campeggia terribile la figura di Amneris.
Questo allestimento si caratterizza per una estrema cura nei movimenti scenici, con i protagonisti che disegnano in maniera millimetrica il loro posto nello spazio vuoto delle pagine colorate, quasi come pedine di una scacchiera, occupando spazi prestabiliti e seguendo un percorso già segnato, senza incontrarsi mai o quasi mai, se non forse per scontrarsi. Rarissimo il contatto fisico, persino fra Aida e Radamès, o fra Aida e suo padre Amonasro. Le relazioni fra i personaggi sono complicate, piene di dubbi, contrasti, contraddizioni, inganni, silenzi e tradimenti. Ognuno segue il suo ineluttabile destino di sofferenza e di morte. L’amore (quello passionale fra Aida e Radamès, quello padre-figlia fra Aida e Amonasro, e quello non ricambiato di Amneris per Radamès) e la guerra (quella fra Egizi ed Etiopi, ma anche quella fra Amneris e la rivale Aida), sono legati indissolubilmente e marciano di pari passo verso un finale in cui tutti perdono qualcosa. Grande attenzione quindi anche allo studio psicologico dei personaggi, a livello registico ma anche a livello musicale. Il direttore d’orchestra Julia Jones ha voluto e saputo dare una lettura diversa, più intimistica, sfrondando la partitura dai clangori trionfalistici e privilegiando le sottolineature più drammatiche e dolorose.
I nomi dei protagonisti che appaiono sullo schermo al loro ingresso in scena e nei momenti salienti della narrazione, lungi dall’avere un intento didascalico, indicano piuttosto il momento in cui la loro storia viene incisa nel Libro dei Morti. Anche alcune parole, le parole chiave della storia di Aida, vengono impresse di volta in volta a lettere cubitali sullo schermo del pc: GUAI SE, NUME CUSTODE VINDICE, FTHÀ, POSSENTE, SCHIAVA, GLORIA, SOLE, FORTUNA, EROI.
Della superba prova di Fiorenza Cedolins di Sonia Ganassi già si è detto, è un piacere ascoltare due artiste di questo livello. Il tenore spagnolo Sergio Escobar è uno di quei cantanti che, nonostante la mancanza di una lunga esperienza, danno sicurezza quando cantano. Non mostra incertezze o paura del ruolo. La voce è grande, lui lo sa e la spinge sempre con generosità, forse troppa a volte, quando ci sarebbe bisogno di una maggiore morbidezza, di una maggiore sensibilità nei passaggi più delicati, o di un volume più moderato. Del resto ha poco più di trent’anni, una carriera appena avviata e già in rapida ascesa, e dovrà dosare con saggezza il suo strumento prezioso. Molto apprezzate anche le prove di Elia Fabbian-Amonasro, di Giacomo Prestia-Ramfis e di Cristian Saitta-Re d’Egitto.
Perfetti i ballerini, brava la coreografa Monica Casadei, e bravo il disegnatore delle luci Fabio Barettin che ha creato atmosfere di grande raffinatezza.
Questa Aida affatto faraonica e futuribile di Micheli, ricercata e curata nei minimi dettagli, ha convinto anche il pubblico, che ha applaudito a lungo tutti gli interpreti, regista, direttore d’orchestra, coro e tutto lo staff ma anche orchestrali e maestranze, che Micheli ha voluto per la prima volta sul palco. E nella celebrazione, trionfale come la marcia di Aida, occorre ricordare a quanti ancora non lo sapessero che Macerata deve ringraziare un civitanovese, il conte Adalberto Conti, se lo Sferisterio è diventato, in quel lontano 1921, un teatro d’opera. Il prossimo appuntamento è per questa stasera col debutto di Tosca (leggi la presentazione, domani la recensione).
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Su Quid Culturae il commento di Filippo Davoli (leggi l’articolo).
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Il confronto con gli spettacoli Civitanovesi è impietoso. Il buon Alessandro (mi sembra si chiami così un commentatore che voleva il trasferimento dello Sferisterio a Civitanova), ci ha provato, ma non sarebbe un’operazione alla portata di Civitanova (con tutto il rispetto, for charity), quella dello Sferisterio. La LUBE, ok, basta darle uno spazio ed il gioco (appunto, IL GIOCO) è fatto.
Se si confrontano anni di cultura e di gusto musicale, viene fuori che Macerata ha la sua superba rappresentazione dell’AIDA e tutta la stagione lirica curata da un Fenomeno, Civitanova ha il suo bel concertino di Paice che, diciamolo non è nel Gillan, ne Blackmore, ne Lord (i veri leader dei Deep Purple), concertino che richiamerà tanta gente (soprattutto al seguito delle numerose cover-bands invitate sapientemente per sostenere lo spettacolo) e che sarà un buon momento di svago per i passeggiatori, i nostalgici ed i turisti. Tutto qui.
Tutto qui, ma la differenza è tanta, credetemi e se è vero che a Civitanova vengono riconosciute diverse peculiarità (ora mi viene in mente il dinamismo imprenditoriale, il mare e la spiaggia, alcuni ristoranti, alcuni divertenti politici etc etc), ecco, non vorrei che si potesse pensare alla Cittadina Portuense anche come Capoluogo della cultura, della raffinatezza e dell’arte, perché proprio non ci siamo…….
Spettacolo di ottimo livello che ci riporta alla qualità delle produzioni della gestione Orazi. Recensione puntuale e competente della Gelsomini che ci piacerebbe leggere con maggiore frequenza su Cronache Maceratesi
Bravo Micheli…. sarà un grande maestro!
Azz….. 3 pollici versi in poco tempo. Pensavo che oggi “stava tutti jo lo mare”.
Va bene, si accetta tutto, le comparse con i pc, le parnanze aperte e chiuse, il coro separato ai due lati del palcoscenico con immane fatica di colei che doveva dirigerli, il balletto che sembrava uscito fresco fresco da Arancia meccanica, va bene tutto,ma la parruccona bianca di Aida no, quella proprio non la mando giù !
Era una rappresentazione di un’opera lirica o una carnevalata?
rispondo a MAGGI QUELLA NON E’ AIDA E’ MAGA MAGO’………..
Il richiamo allo specchio della traviata è palese…e poi basta con i cartoni animati!
« Nel futuro vedo un computer su ogni scrivania e uno in ogni casa. »
(Bill Gates, 1975)