Commissione di indagine
su Banca Marche,
relazione sul web e in Parlamento

CRAC - Approvata dopo un infuocato dibattito la risoluzione che prevede la pubblicazione dell'atto. Amministrazione non all’altezza, ruolo delle Fondazioni e le mancate cessioni a Credit Agricole e Banca popolare dell’Emilia Romagna, i troppi accantonamenti, l’opera di Bankitalia, gli errori di Fonspa, e Consob sono secondo i commissari le cause del dissesto dell'istituto

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Il Consiglio regionale

Il Consiglio regionale

 

La relazione conclusiva  della commissione di indagine su Banca Marche è stata pubblicata sul sito dell’Assemblea legislativa e sarà trasmessa ai parlamentari. A deciderlo, dopo un dibattito surriscaldato, il Consiglio regionale delle Marche che ha impegnato la la Giunta a farsi portavoce nei confronti del governo per l’adozione di misure necessarie per indennizzare i risparmiatori. Bocciato invece un documento di M5s, Lega nord, Fd-An, gruppo misto, firmato anche da Piero Celani di Fi, che chiama in causa il governo per rivedere la svalutazione delle sofferenze e trovare risorse per i danneggiati.

La relazione presentata nei giorni scorsi è il frutto di un lavoro di tre mesi che, secondo i componenti della Commissione (leggi l’articolo), aiuta a fare chiarezza sulle cause e le molteplici responsabilità del default dell’istituto di credito . Una relazione “debole, che non individua le responsabilità politiche” secondo le opposizioni che avevano abbandonato la Commissione.


LA RELAZIONE – Amministrazione non all’altezza, il ruolo delle Fondazioni e le mancante cessioni a Credit Agricole e Banca popolare dell’Emilia Romagna, i troppi accantonamenti, l’opera dei commissari nominati da Banca D’Italia, gli errori di Fonspa, e Consob. Sono queste in estrema sintesi alcune delle cause che hanno portato al dissesto di Banca Marche secondo l’analisi della Commissione d’indagine nominata dalla Regione per far luce sul crac dell’istituto di credito. «Una delle più grandi debolezze – scrive la commissione – è costituita dall’amministrazione della banca, risultata come non in grado di gestire una situazione debitoria che, soprattutto a partire dal 2011, aveva assunto dimensioni allarmanti. Anche le Fondazioni proprietarie di Banca Marche non sono esenti da responsabilità: l’elevata percentuale di capitale sociale posseduta delle Fondazioni bancarie ha, infatti, determinato che – nel bene e nel male – esse abbiano sempre influenzato le decisioni della banca, in alcuni casi anche sul fronte delle scelte della direzione. L’adesione da parte delle Fondazioni agli aumenti di capitali richiesti ed in particolare a quello del 2012 è avvenuta in un contesto di regolarità formale e previo assenso da parte del ministero dell’Economia e delle Finanze; sul piano sostanziale, tuttavia, da quanto detto in audizione – continua la Commissione –, si ha la sensazione che questa regolarità formale non sia stata accompagnata da quella opportuna attenzione di merito che avrebbe dovuto impedire la perdita del valore delle partecipazioni delle Fondazioni, perdita alla quale consegue – nei fatti – l’impossibilità a continuare a svolgere il proprio ruolo in favore delle realtà sociali dei territori di riferimento». La commissione si domanda se le fondazioni abbiano operato secondo il decreto legislativo che dice che, tra l’altro, che «Le fondazioni, nell’amministrare il patrimonio, osservano criteri prudenziali di rischio, in modo da conservarne il valore ed ottenerne una redditività adeguata».

Foto d'archivio

Foto d’archivio

Poi la Commissione parla delle trattative con Credit Agricole e Banca popolare dell’Emilia Romagna che nel 2008 hanno formalizzato alle Fondazioni offerte vincolanti per acquisirne il controllo. Entrambe le offerte vincolanti presuppongono, infatti, la riduzione della partecipazione complessivamente detenuta dalle Fondazioni di Jesi, Macerata e Pesaro al di sotto del 50%. Con riferimento al valore assegnato alla Banca delle Marche (e al prezzo per azione) le offerte ricevute dalle Fondazioni (di Jesi, Macerata e Pesaro) si caratterizzano nel modo seguente: Credit Agricole è disponibile ad offrire alle Fondazioni e a tutti gli altri azionisti di Banca delle Marche un corrispettivo in denaro pari a 2,164 euro per ciascuna delle azioni ordinarie: 1.062.811.311, per un valore di due miliardi e trecento milioni di euro. Banca popolare dell’Emilia Romagna valutava la banca 2.650 milioni di euro. Le due offerte vincolanti, erano “cash” e con queste i piccoli azionisti avrebbero ricevuto contanti in cambio delle loro azioni. Le offerte erano rivolte esclusivamente alle Fondazioni. Nessuna è stata accettata. “Banca Marche deve proseguire da sola, fu detto”». La commissione evidenzia anche altri aspetti: «particolari debolezze si evidenziano sia nella figura del direttore generale che in generale sul Consiglio di amministrazione, il quale deve controllare ed informarsi in modo approfondito per decidere relativamente alle questioni aziendali; è lecito, inoltre, quantomeno dubitare del ruolo e delle funzioni del collegio sindacale, che non avrebbe sollecitato gli altri organi e strutture aziendali in merito ai cambiamenti necessari da porre in atto». Sull’intervento dei commissari di Banca d’Italia, la commissione scrive che il loro ruolo «ha avuto come conseguenza diretta la crescita degli accantonamenti a fronte di una crescita del rischio di credito, in particolare di quello rivolto al settore immobiliare, sottovalutando però il fatto che l’obiettivo di una gestione prudente non potesse prescindere dal ruolo istituzionale di un istituto di credito che è quello di sostenere le imprese e in generale lo sviluppo economico di un territorio».

