I partecipanti alla cerimonia a San Severino
Nel Giorno del Ricordo, solennità civile nazionale che si celebra ogni anno il 10 febbraio, la città di San Severino si è fermata per rendere il doveroso omaggio alle tante vittime dei massacri delle foibe e alle sofferenze legate all’esodo istriano, fiumano, giuliano e dalmata.
«Istituito nel 2004, il Giorno del Ricordo rappresenta un momento di riflessione e silenzio su una delle più gravi e drammatiche tragedie del Novecento – si legge nella nota del Comune -. La data prescelta è il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i Trattati di pace di Parigi che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnero, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia». La cerimonia, organizzata dal Comune, è stata aperta dalla deposizione di una corona di alloro, sulle note dell’Inno di Mameli cantato dai piccoli componenti del MitiCoro dell’associazione Virgilio Puccitelli diretti dal maestro Riccardo Brandi, al monumento dei Caduti. Poi ci si è spostati al teatro Italia per i discorsi ufficiali che sono stati introdotti da quello del sindaco Rosa Piermattei.
«Come ha avuto modo di ricordare nel passato recente il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per troppo tempo la tragedia delle foibe e dell’esodo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia – ha esordito il primo cittadino settempedano, per continuare subito dopo -. Noi tutti dobbiamo invece ricordare per non dimenticare, dobbiamo conoscere per non perderci in oscure ricostruzioni e per non indurre in errore soprattutto le nuove generazioni. E’ per i giovani che dobbiamo rinnovare, seppure nel dolore, certi momenti. E’ a loro che dobbiamo indicare la rotta di una convivenza pacifica in cui la conoscenza sia elemento di confronto e non di divisione e scontro. Dobbiamo insegnare ai giovani – ha proseguito il sindaco rivolgendosi, in particolare, alle scolaresche presenti – il rispetto dei diritti di tutti, l’accoglienza, il rispetto delle minoranze, abituandoli a rileggere la nostra Costituzione, un libro dove è scritta la nostra vera storia. La tragedia delle foibe costa ancora oggi grande sofferenza. E’ un orrore che colpisce le nostre coscienze. Prezioso – ha poi concluso il primo cittadino settempedano – è stato il contributo delle associazioni degli esuli per riportare alla luce vicende storiche oscurate o dimenticate, e contribuire così a quella ricostruzione della memoria che resta condizione per affermare pienamente i valori di libertà, democrazia, pace che sono alla base della nostra convivenza civile».
A prendere la parola, a nome dell’Unione degli Istriani, è stato Giovanni Piloni che, in un discorso segnato dall’emozione, ha ricordato: «Oggi, 10 febbraio, commemoriamo le migliaia di italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia che, dal 1943 in poi, vennero barbaramente assassinati dai partigiani comunisti slavi e italiani per il solo fatto di essere italiani. Commemoriamo altresì l’esodo di 350mila nostri connazionali dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, terre storicamente ed indissolubilmente legate all’Italia e alla sua storia. Un legame che risale a oltre duemila anni fa, quando all’alba dell’Impero Romano, quella che i romani stessi chiamavano “Italia” includeva la Venezia Giulia e l’Istria, inquadrate in quella che veniva chiamata la Decima Regio “Venetia ed Histria”. Successivamente, anche il padre della nostra lingua, il sommo poeta Dante Alighieri, segnerà sul golfo del Quarnaro, l’estremo confine d’Italia nel nono canto della Divina Commedia.
Nei secoli successivi, sotto la protezione della Repubblica di Venezia, l’Istria e la Dalmazia conosceranno l’apice della prosperità culturale, architettonica, economica, seguendo fino alla fine la parabola storica della città lagunare. C’è quindi un unico filo che lega la presenza delle popolazioni prima latine, poi venete e infine italiane, lungo la sponda dell’Adriatico orientale, dai tempi dell’antica Roma, passando per la Repubblica di Venezia fino al Regno d’Italia. Una presenza che verrà messa in discussione a partire dall’800 con le prime persecuzioni da parte dell’impero austro-ungarico e delle popolazioni slave che, soprattutto dal 1866 in poi, metteranno in atto un preciso disegno di slavizzazione della Venezia Giulia e della Dalmazia e che conoscerà l’ultima fase con le stragi delle foibe iniziate nel 1943 ed il successivo drammatico esodo.In seguito alla firma del Trattato di Pace di Parigi, il 10 febbraio 1947, 350mila italiani sceglieranno di abbandonare per sempre la propria terra, le proprie case, i propri beni e fuggire in Italia, per poter restare liberi e italiani. Intere città si svuoteranno, alcuni moriranno tentando di oltrepassare il confine o di fuggire via mare.
