L’abbazia di Rambona come appare oggi
Il retro dell’edificio
di Marco Ribechi
Un’antica abbazia abbandonata che racchiude misteri non ancora svelati. Una storia segreta delle Marche, che va dagli antichi romani fino ai giorni nostri passando per Egizi, Piceni e Celti. Culti misterici dedicati alla dea madre che hanno lasciato dei segni in pochissimi documenti dimenticati. Gli ingredienti sembrano quelli di un avvincente libro d’avventura ma in realtà si tratta della storia della contrada di Rambona a circa 3 chilometri da Pollenza. Qui nel corso dei secoli si sono susseguite numerose vicende focali nella storia delle Marche, purtroppo oggi trasformate in leggende a causa della mancanza di testimonianze dirette. Della badia di Rambona è stato scritto fin dai primi secoli della sua esistenza come evidenzia Giuseppe Fammilume nel suo libro “La badia di Rambona in Pollenza nelle Marche” (1938).
L’interno della chiesa
E’ il monumento più importante dell’area di Pollenza e certamente il più trascurato per il valore architettonico e simbolico. La sua costruzione risale all’anno 891-898 ad opera della regina longobarda Ageltrude che, liberata da un assedio, donò i suoi tesori per costruire templi e cenobi (monasteri). Da questa decisione ebbe origine il cenobio di Rambona, come conferma anche il dittico “da Rambona”, un’opera d’arte conservata nel museo sacro della biblioteca apostolica del Vaticano. In origine sembra si trattasse di una cittadella con una rocca dove i monaci sacerdoti, artigiani e agricoltori, vivevano in regime di autosufficienza senza mai aver bisogno di uscire. La vita monastica era regolata secondo il criterio dell’abate che si basava sulla Regula Sancta di Benedetto. Il cenobio passò in seguito ai Cistercensi ma nel Medioevo, nel 1443, fu saccheggiato e incendiato da Ciarpellone, capitano di Francesco Sforza, che rase al suolo il monastero successivamente abbandonato.
La cripta
Dell’antica chiesa rimangono oggi solo il presbiterio e la cripta. Per stessa ammissione degli accademici, il passato dell’abbazia non è stato svelato interamente. Varie indicazioni derivano dai capitelli creati mettendo insieme materiali eterogenei e di colore diverso. La presenza di tante irregolarità architettoniche che generano giochi di luci ed ombre impreviste farebbero parte secondo i medievalisti dell’intenzione degli architetti medievali di rappresentare la complessa realtà dell’esistenza. Sotto la testata della navata di destra è stata scoperta una cella eremitica dove, secondo la tradizione, si ritirava per la sue meditazioni Sant’Amico, monaco, sacerdote, abate, che dimorò nel monastero di Rambona intorno al mille.
L’ipogeo
Ma il ritrovamento più importante è un piccolo santuario nell’ipogeo, scavato nella roccia argillosa, dedicato al culto delle acque e alla dea Bona, protettrice della fecondità. Secondo alcuni storici la badia di Rambona sarebbe sorta sul luogo dove già esisteva un tempio pagano sacro a questa divinità. La dea Bona, dice Varrone, era una divinità pagana figlia di Fauno e onorata con un culto misterioso, a Roma e nelle terre ad essa soggette. Quindi sarebbe stata importata nella zona dai Romani. Questo è testimoniato da frammenti preromani e romani rinvenuti nei dintorni de tempio. L’area fu annessa all’Impero Romano nel 269-268 e Plinio nella sua “Storia Naturale” afferma che il popolo Pollentino era unito a Urbisalvia. Tarcisio Feliziani, presidente dell’associazione Pro Rambona, e’ depositario di praticamente tutto quello che si conosce sul passato di Rambona. Egli sostiene che il nome significherebbe “Ra cum Bona” poi accorciato in Ra m Bona.
