di Luca Patrassi
La startup, al suo primo anno di attività, ha un reddito imponibile di poco superiore ai centomila euro. Il titolare della ditta individuale si è visto presentare il conto delle imposte e dei contributi, a saldo e in acconto, da versare al Fisco: 110mila euro, potendo beneficiare del fatto che, per l’emergenza Covid 19, il Governo ha cancellato i pagamenti a saldo e in acconto per l’Irap. Nel caso di specie sarebbero stati altri diecimila euro. Dunque un imprenditore che apre una sua attività che va anche bene, produce un reddito di centomila euro, dovrebbe versare allo Stato 120mila euro in condizioni normali. Cioè secondo lo Stato è matematicamente logico che uno che incassa cento paghi 120 di tasse, dovendo poi – ma qui magari viene in soccorso il reddito di cittadinanza – anche vivere. Le cose però lo Stato le ha messe bene in chiaro già nella scelta del nome del suo interlocutore fiscale: si chiama non a caso Agenzia delle Entrate, mica Equità fiscale. Le parole hanno un significato profondo, che rivela anche le intenzioni recondite dell’interlocutore. Farti pagare, pagare, pagare. Lo ha scoperto anche l’imprenditore civitanovese che a fronte del reddito 2019 di poco superiore ai centomila euro si è visto preparare un modulo di versamento di tasse per 110mila euro. Mica per scherzo, nero su bianco. Irpef, a saldo e in acconto, addizionali Irpef, Inps, Irap. Anzi l’Irap il Governo l’ha abbonata per via del Covid, altrimenti sarebbero stati altri diecimila euro. Secondo l’Agenzia delle Entrate è perfettamente logico chiedere 120mila euro di tasse a fronte di un reddito di centomila. Non è dato sapere se l’imprenditore in questione, scoperto come funziona il Fisco, abbia deciso di dar corso anche al secondo anno di attività. Si potrebbe obiettare che, una volta superato lo scoglio del primo anno, entrano a giro gli acconti Irpef e dunque la tassazione rientra in percentuali assurde ma non fantascientifiche. Peraltro non puoi nemmeno chiedere di rateizzare gli importi: puoi farlo quando, non pagando la cartella, l’Agenzia delle Entrate ti manda un avviso bonario di conciliazione. Allora puoi chiedere di rateizzare pagando però il 10% in più a titolo di sanzioni. Come dire che è meglio andare in banca e chiedere un prestito per aiutarti a pagare le tasse che superano il tuo reddito. E non è che quello del civitanovese sia un caso anomalo: è la norma per chi, titolare di una ditta individuale con regime extraforfettario, produce un reddito di quel tipo al primo anno di attività. Resta una domanda di fondo che però non si può girare alla Agenzia delle Entrate. Nel senso che se il problema è manifesto e non se ne occupano, evidentemente per loro va bene così. Poi magari altri faranno le statistiche sulle attività che chiudono. Colpa del Covid.
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Che schifezza di fisco
Quello di trovarsi a pagare alla fine del primo anno di attività le imposte dell’anno concluso e in anticipo quelle dell’anno a venire, purtroppo, è il destino di qualunque partita iva non è un problema solo delle startup
Chiunque apre una partita IVA alla fine del primo anno è destinato a pagare le imposte dell’anno precedente e il 100% di acconto per l’anno successivo.
Per Passarini. E’ vero, ma bisogna vedere le percentuali delle varie voci tassate, la somma di queste percentuali non può essere 100%, altrimenti si lavora solo per lo Stato!
Infatti, raccontata così è solo confusione. Prima scrive “reddito” poi “incassi”, che non è proprio la stessa cosa. Poi Irpef e contributi, che non si applicano allo stesso imponibile. Scritta così è solo una boutade, fateci capire, please.
L’Italia è morta!