di Giovanni De Franceschi
(video di Andrea Petinari)
Dalla paura che era entrata nelle case e nei negozi blindati. Dalla tensione che aveva popolato le vie del centro e non solo. Dalle scuole chiuse, dalle messe annullate, dal clima cupo e grigio che era piombato su una città che si è autodefinita “città della pace”. Dagli appelli a rimanere in silenzio. Dalle retromarce, dalle sterili polemiche da bottega. Da tutto questo Macerata, forse, è stata liberata. Almeno per oggi. Grazie a un festa, una festa colorata, divertente. Una festa di strada, di civiltà, animata da gente comune.
Questa la manifestazione antifascista organizzata dalle sigle maceratesi Csa Sisma, Potere al Popolo e Macerata Antifascista. A cui hanno poi aderito in migliaia dalle Marche e da tutta Italia: dal Veneto fino alla Sicilia. Trentamila i partecipanti secondo gli organizzatori, poco più di 10mila dice la prefettura. Ma non è una questione di numeri. Perché di sicuro, anche chi qui ci è nato e cresciuto, una città così non l’aveva mai vista. Scontri? Zero. Disordini, neanche a parlarne. In strada ragazzi, ragazze, ma anche meno giovani, famiglie, bambini. Tra di loro Gino Strada, l’ex ministro Cecile Kyenge, Pippo Civati, Sergio Staino, Adriano Sofri. Anche Lidia Manepace, 93 anni, ex staffetta partigiana, storica esponente del movimento femminista, tra i fondatori del Manifesto, saggista, già parlamentare di Rifondazione non è voluta mancare. «Finché avrò voce e forza – ha detto – manifesterò in mezzo alle persone che capiscono il tempo in cui siamo», ha detto.
E poi l vicesindaco Stefania Monteverde, che evidentemente ha ritenuto opportuno non accogliere l’appello di Carancini, così come qualche esponente del Pd, che non ha seguito la linea del segretario cittadino Stefano Di Pietro, e Massimiliano Sport Bianchini. Qualche sigla, Arci, Anpi, la Fiom, il Gus, l’Acsim. E poi i migranti, molti, per un melting pot di razze. E di colori appunto. Un serpentone guidato dalla musica, e dalle nette parole di condanna contro ogni forma di razzismo e di fascismo. Semplice, dirompente. E dalla solidarietà verso le vittime dei due terribili fatti di cronaca che in questi giorni hanno choccato Macerata: la morte di Pamela Mastropietro in primis e gli africani feriti dalla pistola di Luca Traini. Nessuna vetrina, nessun palcoscenico. Solo cartelli, striscioni, cori e fumogeni. Percorso concordato con le istituzioni: partenza dai giardini Diaz, giro delle mura direzione Sferisterio, ritorno ai giardini Diaz. Poco più di tre chilometri in tutto. Centro inaccessibile, gran spiegamento di polizia e carabinieri. I partecipanti sono arrivati alla spicciolata e quando il corteo è ufficialmente partito, verso le 15,40, un fiume di persone a perdita d’occhio si è messo in cammino. In testa le realtà locali, a seguire gli altri. E’ stato Paolo Cognini, uno dei coordinatori del movimento centri sociali delle Marche, a spiegare i concetti chiave che poi sono stati ripetuti durante tutto il percorso.
Paolo Cognini
«Chi spara contro i profughi lungo le vie delle città, le coperture che ne sono seguite, le dichiarazioni giustificazioniste rappresentano un fatto senza precedenti – ha esordito – e hanno messo noi tutti di fronte alla dura realtà. Abbiamo dovuto prenderne atto fino in fondo e quindi abbiamo voluto dare immediatamente una risposta, forte collettiva, di massa». I motivi della manifestazione? Semplici e chiari secondo Cognini. «Contro ogni razzismo perché ogni volta che c’è una discriminazione nei confronti dei nostri simili, chiunque essi siano, questa discriminazione avvelena tutti – ha aggiunto – perché le guerre tra poveri fanno male a tutti. Contro ogni razzismo perché siamo convinti che solo il legame sociale tra gli ultimi, tra gli umili, è l’unica forza che ci può permettere di cambiare il mondo. Contro ogni fascismo, oggi più che mai, con organizzazioni di estrema destra che hanno ripreso le loro attività nei nostri territori e addirittura si permettono di rivendicare e dare copertura politica all’atto che ha sconvolto questa città». Quindi l’affondo contro il sindaco Carancini, che aveva invitato al silenzio. «Assolutamente paradossali, irrealistiche – ha continuato Cognini – ma quando mai nella storia, di fronte a fatti gravissimi, si è inviato la società, le persone al silenzio, alla remissione». E quelle dure sul ministro dell’Interno Minniti, che aveva provato in tutti i modi a stoppare la manifestazione. «Beh, caro Minniti ti è andata malissimo – ha concluso -. Le intimidazioni non hanno conseguito nessun effetto. Questo movimento ha esercitato l’insubordinazione, ed è proprio questo spirito che oggi anima questa manifestazione che ci dà una grande certezza: i movimenti razzisti verranno battuti e ancora una volta il fascismo verrà sconfitto. Dalle persone, dalla determinazione, dal coraggio di noi tutti».
