AGGIORNAMENTO DELLE 16,30 – Il presidente di Confindustria Macerata Domenico Guzzini ha rassegnato le dimissioni, annunciando la decisione con un lettera inviata ai soci. Leggi l’articolo Domenico Guzzini si dimette, passo indietro dopo la frase choc «Penso sia una scelta doverosa».
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di Fabrizio Cambriani
Stridono come un chiodo passato sulla lavagna. Nella forma sono parole pronunciate con calma. Senza concitazione alcuna. Non c’è l’animosità verbosa causata da un ostico contraddittorio. Parole niente affatto carpite, con destrezza, nel corso di una conversazione privata. Al contrario, solo la pacatezza di una riflessione da un pulpito autorevole: quello degli industriali della provincia. Parole immancabilmente intrise di quell’anglicismo ormai doveroso per chi, al giorno d’oggi, fa impresa. Anzi, business. Per un attimo, un attimo solo, ti fanno gelare il sangue. Poi scorrono via leggere, come acqua sul marmo. Perché non fanno più impressione. Perché una coltre di omertoso silenzio le avvolge. Come bruma di primo mattino. Nessuno (a parte una consigliera regionale del Pd), nemmeno le organizzazioni sindacali, ha avuto un sussulto d’orgoglio nel chiedere le dimissioni di chi le ha pronunciate. Nel dire, senza tanti orpelli: “le tue inqualificabili parole non ci rappresentano”. E lì capisci che siamo arrivati al punto di non ritorno. L’abisso che – come nel salmo 42 – invoca l’abisso. “Se qualcuno morirà, pazienza!” ha affermato il presidente di Confindustria Macerata, nel giorno in cui sono morte di Covid, 846 persone. Dopo dieci mesi in cui, quotidianamente, sotto i neon azzurrastri delle terapie intensive, tutto il personale ospedaliero lotta fino allo stremo di ogni sua forza, per mantenere in vita ogni essere umano.
Dentro quell’esclamazione – pazienza! – temo sia racchiuso tutto il nostro tempo. Un tempo difficile e dall’approdo incerto. In cui perfino la vita umana diventa peso. Zavorra da sganciare per poter risalire in fretta in superfice. Ciascuno con i propri mezzi a riveder le stelle. Gli affari prima di ogni altra cosa. L’offerta di un sacrificio umano, in un rito tutto tribale, davanti all’altare pagano del dio denaro. Agli albori del terzo millennio. Eppure, non ci sarebbero le condizioni per tanto crudo cinismo. Nessuna vertigine di disprezzo per il nemico, come potrebbe accadere in tempi di guerra. Benché, chi scrive abbia visto, di persona, efferati crimini di guerra, sa pure come per commetterli anche la peggiore della feccia umana abbia avuto bisogno di stordirsi con dosi massicce di alcol o di cocaina. Qui, invece, è tutto presentato attraverso accattivanti slides. In raffinati blazer di cachemire e ornato con la fragranza di gradevolissimi dopobarba. È il segno di resa di una generazione che non riesce a uscire fuori da questa crisi, ormai cronica, che da lungo tempo ci percuote. A tutti i livelli. E che, nell’immaginario collettivo, ne vede i terminali solo nella classe politica. Quando in realtà è crisi di tutti i comparti. Ma risulta molto più facile e comodo gridare al governo ladro. E abbandonare gli indifesi. Colpevolizzare i fragili. Gli ammalati, che sono causa delle mancate vacanze a Cortina. Le stesse poi ridicolizzate dai film di Vanzina. O di pantagruelici cenoni, il più delle volte tra sconosciuti. Con piatti e bicchieri di carta colorati dove, da ore, già alloggiano tartine rinsecchite. In attesa di due primi, due secondi, contorno, dolce e frutta (bevande a parte). Il tutto al modico prezzo di 150 euro. O giù di lì.