Poi nel documento di parla di quanto affermato dalle associazioni sindacali Fabi e Uilca che sostengono che «”probabilmente ciò che ha fatto la differenza, senza voler in alcun modo sminuire le responsabilità individuali rispetto ai rischi eccessivi che si è presa Banca Marche in alcuni comparti come l’immobiliare, è stata la gestione della crisi”; in particolare, sostengono che si sia realizzato “un eccessivo accanimento, messo in atto dalla nuova dirigenza, con punte di “sadismo” molto evidenti da parte di qualche solerte funzionario non sufficientemente contrastato, mai visto in nessun’altra situazione”. Continuano specificando che tale comportamento “ha prodotto una ”cura” che, anziché guarire il malato, lo ha condotto, come era ampiamente prevedibile, “direttamente alla tomba”». I parametri di valutazione del credito. Altro punto: «E’ fuori discussione il fatto che Banca Marche dovesse accrescere le coperture sul deteriorato: le questioni vere sono di quanto accrescerle, con quale progressione, con quale consapevolezza da parte del Consiglio di amministrazione e con quali operazioni che ne assicurassero la piena sostenibilità. Banca Marche ha scelto come soluzione quella di muoversi prima degli altri e molto più intensamente». La commissione parla di un eccesso di accantonamenti: nel 2012 di 119 milioni di euro. Quello era stato l’anno della grande perdita «e già questo fatto dimostra che le politiche seguite da Banca delle Marche nel 2012 erano più aggressive di quelle delle altre banche; a tale situazione fa riferimento l’adozione dei parametri di valutazione eccessivi denunciata dai sindacati; nel primo semestre del 2013 l’eccesso di accantonamenti aumenta a 382 milioni di euro; la semestrale è quella che porta successivamente al commissariamento. A fine 2013 l’eccesso di accantonamenti cresce fino ad oltre 500 milioni di euro; dopo la semestrale la gestione è in mano ai commissari che, evidentemente, continuano a svalutare il credito di Banca delle Marche nonostante, prima del loro ingresso, la Banca d’Italia abbia condotto ispezioni su tale ambito da novembre 2012 ad agosto 2013».
Questo modo di operare, secondo la commissione, «dimostra che la banca ha anticipato nella politica di accantonamento (e in questo modo ha creato i presupposti del commissariamento) ciò che le banche più importanti faranno in modo significativo solo a partire dal bilancio 2014 (due anni dopo)». Infine il terzo livello di criticità: «è stato rappresentato dalle filiere di controllo istituzionale, vale a dire dall’attività svolta sia dalla Banca di Italia che dalla Consob, rispetto alla quale non può non rilevarsi uno scarto tra risultanze istruttorie e la realtà che si è poi – drammaticamente – verificata». Poi la Commissione affronta la questione Fonspa, che a suo avviso «ha contribuito ad aggravare la situazione, in quanto ha costretto la banca stessa a corrispondere gli interessi: si è infatti concentrato il rischio verso una sola controparte e nel momento in cui il 20 maggio 2015 il credito Fonspa non è stato rimborsato si sono verificati danni reputazionali ingenti, provocando una perdita di liquidità molto rilevante. I commissari avrebbero dovuto piuttosto provvedere per tempo a far fronte alla scadenza dei pronti contro termine relativi al prestito Fonspa». Le associazioni sindacali aziendali hanno sostenuto con la Commissione che «“non si capisce perché la vigilanza abbia rifiutato, per quanto ci risulta, alcune proposte provenienti da investitori stranieri (fondi) che avrebbero inteso acquistare qualcosa come 5 miliardi di sofferenze e incagli di Banca Marche pagandoli il 30% del loro valore – quindi quasi il doppio del valore stabilito dal Governo permettendole, tra l’altro, di incassare 1,5 miliardi di euro liquidi, con evidenti benefici sia dal punto di vista del Patrimoniale (nel suo rapporto patrimonio/impieghi) che della liquidità. Forse perché Banca d’Italia avrebbe inizialmente “puntato tutto” sulla partita Fonspa, soggetto che avrebbe dovuto non solo comprare e gestire il recupero del credito deteriorato, ma anche acquisire la quota di controllo della banca stessa attraverso un aumento di capitale dedicato. Nonostante le perplessità di molti per l’evidente sproporzione tra l’impegno di un soggetto quale Fonspa e l’acquisto di una banca di oltre trecento sportelli, masse amministrate importanti ed una rilevante complessità organizzativa le cose sembrano, comunque, procedere nel senso della acquisizione da parte di Fonspa». Altro aspetto negativo l’allungamento dei tempi per l’aumento di capitale nel 2013, chiesto dal governatore della Banca D’Italia Ignazio Visco: mancano 300 milioni di euro. In attesa della ricapitalizzazione, tanti clienti hanno chiuso i conti «a causa dei leciti dubbi sulla tenuta della banca, come sostengono le associazioni sindacali aziendali». Infine la commissione «fa proprio l’auspicio dei rappresentanti dei consumatori circa la possibilità di indennizzare parte dei soggetti che hanno visto i propri investimenti azzerati attraverso una commissione di conciliazione che giudichi il caso e decide sul da farsi».

 



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