Gli esuli verranno accolti malamente, spesso picchiati, fatti oggetto di insulti e lanci di pietre al grido di “fascisti andatevene”. La propaganda comunista dell’epoca, infatti, li presentava come criminali fascisti in fuga dal paradiso socialista di Tito. Gli esuli verranno così rinchiusi in 109 Centri di raccolta profughi sparsi in tutta la penisola, dove resteranno per anni, nella miseria e in mezzo a privazioni, sofferenze e, soprattutto, all’emarginazione sociale. Essere profugo diventerà un marchio, una vergogna. Con gli esuli non bisognerà interagire, non si dovrà parlare, non di dovranno avere rapporti. Nei campi profughi alcuni moriranno per le privazioni e per il freddo, alcuni impazziranno, altri si suicideranno. I più sfortunati resteranno nei campi addirittura fino ai primi anni Settanta. In conclusione – è stata la voce del rappresentante dell’Unione degli Istriani, Giovanni Piloni – oggi commemoriamo una pagina della storia d’Italia volutamente occultata per 60 anni e da molti, ancora oggi, negata e vilipesa. Per questo, al fine di rendere giustizia alla memoria dei tanti italiani orrendamente assassinati e agli esuli, ultimi testimoni dell’italianità adriatica orientale, vi invito a difenderne la dignità e il ricordo, la drammatica storia, le enormi sofferenze subite. Parlatene, leggete, studiate, approfondite, raccontate ai vostri figli questa storia, andate a visitare quelle che erano le nostre città e le nostre case, tramandate il ricordo».
In teatro i discorsi ufficiali sono stati intervallati da brani cantati dalle piccole voci bianche del MitiCoro dell’associazione Virgilio Puccitelli. Alla cerimonia erano presenti anche il vice sindaco e assessore alla Cultura della città di San Severino, Vanna Bianconi, gli assessori Michela Pezzanesi e Jacopo Orlandani, i consiglieri comunali Alberto Capradossi e Tiziana Gazzellini, il comandante della locazione stazione dei Carabinieri, luogotenente Massimiliano Lucarelli, il comandante della Polizia Locale, sostituto commissario Adriano Bizzarri, il vice comandante, sostituto commissario Fabiana Forconi, il presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri, Decio Bianchi, con diversi volontari e rappresentanti della stessa associazione, rappresentanti dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, dell’Associazione Nazionale di Cavalleria sezione “Ludovico Censi”, dell’Associazione Nazionale Granatieri, dell’associazione Nazionale Alpini gruppo “Val Potenza”, insieme ai volontari del gruppo comunale di Protezione Civile. Alla manifestazione hanno poi preso parte gli studenti dell’Istituto comprensivo “P. Tacchi Venturi”, dell’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato “Ercole Rosa”, dell’Istituto Tecnico Tecnologico Statale “Eustachio Divini”.
I partecipanti alla cerimonia a Tolentino
Anche a Tolentino è stato celebrato il Giorno del Ricordo. Come tutti gli anni al Parco Vittime delle Foibe, in viale Benadduci, si è tenuta la manifestazione ufficiale con la deposizione della Corona di Alloro. A seguire i saluti e gli interventi di Mauro Sclavi, sindaco di Tolentino, Alessandro Massi Gentiloni Silverj, presidente del Consiglio comunale e del sindaco e presidente del Consiglio comunale dei Ragazzi. Era presente una rappresentanza degli studenti dell’Iis “F. Filelfo”, dell’Ipsia “R. Frau” e il Consiglio comunale dei Ragazzi. Le celebrazioni del Giorno del ricordo continueranno sabato 18 febbraio, alle 17, alla Galleria Sangallo, in piazza della Libertà, con l’inaugurazione della mostra “L’esodo degli italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia” a cura dell’Unione degli Istriani – Libera Provincia dell’Istria in esilio. L’esposizione rimarrà aperta al pubblico dal 18 febbraio al 5 marzo 2023. Gli eventi sono promossi dal Comune di Tolentino in collaborazione con gli Istituti comprensivi Don Bosco e Lucatelli, l’Istituto d’istruzione superiore Filelfo, l’Ipia Frau, l’Unione degli Istriani – Libera Provincia dell’Istria in esilio, l’Associazione Nazionale Dalmata – Tolentino.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Ogni qualvolta vi sia una ricorrenza, una commemorazione, un anniversario, una celebrazione, si spendono fiumi di parole per tentare di spiegare, per tentare di capire, per cercare di fare una precisa ricostruzione storica.
.
Perché è successo quello, come ci si è arrivati?
Si spiega il contesto storico, si analizzano i fattori sociali ed economici di scelte politiche….
….
….
Non ci siamo svegliati un giorno e, per caso, abbiamo trovato le Leggi Razziali.
Non è stato un caso la militarizzazione del Paese, il sabato fascista, la ridondante celebrazione del leader, le scritte “Dux” ad ogni suo passaggio, i problemi in cui “il figlio della lupa” acquistava le mele.
