La frase choc di Guzzini cela il fallimento
di una generazione d’imprenditori

IL COMMENTO di Fabrizio Cambriani - Questa classe di industriali non è stata assolutamente in grado di sostenere il peso dell’eredità dei propri antenati. Quel “se qualcuno morirà, pazienza” pronunciato dal presidente di Confindustria Macerata è il motto di chi non conosce altri che se stesso e i propri ristrettissimi interessi
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AGGIORNAMENTO DELLE 16,30 –  Il presidente di Confindustria Macerata Domenico Guzzini ha rassegnato le dimissioni, annunciando la decisione con un lettera inviata ai soci. Leggi l’articolo Domenico Guzzini si dimette, passo indietro dopo la frase choc «Penso sia una scelta doverosa».

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di Fabrizio Cambriani 

Stridono come un chiodo passato sulla lavagna. Nella forma sono parole pronunciate con calma. Senza concitazione alcuna. Non c’è l’animosità verbosa causata da un ostico contraddittorio. Parole niente affatto carpite, con destrezza, nel corso di una conversazione privata. Al contrario, solo la pacatezza di una riflessione da un pulpito autorevole: quello degli industriali della provincia. Parole immancabilmente intrise di quell’anglicismo ormai doveroso per chi, al giorno d’oggi, fa impresa. Anzi, business. Per un attimo, un attimo solo, ti fanno gelare il sangue. Poi scorrono via leggere, come acqua sul marmo. Perché non fanno più impressione. Perché una coltre di omertoso silenzio le avvolge. Come bruma di primo mattino. Nessuno (a parte una consigliera regionale del Pd), nemmeno le organizzazioni sindacali, ha avuto un sussulto d’orgoglio nel chiedere le dimissioni di chi le ha pronunciate. Nel dire, senza tanti orpelli: “le tue inqualificabili parole non ci rappresentano”. E lì capisci che siamo arrivati al punto di non ritorno. L’abisso che – come nel salmo 42 – invoca l’abisso. “Se qualcuno morirà, pazienza!” ha affermato il presidente di Confindustria Macerata, nel giorno in cui sono morte di Covid, 846 persone. Dopo dieci mesi in cui, quotidianamente, sotto i neon azzurrastri delle terapie intensive, tutto il personale ospedaliero lotta fino allo stremo di ogni sua forza, per mantenere in vita ogni essere umano.

cenone-di-NataleDentro quell’esclamazione – pazienza! – temo sia racchiuso tutto il nostro tempo. Un tempo difficile e dall’approdo incerto. In cui perfino la vita umana diventa peso. Zavorra da sganciare per poter risalire in fretta in superfice. Ciascuno con i propri mezzi a riveder le stelle. Gli affari prima di ogni altra cosa. L’offerta di un sacrificio umano, in un rito tutto tribale, davanti all’altare pagano del dio denaro. Agli albori del terzo millennio. Eppure, non ci sarebbero le condizioni per tanto crudo cinismo. Nessuna vertigine di disprezzo per il nemico, come potrebbe accadere in tempi di guerra. Benché, chi scrive abbia visto, di persona, efferati crimini di guerra, sa pure come per commetterli anche la peggiore della feccia umana abbia avuto bisogno di stordirsi con dosi massicce di alcol o di cocaina. Qui, invece, è tutto presentato attraverso accattivanti slides. In raffinati blazer di cachemire e ornato con la fragranza di gradevolissimi dopobarba. È il segno di resa di una generazione che non riesce a uscire fuori da questa crisi, ormai cronica, che da lungo tempo ci percuote. A tutti i livelli. E che, nell’immaginario collettivo, ne vede i terminali solo nella classe politica. Quando in realtà è crisi di tutti i comparti. Ma risulta molto più facile e comodo gridare al governo ladro. E abbandonare gli indifesi. Colpevolizzare i fragili. Gli ammalati, che sono causa delle mancate vacanze a Cortina. Le stesse poi ridicolizzate dai film di Vanzina. O di pantagruelici cenoni, il più delle volte tra sconosciuti. Con piatti e bicchieri di carta colorati dove, da ore, già alloggiano tartine rinsecchite. In attesa di due primi, due secondi, contorno, dolce e frutta (bevande a parte). Il tutto al modico prezzo di 150 euro. O giù di lì.

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Domenico Guzzini, presidente di Confindustria Macerata

E poi, di corsa tutti a stappare spumante e a fare il trenino. Gaudenti e sudaticci. Con le mani nei lombi adiposi di chi ci precede. Decisamente troppo poco per poter recriminare e gridare al complotto politico. Perché la verità vera è che questa generazione di imprenditori ha clamorosamente fallito. E non è stata assolutamente in grado di sostenere il peso dell’eredità dei propri antenati. Hanno appreso sì l’inglese alla perfezione, ma – una volta messi alla prova – non sono riusciti a navigare nemmeno dentro le acque di un porto sicuro. Figuriamoci in mare aperto. Nei loro meeting, fanno le facce feroci e compitano, agli astanti, lezioncine imparate a memoria troppo in fretta. Scimmiottano la razza padrona degli anni Ottanta, ma difettano in capacità e competenza. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Salvo rarissime eccezioni si arrendono all’evidenza. O al portafoglio. Lasciando al miglior offerente, il più delle volte straniero, i loro prestigiosi brand. Detestano lo Stato, ma quando le cose vanno male pretendono, anzi esigono, sonori rimborsi. Sempre più privatizzando i loro profitti e pubblicizzando le perdite. Poiché, evidentemente, il concetto di rischio di impresa, così come il comunismo, è retaggio del secolo scorso. Quel: “se qualcuno morirà, pazienza!” è la parola d’ordine di questa generazione. Il motto di chi non conosce altri che se stesso e i propri ristrettissimi interessi. Pronunciata ai presenti, con affettuosa nonchalance. Ma, vista dall’esterno, la presa di coscienza che in questa nazione non ci sono i fondamentali per poter ripartire. Adesso, che con le ingenti risorse introdotte dell’Unione Europea, i mezzi ci sarebbero, ciò che manca sono proprio gli uomini e le donne con visione di insieme in grado di fare squadra. E di elevarsi, per meriti propri, a vera classe dirigente.

 

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