Domenico Guzzini, presidente di Confindustria Macerata
E poi, di corsa tutti a stappare spumante e a fare il trenino. Gaudenti e sudaticci. Con le mani nei lombi adiposi di chi ci precede. Decisamente troppo poco per poter recriminare e gridare al complotto politico. Perché la verità vera è che questa generazione di imprenditori ha clamorosamente fallito. E non è stata assolutamente in grado di sostenere il peso dell’eredità dei propri antenati. Hanno appreso sì l’inglese alla perfezione, ma – una volta messi alla prova – non sono riusciti a navigare nemmeno dentro le acque di un porto sicuro. Figuriamoci in mare aperto. Nei loro meeting, fanno le facce feroci e compitano, agli astanti, lezioncine imparate a memoria troppo in fretta. Scimmiottano la razza padrona degli anni Ottanta, ma difettano in capacità e competenza. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Salvo rarissime eccezioni si arrendono all’evidenza. O al portafoglio. Lasciando al miglior offerente, il più delle volte straniero, i loro prestigiosi brand. Detestano lo Stato, ma quando le cose vanno male pretendono, anzi esigono, sonori rimborsi. Sempre più privatizzando i loro profitti e pubblicizzando le perdite. Poiché, evidentemente, il concetto di rischio di impresa, così come il comunismo, è retaggio del secolo scorso. Quel: “se qualcuno morirà, pazienza!” è la parola d’ordine di questa generazione. Il motto di chi non conosce altri che se stesso e i propri ristrettissimi interessi. Pronunciata ai presenti, con affettuosa nonchalance. Ma, vista dall’esterno, la presa di coscienza che in questa nazione non ci sono i fondamentali per poter ripartire. Adesso, che con le ingenti risorse introdotte dell’Unione Europea, i mezzi ci sarebbero, ciò che manca sono proprio gli uomini e le donne con visione di insieme in grado di fare squadra. E di elevarsi, per meriti propri, a vera classe dirigente.
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Fabrizio Cambriani, nessuno ha chiesto le sue dimissioni e tantomeno nessuno dovrebbe chiederle perché deve essere lui a darle. Sarebbe il minimo da fare. Può succedere a tutti di dire una frase sbagliata, non va, secondo me, crocefisso ma almeno deve dimettersi.
Ecco la vera maschera della confindustria e dell'intera cricca imprenditoriale, quella di fare soldi alla faccia e sulla pelle dei lavoratori, nascondendosi dietro il covid e delle sue restrizioni. Uno schiaffo ed uno sciacallaggio delle oltre 60.000 vittime italiane......
Lunica critica che farei a Guzzini è quella per aver ritrattato scusandosi
Complimenti all'autore del commento. Pura verità
La frase pronunciata è stata pesante...... ovviamente non la condivido..... però secondo me ha detto quello che molti imprenditori pensano e ora stanno facendo i perbenisti. A marzo con più di 700 morti eravamo in lockdown, oggi come da tempo purtroppo si registrano molti più morti eppure la maggior parte delle attività sono a pieno ritmo.
Guzzini a sbagliato ed e giusto che paghi, ma anche voi attaccare gli imprenditori x lo sbaglio di uno non ci fate proprio una bella figura.........
Ha sentito anche lui di elevarsi a deità
Eccellente articolo
E vedrai I fallimenti veri... DA gennaio in poi.. Mo vogliono chiedere anche il natale!! Ahhh era già scritto!!!
L’oscenità pronunciata da Guzzini non dovrebbe comunque far dimenticare che chi per primo ne ha chiesto le dimissioni ha per cinque anni presieduto quella giunta regionale che ci ha fatto trovare quasi privi di terapie intensive, e una serie di ospedali in dismissione privi di personale e reparti di infettivologia. Terribile il cinismo dell'imprenditore, micidiale l'azione della politica.
È ora cosa dice Acquaroli che l'ha difeso?
Che poi è quello che pensano in tanti ma non hanno il coraggio di dirlo
Solo i soldi tutto gira intorno a questi maledetti soldi una, frase veramente indegna soprattutto nei confronti di quelle persone che hanno perso i propri cari in circostanze veramente penose
Troppi soldi è poco cervello .
Ai Guzzini molti nodi incominciano a venire al pettine è chiaro che siano confusi e preoccupati....
Non entro nel merito della frase pronunciata o se magari è stata manipolata per fare scalpore...però mi sarebbe piaciuto vedere lo stesso accanimento contro lo stato tutte le volte che degli imprenditori si sono tolti la vita in questi ultimi anni perché non riuscivano a tenere in piedi le proprie aziende e dovevano mandare a casa operai e mettere in mezzo alla strada delle famiglie...
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paoloni, troppi soldi è vero ma il cervello a questa gente non manca, purtroppo lo si adopera troppo spesso per essere furbi e molto poco per dimostrare un po di intelligenza e l abitudine poi fa brutti scherzi..