.
Per ogni tragedia, per ogni delitto, per ogni orrore della Storia si analizzano i percorsi e i crimini che l’hanno annunciata prima e realizzata poi…
.
Per la tragedia delle Foibe, invece, la si vuol far passare come una “pulizia etnica” (la stessa che i nazifascisti hanno compiuto in Russia) contro gli italiani nata quasi per caso, insita nell’animo jugoslavo…
Come se fosse nata dal nulla, una follia contro parte di quella popolazione italiana che viveva in quei luoghi.
Una pazzia collettiva, delle popolazioni slave, che si è accanita contro coloro che avevano la sfortuna di essere di etnica italica.
Non è proprio così.
.
La storia va raccontata tutta.
Perché c’è un “prima”, che porta alle morti italiane nelle foibe: ma questo “prima” viene sempre rimosso, dimenticato, scordato, nascosto…
.
Senza voler per nulla minimizzare gli orrori e le morti degli italiani, nelle foibe, bisognerebbe però anche ricordare quello che accadde “prima”.
.
Oltre OTTOCENTO MILA (ma c’è chi parla di un MILIONE) di jugoslavi uccisi, per mano dei nazifascisti (di cui sembra ameno TRECENTOMILA, direttamente per mano italica e fascista).
Le case incendiate, le devastazioni, le vessazioni (delle truppe occupanti nazifasciste) di quei territori lasciarono il segno.
Le violenze, gli stupri, i campi di sterminio (dove deportare i civili jugoslavi, aperti dai nazifascisti) lasciarono il segno.
Lo Stato Maggiore italiano che, nei dispacci, si lamentava che in Jugoslavia “si ammazza troppo poco”.
.
L’orrore delle foibe non nacque per caso, ma fu il prodotto dell’occupazione nazifascista di quelle terre, dell’italianizzazione forzata, delle vessazioni, dei soprusi fatti dai fascisti italiani.
…e infatti, per “commemorare”, fuori da un centro sociale fiorentino sono state appese bandiere della Jugoslavia di Tito!!! gv
In parte c’è stato occultamento, è vero, ma in (gran) parte pigrizia dei cittadini nel documentarsi sui fatti storici abbastanza recenti. Di libri sulle foibe sono piene le biblioteche pubbliche e private, nonché le librerie.
…è vero, c’è sempre un “prima”, come sostiene qualcuno, e anche un prima del “prima”, però, per poter raccontare tutta la Storia e, quindi, cosa c’era prima del fascismo, un prima, appunto!!! gv
bravo Cerasi, condivido totalmente e sottoscrivo il tuo commento dall’inizio alla fine.
Aggiungo che ogni anno ormai si ripete la litania del “silenzio” che sulle foibe ci sarebbe stato per presunta responsabilità di una trama omissiva delle sinistre italiane, questa volta ancora di più da parte del governo postfascista al potere, chiaramente. In realtà nel 1945-46 vennero istruiti alcuni processi ed emesse condanne, ma ad evitare la riapertura di quella pagina furono i governi De Gasperi, nella convinzione che sollevare la questione avrebbe comportato per l’Italia l’obbligo morale di rispondere sia per i crimini commessi in Jugoslavia e nei Balcani ma anche in Libia, Etiopia e Unione Sovietica, sia per i risarcimenti economici previsti dal Trattato di Pace di Parigi del 10 Febbraio 1947. Così nessun criminale di guerra italiano è mai stato processato da nessuna Norimberga. La più complessa vicenda del confine orientale deve spingere il Paese a fare i conti con il proprio passato contro un populismo storico che si diffonde pervicacemente nella società minandone i valori costituzionali e antifascisti. Si è dimostrato nei fatti che il giorno del ricordo è stato e rimane un’operazione di revisionismo storico; la legge che lo ha istituito non menziona i crimini fascisti e l’italianizzazione forzata di quelle terre, non serve a ricostruire la contestualità storica ma è servita soltanto a una campagna anticomunista e offensiva verso la memoria della Resistenza antifascista. Il nazionalismo violento ed esasperato, la discriminazione etnica, la guerra e l’occupazione militare sono responsabilità di Mussolini e del fascismo. Questo andrebbe insegnato nelle scuole. Mettere al centro dell’attenzione la questione delle foibe non serve a sottolineare le offese e le violenze subite, ma a perpetuare uno sterile vittimismo che non contribuisce a fare i conti mancati con il proprio passato, nè a consolidare il consenso alla democrazia italiana minacciata da tante insidie, una di queste è la negazione della verità.
“Quando comincia una guerra, la prima vittima è sempre la verità, quando la guerra finisce, le bugie dei vinti sono smascherate, quelle dei vincitori diventano storia” Arrigo Petacco.