L’ingresso al tunnel sotterraneo
Quest’ultima versione si collega alla presenza del culto egizio del Santuario di Treia, a poca distanza da Rambona, e ripropone la teoria che i Romani avessero portato il culto di Iside nelle Marche. Infatti Ra (il dio sole degli egizi, identificato con l’astro al suo zenith e più tardi personificato dal dio falco Horus) in unione con la divinità locale Bona starebbe a significare che Rambona doveva essere in tempi antichi un importante luogo sacro di culto e preghiera, innalzato a suggellare l’incontro tra le due divinità, l’una venuta da Oriente (per mezzo dei Romani) e l’altra, già adorata dai locali Piceni, abitatrice dell’Ovest, divinità ctonia che con le sorelle Cupra e Sibilla costituiva il trittico dell’energia femminile della luna e della terra. Cesarini da Senigallia sostiene che invece deriverebbe da Ara Bona (in latino altare della dea Bona). Questo a prova che a Rambona la scelta del luogo dove erigere l’abbazia non fu casuale, visto che vi era in quel luogo un preesistente tempio pagano di notevole importanza. La dea Bona era adorata per la sua castità. Anche i Romani le dedicarono vari templi. Veniva identificata con il liquido amniotico che nel grembo delle madri permette ai bambini di nutrirsi.
Una delle fonti collegate al Fosso dell’acqua salata protagoniste del miracolo di Sant’Amico
Ai piedi dell’Abbazia di Rambona scorre un piccolo ruscello seminascosto da una fitta vegetazione di canne, chiamato “Fosso dell’Acqua Salata” e che ha una particolarità unica: la sua composizione chimica è molto simile a quella del liquido amniotico. Circostanza ancora più eccezionale se si pensa che il fiume Potenza, che scorre a poche centinaia di metri, ha un’acqua perfettamente dolce. Il Fosso dell’Acqua Salata proviene dalle profondità della terra e nella terra ritorna. La collocazione del tempio dedicato alla Dea Bona nella posizione dove ora sorge l’Abbazia era un modo per onorare il culto primigenio della Dea Madre nella figura della picena Bona. I Romani, che avevano portato il culto di Iside a Treia, conferirono la luce di Ra al tempio dei Piceni. Feliziani informa anche che uno dei generali romani di stanza a Rambona sarebbe poi stato mandato a combattere i Sassoni, fondando in Germania Ratisbona (con la stessa etimologia Ra tis Bona), in tedesco Regensburg.
L’antica mappa dell’area
L’etimologia ufficiale fa risalire l’origine della parola al celtico Radasbona, che era riferito a un insediamento nelle vicinanze, una spiegazione piuttosto debole e generica che lascia del tutto aperta la questione del nome. Tornando all’architettura dell’Abbazia si può notare come le decorazioni sui capitelli siano tipicamente celtiche. I nodi celtici, ad esempio, simboleggiano la continuità e il passaggio da un livello all’altro dell’esistenza senza alcuna interruzione. Quello che sorprende è la varietà delle specie animali che si trovano sulle diverse colonne: accanto al lupo e alla colomba (anche se un’incisione sull’animale indicherebbe che si tratti di un’aquila) vi sono la figura maculata di un leopardo (o giaguaro) e quella di un uccello esotico che tiene qualcosa nel becco. Queste incisioni dovrebbero trovarsi su un tempio Maya piuttosto che su un tempio del Mediterraneo.
Uno dei capitelli
E’ difficile spiegare la presenza di questi animali se non si ipotizza che le legioni romane avessero delle bestie importate dal Nord Africa e che i Piceni, probabilmente venuti a contatto con la cultura Celtica molto simile alla loro, le avessero volute fissare su pietra accanto alle specie selvatiche locali. I Piceni e i Celti quindi potevano essere entrati in contatto prima dell’arrivo dei Romani? La spiegazione è plausibile se si pensa ai numerosi ritrovamenti di questo popolo nordico in Umbria, la regione vicina alle Marche. La presenza dei Celti, che dalle Isole Britanniche scesero fino alla penisola Italica passando per la zona di Brescia e giù lungo l’Appennino, è attestata per mezzo della presenza di simboli riferiti alla loro magia druidica. Sembra pertanto logico supporre che, nell’attraversare i Sibillini, alcuni clan si siano avventurati nei boschi dell’Umbria mentre altri si siano fermati ad esplorare le colline marchigiane. I Piceni, come gli Umbri e i Pelasgi, avevano culti simili a quelli dei Pitti e dei Celti (culto della natura, della Grande Madre, delle divinità ctonie, del passaggio dell’anima a vari livelli dimensionali) e un contatto tra queste genti può essere avvenuto senza troppe difficoltà.