Questo articolo non doveva essere pubblicato (pur con tutto il rispetto per chi lo ha scritto, ci mancherebbe). Articolo a mio modestissimo avviso esagerato, grottesco, fuori dalla realtà, mi meraviglio di CM che gli abbia dato spazio.
Una persona che da sempre dà lavoro a tante famiglie pronuncia parole sbagliate nel contesto sbagliato, un errore certo, ma può capitare a chiunque di esprimersi male una volta nella vita e peraltro è stato subito ammesso, e giù fiumi di veleno senza nemmeno voler guardare un passetto più in là di quell’apparenza (effimera) che spiana un’autostrada a facili sproloqui sui massimi sistemi. Tutti si ergono a giudici, anche chi non conosce la persona, il contesto, i salti mortali che stanno facendo tante aziende per non chiudere! Chissà se chi commenta ai vari articoli “senza se e senza ma” appartiene magari ai fortunati dipendenti pubblici che hanno dormito sempre sonni tranquilli con il loro stipendio assicurato a dispetto di ogni lock-down, senza farsi un giorno di cassa integrazione ma anzi quasi quasi una lunga vacanza sempre retribuita.
Si commenta una frase infelice sulla morte con parole che a loro volta uccidono, anzi annientano, più del covid, una persona, una categoria ed una azienda di riferimento e di pregio nel contesto locale.
E’ un’analisi spietata ma estremamente lucida che, proprio come il gabbiano Jonathan Livingstone, vola e, trasgredendo tutte le regole, approda alla saggezza ma anche all’amore. Grazie a Fabrizio Cambriani abbiamo l’opportunità di volare e di tentare mille acrobazie: sta a noi cogliere l’opportunità. Poi c’è chi giudica l’albatro solo per come goffamente si muove sul ponte della nave come l’autrice del commento che mi ha preceduto. Io lo giudico per come vola, non per come cammina. E Cambriani vola alto, troppo in alto per chi non è capace di alzare gli occhi verso il cielo. Grazie Fabrizio, di vero cuore, per i mille stimoli di riflessione che ci proponi.
Grazie, cara Roberta Angelelli, di avere espresso il mio pensiero. Non sono, però, d’accordo con te quando dici che CM non avrebbe dovuto pubblicare l’articolo di Cambriani, che esprime una opinione con conseguente dibattito (pure se qualche volta vengo censurato). Per il resto, ciò che hai scritto lo condividono tutti coloro che sono stati costretti, sono costretti, saranno costretti a chiudere la loro attività, o a perdere il loro lavoro di dipendenti, a causa di una pandemia usata, ormai alla luce del sole, per fini politici.
Sento in giro voci che dicono che a primavera ci saranno milioni di licenziamenti. Che a noi pensionati, agli statali, a chi vive di rendita e ad alcuni che hanno crocifisso Guzzini, faranno un baffo.
Personalmente sono convinto che questa pandemia ce la siamo meritata. L’umanità sta conducendosi per i suoi crimini individuali e collettivi verso un baratro orrendo, per una legge di causa-effetto su cui è costruito l’equilibrio cosmico. Quindi, nulla mi meraviglia.
Ma fa male e fa pensare questo accanimento al linciaggio per una frase inopportuna, dietro alla quale si vogliono vedere stati mentali inesistenti.
Ringrazio, allora, i Guzzini per il lavoro che hanno dato, danno e daranno ai cittadini italiani e pure agli immigrati che sono in regola con le nostre leggi.
I Guzzini sono un fiore all’occhiello della nostra imprenditoria. Della nostra piccola e media impresa, dell’artigianato, del piccolo commercio e della piccola agricoltura. Tutti costoro sono ancora il volto umano della nostra economia, che dovremmo apprezzare e difendere.
