di Maria Stefania Gelsomini
Secondo debutto allo Sferisterio per il Rigoletto di Federico Grazzini, che aveva inaugurato la stagione lirica 2015. Se la regia resta fedele a se stessa e la vicenda ritorna a svolgersi in uno sgangherato luna-park abbandonato, rispetto a quattro anni fa cambia completamente il cast dei cantanti, che si fa più internazionale e apporta nuova freschezza e nuove sfumature caratteriali a questo allestimento sempre piacevole del dramma verdiano. E cambia anche la direzione d’orchestra: allora sul podio c’era Francesco Lanzillotta, attuale direttore musicale del Macerata Opera Festival, impegnato nella conduzione della Carmen, mentre oggi c’è il maestro Giampaolo Bisanti.
Il folto pubblico che ha riempito il teatro, forse anche trascinato dall’entusiasmo per il Macbeth trionfale della sera precedente ha decretato in maniera inequivocabile il successo di questo Rigoletto contemporaneo, interpretato con enfasi e autorevolezza dal giovane baritono mongolo Amarvshin Enkhbat, che a dispetto dei suoi 33 anni sfodera un vocione scuro e profondo da autentico baritono verdiano, come si diceva una volta, ma si trova a suo agio pure nei piani e nelle mezze voci (con una dizione tra l’altro invidiabile), confermando come proprio Rigoletto sia uno dei suoi cavalli di battaglia, in un repertorio sino ad ora, appunto, quasi esclusivamente verdiano. Il suo Rigoletto maceratese è brutale, spietato, anche con l’amata figlia Gilda, dalla quale non si fa avvicinare e neanche toccare.
Un gran dispiegamento vocale anche per il tenore Enea Scala, un Duca si fa per dire nell’idea di Grazzini, che entra bene nel personaggio viziato, spaccone e volgarotto immaginato dal regista, e che vocalmente, a volte, per eccesso di generosità, dà anche l’impressione di voler strafare, allungando qualche acuto oltremisura a favore del pubblico. Ma la voce c’è, e il pubblico gradisce tanta generosità. Come pure c’è la voce, bella e vellutata, di Claudia Pavone, salutata con un’ovazione da parte degli spettatori, inappuntabile nel proporre una Gilda ingenua sì ma più donna e più consapevole dei propri desideri, che non arretra di fronte al proprio tragico destino. La Giovanna dell’edizione 2019 campa di espedienti, ha un’acconciatura rasta e non si fa scrupolo di accettare soldi da chiunque tradendo la fiducia di chiunque, a partire da Rigoletto che le ha affidato la figlia. E per fortuna stavolta è giovane, perché è molto più coerente nella parte rispetto all’anziana Giovanna immaginata quattro anni fa.
Come detto, la regia resta identica e i cambiamenti sono davvero minimi, appena l’aggiustamento di qualche dettaglio. Tra questi, salutiamo con soddisfazione l’eliminazione dei famosi pedalini bianchi del Duca: quando si spoglia e indossa la vestaglia rossa da conquistatore seriale, preparandosi ad accogliere la Gilda rapita come un pugile pronto al combattimento (amoroso) sul ring, puff, quei terribili fantasmini che allora ci avevano fatto più che sorridere sono spariti e il Duca, buon per lui e per la sua immagine di macho, resta a piedi nudi. Scherzi a parte, questo Rigoletto si conferma perfettamente in linea con il tema portante del festival rosso desiderio, e il suo rosso è quello della vendetta, che scorre come il sangue nelle vene di Rigoletto, del Conte di Monterone, persino del Duca quando gli viene rapita Gilda. Sulla scenografia, infarcita di elementi colorati di rosso, incombe la maschera tragica di un buffone da luna-park a bocca spalancata, che alla fine ingoierà i protagonisti: è questa la soluzione che ha permesso a Grazzini, risolti i conflitti che il muro dello Sferisterio inevitabilmente gli poneva, di poter svolgere la vicenda in unico luogo.