La pantera
Un culto misterico si sarebbe professato sulla piccola collina dove oggi sorge la chiesa. Se si volesse azzardare un’ipotesi si potrebbe dire che il culto era quello primevo della dea Madre, cioè delle forze della natura che in quell’area erano incarnate nel trittico Bona – Cupra – Sibilla, che rappresentavano i livelli spirituali dell’esistenza o i tre mondi comuni a molti popoli pagani tra cui i Celti: quello della terra, e quelli dei cieli e dei mondi sotterranei. Sulla Sibilla abbiamo avuto modo di parlare in un precedente articolo. Altrettanto potente sembra essere la presenza della dea Bona tra le mura dell’abbazia. Secondo la leggenda vi sarebbero alcune stanze, in corrispondenza delle parti più antiche della struttura, che produrrebbero un effetto molto intenso sulle donne. Alcune testimonianze confermano che l’ingresso e la permanenza in tali ambienti ha il potere di modificare l’atteggiamento delle donne mentre gli uomini ne restano immuni. Questo potrebbe spiegare perchè il tempio pagano fu costruito sulla cima del colle che si erge accanto al Fosso dell’Acqua Salata, come a protezione della vita e della fertilità. Quella parte di Rambona poteva essere il luogo dei morti originario e che poi venne utilizzato a più riprese da soldati, monaci, e locali. Questa affascinante, piccola abbazia dimenticata e’ uno degli ultimi tesori architettonici a cavallo dei due mondi, antico e moderno, e può e deve essere rivalutata con ogni mezzo possibile.
(Questo articolo è stato scritto in collaborazione con il gruppo di ricerca The X Plan. Per leggere la cronaca integrale della loro escursione clicca qui).
Rambona
L’anticamera del tunnel
Il dittico di Rambona
Un capitello
Una bestia raffigurata su un capitello
L’interno di Rambona
Un uccello
Delle piante
In alto sul capitello il nodo celtico
La pianta stella
Altri nodi celtici
Particolare del dittico di Rambona
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Scrivete che l’area fu annessa all’Impero Romano nel 269-268. Gli anni sono avanti o dopo Cristo?
Ho trovato la risposta nel sito di Xplan: 269-268 a.e.v., ossia dopo Cristo.
È sicuro, sui capitelli della cripta ci sono simboli celtici.
Chi viene da fuori e visita Rambona ha in genere reazioni di interesse e di stupore. Al di la’ delle interpretazioni e delle ipotesi che Ribechi, da antropologo curioso, propone in modo suggestivo ma sorvegliato, va rilanciato l’appello a conservare e rivalutare l’abbazia. Interessante e particolare il fosso dell’Acqua salata.
Complimenti, un servizio molto interessante.
Anche a Macerata c’è una località, ‘Acque Salate’, che fa appunto riferimento alle acque salate.
Diversi fossi denominati dell'”Acqua salata” (o Salsa), nascono da fonti poste sui versanti collinari alla destra del Fiume Potenza. Nel territorio di Macerata ce ne sono almeno due: uno nasce sotto il Colle di Ornano (detto dei Cretonacci nell’ultimo tratto), mentre l’altro sgorga sotto quello di Montanello-M. del Monte. Tutti questi luoghi naturali affacciati sul Potenza, più o meno allineati alla quota di Rambona, presentano analoghi caratteri paesaggistici uniti ad un certo magnetismo simbolico. La presenza dell’acqua salata, considerata terapeutica per molte malattie dagli antichi greci sin dal VII sec. a.c., poteva essere una ragione sufficiente a trasformare quel luogo in un tempio e meta di pellegrinaggi.