…L’articolo-commento di Cambriani è pieno e ricco di stimoli che non tutti hanno colto (Angelelli e Rapanelli su tutti). Guzzini in questo caso rappresenta la punta di un icebergh, e guarda caso non si capisce come mai i presidenti degli industriali locali siano sempre “peggiori” dei loro associati, molti dei quali resistono nella bufera (che forse i loro padri gli abbiano trasmesso dei valori solidi e antichi?) e anzi reinvestono sul territorio i loro utili. I Guzzini saranno certamente imprenditori “illuminati” (in tutti i sensi), ma questa frase-lapsus cela verità profonde che Cambriani ha portato a galla, e cela una macchia indelebile sulla famiglia; e qui aggiungo che saranno pure illuminati, e danno e daranno lavoro (anche se mi sembra che la proprietà sia ora in mani svedesi), ma per capire come è somministrato questo lavoro, osservate i loro stabilimenti, ad esempio lungo la strada che da Macerata porta alla “Regina”: da un lato un immenso casermone, senza finestre e luce naturale, ché l’operaio non può, quando lavora, guardare il cielo, ma solo chinare il capo; a fianco invece, la palazzina del vero illuminato e dei suoi sottoposti (e impiegati) creativi (i designer, tanto per usare un anglicismo ormai in voga), tutta luce e grandi vetrate, quasi a distinguere, definitivamente, i dannati e i sommersi, i gironi infernali e i cieli del paradiso, e in mezzo nessun purgatorio, nessuna possibilità di ascesa per gli uni, e nessuna possibilità di scendere, di sbagliare, per gli altri, gli eletti. Ecco una metafora dell’Italia che ancora non riesce a cambiare, e questo virus sta ulteriormente ostacolando qualsiasi ascesa sociale.
Tornando ai, più o meno, giovani industriali, infarciti di inglese (come dice Cambriani) e di master e di corsi di marketing, e di core business, e di Know-how e altri gargarismi vari, aggiungo io, ma scarsi nella cultura elementare -ricordate Luca Luciani, manager della Tim e poi coinvolto negli scandali legati all’inchiesta sulle sim card truccate, che in un famigerato discorso, in una convention romana per incitare i venditori della Telecom, tirando in ballo Napoleone disse che il Grande Corso «fece a Waterloo il suo capolavoro», quando «tutti lo davano per fatto, cotto», e poi, non pago di aver stravolto la storia, sentenziò:«Piangersi addosso non serve, correte di più, stringete i denti, e allora dagli spalti vi applaudiranno perché voi andrete e segnerete. Le facce scettiche non servono a un caz… Andate e segnate, come fece Napoletone a Waterloo»?- riflettete su quanti, con tutti gli studi fatti e le competenze acquisite, abbiano saputo portare avanti le aziende paterne (o materne a volte, anche se raramente), di padri che spesso avevano la quinta elementare, ma che ai master sul marketing o alle pagine dei social media, preferivano la fatica – molti di essi venivano dalla civiltà contadina, e la fatica e il sudore lo conoscevano bene – e le relazioni sociali; osservate le zone industriali dell’ex distretto più importante d’Italia, lungo il basso Chienti e capirete di cosa parlo; certo le vecchie generazioni non avranno incontrato la Crisi prima (e lì molti hanno chiuso) e il Covid poi, ma credete che non abbiano dovuto affrontare altre tempeste?
Montecosaro ad esempio dove le vecchie realtà industriali davano lavoro a più di 500 persone, e l’ultimo calzaturificio (un vero caso di studio, un concentrato di miopie e scelte sbagliate, difformi a quelle dei padri, che dagli anni ’70 in poi fecero crescere l’azienda, ma d’altronde questi venivano dalla terra, i figli dal “cloud”…), con cento operai, ha chiuso pochi anni fa. Aziende, molte delle quali spazzate via sì dalle ultime crisi, ma anche da strategie che si sono rivelate effimere, perché spesso in contrasto con le idee dei padri, con i loro valori costruiti sulla roccia; e solo figli-imprenditori che ne hanno capito l’insegnamento, oggi resistono; mentre quelli cha hanno preferito la villetta neoclassica in alto, la Ferrari (e qui il caso-Montegranaro salì alle cronache nazionali) e i privè e le “strisciate” di bancomat, sono stati spazzati via…