Qui bazzicano malavitosi di vario genere, qui passeggiano prostitute in attesa dei clienti, qui si spingono ubriachi i moderni cortigiani passando da un festino all’altro. Qui posteggia il suo chioschetto ambulante Sparafucile, che vende bibite e generi alimentari ma arrotonda come sicario di professione, aiutato dalla sorella Maddalena, una bella ragazza appariscente che adesca le vittime prescelte dal fratello per aiutarlo negli omicidi. È un mondo in cui tutti i personaggi sono negativi, e il muro che li sovrasta è il circolo della maledizione che si chiuderà intorno a loro. Alla fine Rigoletto, senza la canonica gobba ma con tante deformità nell’anima, si ritrova a fronteggiare l’immagine di se stesso, l’uomo resta solo di fronte al suo odiato mestiere di buffone, in un contrasto fortissimo fra l’immagine privata e quella pubblica molto pertinente all’epoca odierna. L’intenzione dichiarata del regista è quella di emozionare il pubblico, e ieri sera ci è riuscito con questo Rigoletto, con il suo urlo finale, disperato, della maledizione, che ha scosso gli animi e risuona ancora nelle orecchie. Molti consensi per tutti, e conclusione di serata con un simpatico fuoriprogramma: alla fine degli applausi, quando le luci si sono alzate e il pubblico stava scorrendo via, gli artisti ancora sul palco hanno intonato a sorpresa un “buon compleanno” al maestro Bisanti (anch’egli molto apprezzato per il suo lavoro con l’orchestra) e gli spettatori si sono uniti spontaneamente al coro e agli auguri in un clima di festa che ha coinvolto palco e platea.
Ottima prova per il basso spagnolo Simon Orfila, uno Sparafucile all’altezza degli altri protagonisti e per il mezzosoprano Martina Belli, una convincente Maddalena. A completare il cast, il soprano Alessandra Della Croce (Giovanna), il baritono coreano Seung-Gi Jung (Monterone), il basso-baritono Matteo Ferrara (Marullo), il giovane tenore ucraino Vasyl Solodkyy (Matteo Borsa), il baritono coreano Cesare Kwon (Conte di Ceprano), il mezzosoprano russo Anastasia Pirogova (Contessa di Ceprano), Gianni Paci (un usciere di Corte) e Raffaella Palumbo (un paggio della Duchessa). Lo spettacolo si avvale delle scene create da Andrea Belli, dei costumi di Valeria Donata Bettella, delle luci disegnate da Alessandro Verazzi, con le riprese di Ludovico Gobbi. Parte musicale affidata come sempre all’Orchestra Filarmonica Marchigiana, al Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” diretto insieme a Faggiani dal maestro Massimo Fiocchi Malaspina, e alla Banda Salvadei. L’appuntamento con la lirica in arena è per la prossima settimana, con il secondo weekend del Mof: 26 luglio Macbeth, 27 luglio Rigoletto (con repliche il 2 e 9 agosto), 28 luglio Carmen.
(foto Tabocchini e Zanconi)
Le foto all’ingresso di Andrea Del Brutto
Molto bravi....musica stupenda!!
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Rigoletto rimane sempre un opera magnifica, eccellente un insieme di armonie potenti e soavi e nessun regista potrà trasformarlo, anche se il sig. Grazzini in collaborazione del Sig. Belli, si sono….. impegnati al massimo.Fortunatamente un cast di qualità, ha fatto dimenticare le varie scelleratezze. Quello che purtroppo non è avvenuto per Carmen, dove i vari cantanti preoccupati di spogliarsi e rivestirsi, come dettato dalla regia, a discapito delle voce e dei movimenti scenici. Evidente che al giovane o a colui che ha assistito senza documentarsi per il solo motivo di apparire, che sono stati intervistati, tutto è apparso incantevole stupendo e….originale. Morale della favola il Macbeth è apparso il migliore con una regia di Emma Dante vera protagonista.
Emma Dante è una garanzia
anche se il suo forte è il teatro.
Il Macbeth è straordinario su tutto.
La Carmen non è da meno.