… da cui il nome: Ra m Bona…
È un’abazia molto bella, Ma ha una cripta superba.
Interessante articolo. Sul rapporto “enigmatico” Celti e Piceni una linea interpretativa è quella di Medardo Arduino.
Celti e Piceni, ovvero Pupùni. Interessanti le datazioni ( di Arduino)
Egizi,Piceni,Celti, Franchi. Ma chi siamo veramente? Dove stiamo andando lo sappiamo, quindi una delle grandi domande ha già la sua risposta. Su “Chi siamo?” e ” Da dove veniamo? “, ancora non è ben chiaro, però mi sembra che si stia sulla strada giusta. Certo che il rischio di una crisi d’identità, c’è e magari andando avanti su questa strada possiamo scoprire a che cosa si deve la costruzione e biologica e storica, di personaggi come Corvatta, Silenzi e Ceriscuoli,( tralascio Costamagna che attualmente è allo studio di suoi vecchi colleghi che ne dovrebbero trarre una, speriamo, quanto più precisa teoria delle caratteristiche globali che gli danno forma). Tornando al trio di cui prima, una certa familiarità con ” il Trota e il Bossi “, Celti purissimi, già ce la vedo, però anche con i Saraceni, che dalle nostre parti venivano a depredare e forse qualcosa hanno lasciato. Escluderei gli alieni, che ci avrebbero già fatto fuori tutti come elemento di disturbo all’etica universale. E’ certo che da quando è nato lo spaziotempo dopo il Big Bang, si è visto di tutto e anche noi, nel nostro piccolo globo abbiamo avuto i nostri guai che a pensarci bene a tutt’oggi, mica sono finiti. Però, almeno che i guai siano uguali per tutti, a differenza della giustizia che quando si addentra nel marasma della politica a volte fila via dritta, ma a volte diventa talmente tortuosa ( volutamente ), tanto da cambiarne tempi, modi e risultati.
Quindi neppure una traccia architettonica o scultorea che faccia presumere perlomeno uno straccio di contatto con antiche civiltà dei pianeti transplutoniani, ciò è molto deludente.
insigni studiosi lavorano sulla suggestiva teoria che una nipotina di Ermengarda a Rambona si sia cresimata.
Vorrei far notare che 1) i capitelli non hanno decorazioni celtiche (cosa vuol dire “decorazione celtica”?); i motivi decorativi dei capitelli si rifanno alla tipica scultura altomedievale e romanica (il leopardo, comunque ben conosciuto fin dai tempi dei Romani – si vedano ad esempio le venationes – non è un’anomalia nella simbologia medievale). 2) Il contatto fra Celti (Galli Senoni) e Piceni c’è stato ed è ampiamente dimostrato (le popolazioni galliche giunsero intorno al IV sec. a.C.). 3) Il culto di Iside si diffuse in Italia (e di conseguenza anche nelle Marche) a partire dal I sec. a.C. (non c’è alcuna “teoria da riproporre…”). Rambona è un gioiello con una ricchissima storia alle spalle, non c’è bisogno di trovare chissà quali misteri per accrescere la sua importanza e il suo fascino.
Per Calvelli. I Galli Senoni hanno dato il nome a Senigallia.
A Civitanova deve essere passato anche qualche Galletto Amburghese.
Tutte le importanti scoperte sulla storia del nostro territorio collegate alla storia più antica dell’umanità vanno portate alla luce in modo sistematico attraverso la creazione di un centro studi internazionale che riscriva la storia in base alle ultime scoperte. Le istituzioni sia politiche che culturali, a livello regionale, si devono muovere in merito, per valorizzare la le nostre origini e la nostra storia.
Tra l’altro è già da parecchio tempo che il mondo è lì che non aspetta altro se non la creazione a Macerata d’un centro di studi internazionale che riscriva la storia, la sua pazienza potrebbe avere un limite.