di Marco Ribechi
Un incontro inusuale ma pieno di poesia e condivisione quello avvenuto oggi pomeriggio nel cortile del palazzo comunale. Protagonista Xiao He, invitato dall’istituto Confucio, artista sperimentale cinese già protagonista dell’ultima serata di Musicultura in compagnia di Patrizio Fariselli ex Area (leggi l’articolo). Se allo Sferisterio la sua affascinante performance definita da Frizzi “Universal Folk” aveva lasciato un po’ spaesati gli spettatori, nell’appuntamento pomeridiano con La Controra l’artista, intervistato da Paolo de Bernardin ha potuto chiarire la propria visione della musica. Un’arte concepita senza barriere e divisioni, elemento interculturale perchè appartenente all’animo umano, creata direttamente nelle nostre menti. «Ieri con Fariselli c’è stata una grande magia nonostante ci fossimo conosciuti solo poche ore prima, questo non è scontato, non avviene sempre – spiega l’artista – Abbiamo avuto successo perchè suonare insieme ci ha reso felici e questa gioia si è diffusa tra gli spettatori, e anche loro sono stati felici».
Una musica quasi atavica quella che propone Xiao He, nel senso di riscoperta della purezza del suono e dell’emozione, libera da ogni giudizio tecnico, storico o culturale: «Suono uno strumento tradizionale, di circa 1700 anni fa. Mi viene sempre chiesto se ciò che presento sia di origine mongola piuttosto che tibetana o cinese. Io rispondo che questa è la musica di Xiao He. Distinguere le culture e le etnie significa tracciare delle divisioni e le divisioni generano conflitto. Il mio è un suono del presente. Le persone hanno bisogno di dare delle definizioni perchè hanno necessità di comprendere secondo i propri schemi quello che ascoltano, vogliono dominare l’artista all’interno di ciò che già pensano di conoscere. Ma questa è solamente la musica di Xiao He». Tanti riferimenti filosofici che suonano ancora più forti perchè pronunciati in una lingua incomprensibile, che assume forma solo tramite la mediazione linguistica di una bravissima traduttrice. Interessante soprattutto comprendere il concetto di ascolto che in cinese ha due forme: «Quando ascoltiamo la musica – prosegue Xiao He – ci sono 2 attitudini.
La prima è “Ascoltare e comprendere” (espresse da una sola parola in cinese) in cui inseriamo la nostra esperienza per dare significato e comprendere il suono. La seconda è “Ascoltare”, liberandosi cioè di tutto ciò che ci permette di comprendere. Solo con questa attitudine possiamo aprirci alla musica e svelarla». Xiao He poi spiega che negli anni 80 in cina c’è stata una grossa penetrazione della musica occidentale che da un lato ha creato nuovi linguaggi e contaminazioni ma dall’altro ha allontanato gli artisti dalla musica tradizionale. Questi eventi hanno influenzato il suo stile ma: «Si può essere influenzati anche da ciò che disprezziamo o addirittura da ciò che non conosciamo, io per esempio amo pasta e pizza, sto cercando di mangiarne il più possibile. Non c’è dubbio che in qualche modo questo sia un rapporto indiretto con la musica italiana, e quindi un’influenza».
Due le performance offerte dal generoso artista: una di improvvisazione strumentale con il suo Ruan accompagnato da vocalizzazioni “incomprensibili anche per i cinesi” ci tiene a spiegare ad un pubblico curiosi di conoscere i testi della canzone. La seconda è stata invece una sorta di dimostrazione istruttiva sulle capacità del nostro corpo. Xiao He ha letteralmente suonato le orecchie di due volontari, giocando con gli spostamenti d’aria, creando delle casse acustiche, facendo frusciare le dita in varie posizioni attorno al viso delle “cavie” che hanno poi tentato di descrivere a parole le proprie sensazioni, operazione complicatissima. «Ognuno di voi da oggi in poi potrà ripetere l’esperimento con i propri cari – conclude Xiao He – suonando allo stesso modo le loro orecchie. Questo esercizio vi potrà aiutare a capire la vera natura della musica. Noi ascoltiamo il vento, il mare o gli uccelli ma i veri compositori e maestri sono le nostre menti».
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