E infine, fatemelo proprio dire, non se ne può più, della solita giustificazione “ma ci danno il lavoro!?”, come fosse una manna dal cielo; perché occorre distinguere, perché se sono onesti e corretti (o siamo, perché imprenditori molti potremmo esserlo, se avessimo più spirito di iniziativa, se le banche ci venissero più incontro -che ingenuo!- senza dimenticare la dicitura “rischio d’impresa”) ben vengano e sono d’accordo; ma se come tante fabbriche di poliuretano, sempre nella zona del basso bacino del Chienti (chissà perché non se ne parli più), uno dei siti più inquinati d’Italia -un tempo classificato di interesse nazionale, poi -chissà come mai-declassasto a regionale, e tanti suoi proprietari e padroni (sì lo uso il termine giusto, perché padroni persino dell’ambiente), hanno fatto per anni, e cioè sversare nei pozzi abusivi o lungo i campi, tutti i veleni che producevano (e i tumori uccidono più del virus, e a qualsiasi età), per evitare qualsiasi forma di smaltimento, legale e costosa (e la bonifica, che prima o poi si farà, e i suoi, circa, 2 miliardi d’euro, chi la pagherà?), e molti di essi, non più perseguibili o scomparsi o impossibili da portare a giudizio (ditte fallite anni fa, anche se i soldi li tengono bene al caldo), beh io da questi non voglio nessun lavoro! E, paradossalmente, una nota ditta, il cui avo principale, continuava a sversare, nonostante i sigilli giudiziari, pensate ora cosa produce? Mascherine, per proteggerci dal Covid, quindi pure grazie dovremmo dirgli per l’opera sociale che fa! Un po’ come (almeno l’imprenditore locale paga le tasse in Italia e non chiede i nostri soldi) la FCA, che continua a chiedere soldi allo Stato italiano, quindi a noi, sempre con il ricatto del lavoro, ma li dona, una metà che la tassazione non è certo la stessa, a quello olandese e che adesso, novella benefattrice, fabbrica e guadagna sulle mascherine, e a scuola arrivano puntuali tutti i giorni, targate pure “presidenza del Consiglio”
No caro rapanelli, questa Pandemia non ce l’ha siamo meritata, ma se un Dio c’è (e io credo, pur col sacro dubbio della ricerca continua, che ci sia), ce l’ha mandata per metterci ancora alla prova, per farci portare un pezzetto di dolore rispetto al duro legno del Figlio, perché Lui sa, e noi ancora ignoriamo, che le grandi Crisi, o portano alla guarigione -e che occasione quest’ultima!-, o al peggioramento e all’annientamento (e, colpevoli noi, siamo sulla buona strada).
La mia speranza (non quella vaga e indefinita, ma quella dettata dall’amore e dall’esperienza giornaliera) sono però i ragazzini di 11 anni, che tutte le mattine, nonostante tutto, nonostante la mancanza di abbracci, nonostante la malattia di un parente, nonostante un problema familiare, nonostante le preoccupazioni quotidiane (e a quell’età problemi che a noi sembrano banali, a volte sono insormontabili e sono richieste d’aiuto), col sorriso e una mascherina che indossano per 5 ore (e non si lamentano quasi mai, come noi adulti mai cresciuti), entrano nelle nostre scuole, non sempre accoglienti e belle, e le illuminano, loro sì, con mille domande, con tutte le curiosità possibili, che non vengono solo dai libri, ma spesso dalla vita (più salutare di ogni libro e giornale), con la loro ansia di sapere, di conoscere (e pure nell’analisi grammaticale ci vediamo un’anima) che mi dona una gioia al cuore che nessun virus potrà togliermi; e noi, con i talenti che ci sono stati donati, intelligenza, vita, cuore, cultura, mente, anima, spirito, a ognuno diversi e da ognuno con una diversa richiesta, non riusciamo a metterli a frutto per battere un virus (che essendo vita deve anch’esso pur vivere, e per farlo si trasmette da uomo ad uomo) che forse ha meno neuroni di noi? Ecco allora il messaggio finale: chi non darà alcun frutto (“Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”, e questa prima di Marx e Bakunin, l’ha detta un certo Paolo di Tarso, anch’esso “illuminato”, sulla strada per Damasco), sarà destinato a soccombere, moralmente e spiritualmente, una morte dell’anima peggiore dell’altra, quella fisica, quella, da sempre, normale e naturale.
Mi scuso con il direttore Zallocco e la redazione di Cronache per il lungo commento-saggio, ma “quanno ce vò, ce vò!” diceva mio padre, che in quelle fabbriche, fondi poliuretano per 30 anni, con doppiturni notte-giorno, ci ha passato una vita, respirandone tutto il veleno, e nonostante ciò rimpiange ancora quei tempi, per dare a me un futuro migliore (e qui lo ringrazio, che se i nostri padri non sempre hanno saputo darci l’affetto dovuto -e come potevano in mezzo ai pesi e alle vernici!- ci hanno resi ciò che ora siamo attraverso il loro esempio), e gli strumenti e le parole che lui non conosceva e non ha saputo dire. P.S. la “colpa” è pure di Fabrizio Cambriani che ha riaperto vecchie ferite e stimolato questi miei pensieri mattutini.