Una bambina che guarda curiosa da un terrazzo addobbato con i cuori e con lo striscione “No to racism”. Bandiere della pace che sventolano dai balconi. Passanti che si affacciano da rampa Zara. Il vescovo Nazzareno Marconi che osserva sorridente dal giardino dell’asilo Ricci. Un elicottero della polizia che sorvola senza sosta il corteo, i riflettori d’Italia puntati, hanno fatto da contorno alla manifestazione, che è proseguita per le mura, con testimonianza di altre realtà: Roma, Napoli, Bologna, i partigiani. «Non vogliamo essere cittadini di serie B, noi siamo protagonisti della nostra vita, i migranti di tutta Italia sono qui oggi per dire basta a questo razzismo, basta a questa falsa accoglienza», ha urlato Sene Bazir, coordinatore dei migranti di Bologna. «Affacciatevi alle finestre, qui c’era aria buona», ha esortato un ragazzo di Roma mentre il corteo era in prossimità dei cancelli. E quando la testa del serpentone è tornata ai giardini Diaz erano ormai le 17,30, la coda era ancora distante. «Siamo qui per Pamela e per tutte le donne che subiscono violenza», ha scandito una ragazza. E non è un caso se in chiusura di manifestazione è stata una ragazza, nera e maceratese a prendere la parola. «Sono nata e cresciuta a Macerata e non avevo mai vista una città così bella e colorata – ha detto Jennaba Diop – siamo stanchi di essere chiamati negri, siamo stanchi del razzismo e della discriminazioni. Basta. Io sono fiera di essere nera e sono fiera di essere maceratese».
(foto Petinari, De Marco, Falcioni)
Il vescovo Marconi
Cecile Kienge
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Manifestazione OK, almeno sotto il profilo dell’ordine pubblico, (salvo il vergognoso coro sulle foibe) ma non mi pare di aver sentito, da parte delle Personalità intervenute, molte parole per la povera Pamela né, tantomeno, parole di condanna per i tre “compari”, bravi migranti richiedenti asilo, accusati di averla barbaramente trucidata e fatta a pezzi.
A mio parere, le priorità da affrontare in questo Paese sono altre rispetto a quelle oggetto della manifestazione, tra cui cito le più importanti: 1) Il lavoro; 2) la diffusione delle droghe; 3)la mancanza di sicurezza, causata ANCHE dall’immigrazione incontrollata checché ne dica il Sig. Gentiloni.
Il problema dell’immigrazione non può essere risolto solo dall’Italia, ammesso che sia possibile, ma se ne deve far carico l’ONU e sopratutto l’Europa cercando di concludere accordi con la Libia ed i paesi di provenienza per i rimpatri e creando le condizioni, con aiuti mirati, per uno sviluppo economico e sociale di quei paesi.
Ma c’è poco da aspettarsi da questa Europa matrigna, che tutto è meno che un’unione di popoli, intenta a salvaguardare gli interessi di alcune Nazioni a discapito di altre.
In questa difficile situazione la classe politica chiamata a governare dovrebbe rivedere le politiche dell’accoglienza, accelerando e snellendo le relative procedure e non lasciando in giro pericolosi cani sciolti, e cercare di rafforzare le difese contro la criminalità diffusa, le mafie nostrane ed importate, con la prevenzione ma anche con la repressione mediante provvedimenti che assicurino la CERTEZZA DELLA PENA, anche aumentando la capacità degli Istituti di carcerazione.
Sarebbe un grave errore sottovalutare quella che potrebbe diventare una bomba sociale specialmente nelle periferie e nei quartieri più degradati delle grandi città.