Omicidio di Pamela, si torna in Cassazione:
ricorso dopo la sentenza di Perugia
«Fantasiosa ricostruzione degli eventi»

MACERATA - La questione riguarda se ci sia l'aggravante della violenza sessuale. Per la difesa non è provato. L'udienza si svolgerà il 23 gennaio

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Innocent Oseghale

di Gianluca Ginella

Omicidio di Pamela Mastropietro, i legali di Innocent Oseghale, condannato all’ergastolo per il delitto della 18enne romana (avvenuto il 30 gennaio 2018) hanno fatto ricorso in Cassazione e per la seconda volta i giudici della massima corte si confronteranno con il caso. La questione sta nella sentenza della Corte d’appello di Perugia dove la Cassazione aveva rimandato gli atti per una questione: se ci fosse stata o meno la violenza sessuale (movente del delitto).

Per i giudici umbri c’era e questo era valso la conferma della condanna all’ergastolo decisa prima al tribunale di Macerata poi alla Corte d’appello di Ancona. Nessun dubbio però che l’autore del delitto sia Oseghale. Restava in ballo la violenza sessuale che poteva far pendere e di parecchio la pena: confermandola era ergastolo.

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Gli avvocati Umberto Gramenzi e Simone Matraxia

Ora i legali di Oseghale, gli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, hanno presentato ricorso contro la sentenza perugina. L’udienza in Cassazione è stata fissata per il 23 gennaio. Nel ricorso i difensori parlano di una «assoluta illogicità» e di «contraddittorietà» della sentenza di Perugia, in particolare per il «preteso movente omicidiario, che appare una costruzione del tutto artificiosa o fantasiosa». Secondo i due legali, nella sentenza c’è «una macchinosa e fantasiosa ricostruzione degli eventi precedenti, contestuali e successivi alla morte della giovane sulla base di congetture, mere ipotesi di dubbia efficacia e razionalità, che trovano il loro acme nella formulazione del movente, frutto di un non indifferente sforzo congetturale».

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L’avvocato Andrea Marchiori (a sinistra) con l’avvocato Marco Verni, zio di Pamela

E sottolineano, nel ricorso, come nella sentenza «la deriva omicida, per la Corte, scaturisce non dal mancato consenso della ragazza ad un rapporto sessuale ma dalla pretesa dell’imputato di un rapporto sessuale non protetto e dal rifiuto ad un rapporto non protetto da parte della vittima. Dunque, in poche parole, Pamela, al fine di procurarsi la sostanza, era disponibile ad intrattenere un rapporto sessuale con Oseghale purché, detto rapporto, avvenisse con l’utilizzo del profilattico di cui la giovane disponeva. Questo, in sostanza, il ragionamento della Corte che deriva non da emergenze probatorie dirette ma, di fatto, dalla seguente constatazione: gli altri uomini con cui la ragazza ha intrattenuto rapporti di natura sessuale dopo la sua fuga dalla comunità hanno sempre usato il preservativo e lo hanno fatto su richiesta della giovane».

Al processo per l’omicidio di Pamela sono parti civili i familiari della giovane, assistiti dall’avvocato Marco Valerio Verni (zio della 18enne), il Comune di Macerata (tutelato dal legale Carlo Buongarzone) e il proprietario della casa in cui è avvenuto il delitto, assistito dall’avvocato Andrea Marchiori.


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