Siamo orrendi ! Tutta solo la più bieca politicaccia. Ogni evento viene interpretato senza alcuna forma di equilibrio ma solo secondo l’appartenenza ad una ben precisa fazione. Quindi virus e virologi di destra o di sinistra. O imprenditori buoni o cattivi. Etc. Ma obiettività zero
..avanti il prossimo, gli lascio il posto mio.
Sig. Savi ha senz’altro ragione, ma la capacità di alzare gli occhi verso il cielo per vedere dipende anche da cosa stiamo cercando di vedere… tutto è relativo, potrei dire la stessa cosa a mia volta anche in relazione a molti altri interventi.
Veramente, Sagripanti, i virus non sono ”vita”, non sono esseri viventi sono oggetti biologici paradossali, mostruosi, assurdi la cui agghiacciante funzione sembra sia selezionare le specie. Veramente anche la frase marxiana della critica del programma di Gotha più che a San Paolo sarebbe più corretto farla risalire agli Atti degli Apostoli di San Luca, ma in complesso il suo intervento è molto bello e interessante e utile. Mi è piaciuto molto.
Non una virgola fuori posto!Tanto di cappello Sig. Cambriani!
Grazie Fabrizio Cambriani per la lucida e spietata analisi che racconta la crisi ormai trentennale del nostro modello di sviluppo economico e sociale e, più in generale, di una “classe dirigente”. La vicenda della Banca Marche, d’altro canto, ne rappresenta l’epitome più drammatica. Altro che le improvvide dichiarazioni del capo di una organizzazione para-ministeriale. Una Banca di proprietà del territorio, e quindi di tutti, con oltre un secolo di storia è stata distrutta in 15 anni senza che ne sia seguito uno straccio, non dico di autocritica, ma almeno di analisi da parte di qualche settore del nostro “establishment”. Grazie di nuovo Fabrizio Cambriani, coppia di attacco insieme all’Avvocato Bommarito di CM. Continuate ad infilare delle, si spera, salutari “dita negli occhi” ad una opinione pubblica debole e scoraggiata.
@Franco Pavoni (che ringrazio per le belle parole, anche se mi farà “perdere tempo” a cercare l’espressione paolina “incriminata”), e a tutti quelli che, come lui (e per fortuna noto che ce ne sono sempre di più, anche se minoranza ancora) cercano di argomentare (ed è sempre uno sforzo, una fatica farlo, ma credo ne valga la pena) nei loro commenti -ricordo che ci ospita un giornale letto e visionato da tutta la provincia, e non un qualsiasi social dove si sfogano le proprie frustrazioni-, anche se su posizioni diverse, e ben vengano (altrimenti che dialogo ci sarebbe!) porto, per restare in tema Etica e imprenditoria, un’esperienza recentissima (il giorno dopo il mio lunghissimo commento-sfogo d’amore ad un territorio ed ai suoi abitanti).
Giovedì 17 dicembre, mentre andavo a portare a mio suocero (ex storico barbiere e una delle poche “vecchie anime” del centro storico mc), ricoverato presso la struttura “Santo Stefano” di Montecosaro, degli indumenti, sono passato con la mia auto davanti ad una di quelle aziende, calzaturiere, e dove per 7 mesi tra la fine del liceo e l’inizio dell’università lavorai in manovia (e che tempi, che “verde etate” direbbe un recanatese, questo sì immensamente illuminato!), che hanno chiuso prima del virus, e con la scusa della crisi, che non li ha guariti, ma peggiorati; chiusi anche perché hanno deviato dalle scelte dei padri, non laureati ma di altri valori (per chiarire, non sto giudicando i peccatori, ma il peccato); passando davanti al grande edificio ho notato una nuova scritta e una nuova azienda: VITTORAZI (e, se avrete la pazienza di leggere, scoprirete che questa è pubblicità progresso! e sarebbe da portarvi i ragazzi delle scuole, come vero orientamento!).
