Sabato 3 febbraio, ore 11 circa. Un’Alfa 147 nera, una Glock 9 millimetri, un neofascista. Per Macerata e non solo è il giorno del terrore, quello del folle raid razzista di Luca Traini. Gli obiettivi: uomini e donne con la pelle nera. Tutto ha inizio in via dei Velini, quanto il 29enne spara dall’auto in corsa a due ragazzi, uno viene colpito e crolla, l’altro riesce a fuggire. Quindi corso Cairoli, altri spari, un altro giovane viene raggiunto da un proiettile e si accascia. Il sanguinario tour prosegue per via Pancalducci, via Cioci, e via Spalato, proprio dove viveva Innocent Oseghale, uno dei nigeriani arrestati per la morte di Pamela Mastropietro. Viene colpita anche la sede del Pd. Traini lascia poi Macerata, arriva a Casette Verdini e mira al bar H7, poi a Piediripa. Un’ora e mezza di panico, al centralino del 112 arrivano accorati appelli di soccorso. «Siamo qui in corso Cairoli – ha detto una signora – ci sono stati degli spari, c’è un ragazzo a terra, venite subito». Quindi la chiamata del bar H7. Finché Traini non torna in città e si consegna davanti al monumento dei Caduti. Con il tricolore sulle spalle, il saluto fascista, al grido “Viva l’Italia”. L’incubo è finito, il folle arrestato dai carabinieri. Il conto finale, parla di sei feriti. E una città sotto scacco, come mai prima.
Traini esce dalla caserma dei carabinieri di Macerata
L’abbraccio tra un carabinieri e un poliziotto, l’immagine simbolo della fine dell’incubo
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati