Li Daiguo nel cortile del palazzo Comunale a Macerata durante la Controra di Musicultura
L’emozionate esibizione con il pipa
di Marco Ribechi
Cina, Stati Uniti e Zimbabwe uniti nella stessa performance. Le tradizioni musicali di tre continenti racchiusi in un artista internazionale che fa della sperimentazione e dell’improvvisazione la sua forma d’arte. E’ Li Daiguo, l’ospite internazionale del festival Musicultura arrivato a Macerata grazie alla collaborazione con l’istituto Confucio che continua ad offrire alla città perle culturali di grande fattura. Nato negli Stati Uniti ha da poco fatto ritorno in Cina e dopo l’intervista per La Controra si esibirà di nuovo nell’Arena Sferisterio il 24 giugno. Dopo la sbalorditiva performance di Xiao He della passata edizione (leggi l’articolo) il festival del cantautorato italiano continua a guardare ad oriente per mostrare che il linguaggio musicale non conosce barriere né divisioni geografiche.
Li Daiguo al violoncello
Accompagnato da tre strumenti, il violoncello per quanto riguarda la tradizione europea, il pipa o liuto cinese, duttile strumento simbolo della musica cinese, e il m’bira proveniente dall’Africa, Li Daiguo ha saputo rapire il pubblico presente nel chiostro del palazzo Comunale con una ipnotica esibizione solista. «Sto sviluppando vari progetti musicali – ha spiegato in inglese l’artista – tre in Cina, uno in Europa e un’altro negli States. La mia produzione è molto variegata, compongo pezzi per spettacoli di danza moderna, per istallazioni video e anche colonne sonore. Passo dal classico al noise e amo sperimentare fondendo insieme sonorità provenienti da diverse aree del mondo». Gli strumenti che porta con sé, solo alcuni di quelli che il polistrumentista è in grado di suonare, sono il simbolo di varie storie e filosofie musicali. «Ho studiato e sviluppato un mio stile – continua Li Daiguo – il mio modo di suonare il violoncello è molto influenzato dai miei studi sul pipa e viceversa. E’ normale che sia così perchè entrambe sono due tradizioni viventi in continua mutazione e sviluppo».
L’esibizione co il m’bira
Ma è proprio l’improvvisazione una delle chiavi interpretative della sua musica. «E’ la fase più importante della mia produzione – aggiunge l’artista – compongo con lo strumento in mano, non nella testa. E’ un processo comune a tanta musica, anche alla classica. Tutta la musica è improvvisazione che poi viene tradotta in un linguaggio cristallizzato. Parto da delle strutture di base esattamente come fa il jazz, la musica indiana, quella africana o quella dell’America Latina e poi rielaboro i suoni in chiave personale». L’ispirazione arriva dalla musica stessa. «Ascolto sempre musica anche se devo ammettere che siamo circondati da rumore e musica di scarsa qualità. Ci sono molti suoni di cui non abbiamo bisogno. Comprendere i suoni, anche quelli della natura, affinare l’udito permette anche di ascoltare il proprio intimo e di crescere. Il mio gusto va verso le sonorità che portano alla trance perchè aumentano la capacità di dialogo con il proprio io. Ci sono tanti modi in cui la musica serve le persone, nelle mie esibizioni mi piace ricavarmi uno spazio in cui mi sento a mio agio, sicuro, e trascinare l’ascoltatore in questa sicurezza».
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