Nonostante fossi un po’ in ritardo, ho fermato l’auto e mi sono annunciato, orgoglioso dei proprietari, al cancello. Mi ha accolto Andrea Orazi, il più giovane dei due, tutto contento di mostrarmi lo stabilimento, grandioso e pulito come pochi ce ne sono, di recente sanificato (con enormi costi), e mi diceva dei tanti tamponi fatti ai suoi dipendenti (a sue spese), tutti ragazzi, tra i 20 e i 25 anni. Questa azienda sta assumendo (sinora sono 30 dipendenti), e riceve centinaia di curricula, nonostante la crisi, e il Covid.
Spendo queste parole (poche, di getto e dicuore, e a loro insaputa) perché li ho visti crescere, e maturare in tutti i sensi: Andrea, il più piccolo si è fermato alla terza media, l’altro Matteo (che chiamavo Mattew, nelle nostre scorribande giovanili e per locali notturni – generalmente pub, non pensate male-), non ricordo se diplomato, veniva in macchina con me al liceo di civitanova, fontespina (e qui non apro il libro dei ricordi, che oltre all’età verde, si aprirebbero “sudate carte”). Ebbene, queste due anime, che hanno sofferto, figli di un uomo, morto troppo giovane e di cancro, e che purtroppo non ho conosciuto, e che viveva vicino ad una di quelle fabbriche di vernici e di veleni, che ha dato un’idea, un futuro: le minimoto prima e i paramotori poi; anche se il presente era pieno di debiti, anche se una madre ha dovuto tirare avanti, con fatica (e sia lode alle nostre madri e padri) la vita di tre ragazzi (hanno una stupenda sorella). Anche se in paese, non erano i figli della Montecosaro bene, di quella cool (direbbero i soliti noti), anche se ne hanno fatta di strada e molte le hanno sbagliate, di scelte e di vita, ed erano come tanti ragazzi, senza arte né parte, con tanti talenti ma che se non hai la scintilla, un fuoco dentro, una voglia di dimostrare a tuo padre che era nel giusto e che quella strada andava percorsa sino in fondo, non puoi mettere a frutto, e come dice Cristo, i talenti se li tieni nascosti, per paura dei ladri, e non li fai fruttificare, anche se pochi, anche se sembra che non siano veri talenti, alla fine ti verranno tolti pure quelli.
E ora, quell’idea, che guardava al cielo (e mi immagino da lassù, il padre, novello Icaro, festeggiare insieme a quegli angeli che non si sono ribellati a Dio,) quei talenti, ben ancorati nella terra, hanno portato frutto, e hanno dato speranza a loro, e a quei ragazzi che collaborano con loro, e che formeranno le famiglie del futuro, e non potranno non avere a loro volta figli migliori, nonostante il pubblico debito, quotidiano e di stato, nonostante la nostra generazione, che a parte alcuni casi eccezionali, ha continuato a fallire, come un marchio che ci portiamo avanti, almeno, dagli anni ’70.
Chiudo, ricordando che questi due ragazzi, venuti dal nulla, ma con la casa salda e costruita sulla roccia, stanno battendo molti virus, e quello meno pericoloso è il covid, come il virus del vittimismo, del piangersi sempre addosso, del “tanto è colpa dello stato, del governo, della regione, del comune, del vicino di casa” e mai di noi, talmente bravi e perfetti che a volte non rispettiamo le semplici e facili norme della convivenza civile; come il virus dell’ignoranza, che come diceva un prete del mio ex (di residenza) paese, che non è più tollerabile (ed è un peccato), come infine il virus dell’indifferenza, del curare solo il proprio orticello, del non parteggiare mai, mai prendere una posizione (destra o sinistra, inferno o cielo, credenti o atei, comunisti o liberisti ecc. non importa), gli ignavi insomma, che per Dante erano la razza peggiore e non meritarono neanche un posto vicino a Lucifero, che li volle il più lontano possibile…
Ecco, Matteo e Andrea, dalla parola Crisi ne usciranno guariti, e continueranno ad assumere, perché non sono stati indifferenti, perché oltre alla fede e alla speranza, ci hanno messo la Carità, l’Amore, il cuore insomma, che senza “carità siamo come cembali che suonano a vuoto” (non mi critichi Pavoni, che vado a memoria), come chitarre senza cassa e corde, come degli Icaro che volano con ali di cera, come Arianne senza filo… come deltaplani senza ali!
Sagripanti, Atti degli apostoli 4,34-35
”Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto 35e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno.”
Così San Luca, per San Paolo la nostra ingiustizia dimostra la giustizia di D.io, c’è una certa differenza…