di Maria Stefania Gelsomini
Cronaca di una morte annunciata in diretta tv. Termina così la sua carriera di seduttrice seriale la Carmen contemporanea di Jacopo Spirei, davanti ai flash di decine di fotografi, su una passerella che si bagna di sangue e si fa ancora più rossa per la furia cieca di un amante illuso e abbandonato. Con un raptus folle Don Josè colpisce più e più volte con una macchina fotografica strappata a un reporter l’oggetto perduto del suo desiderio, su un palco diventato cupo e nero come la notte. La plaza de toros lascia il posto al red carpet, il coltello diventa uno zoom, il femminicidio resta sempre lo stesso, in qualsiasi epoca e latitudine.
Partire dalla fine per riassumere il senso della Carmen che ha debuttato ieri sera allo Sferisterio di Macerata non è certo un modo di spoilerare, ma di raccontare il rosso e il desiderio: eccoli qua, ben leggibili nell’ultima scena, la più scioccante e sanguigna, i due fili che si riannodano dopo essersi intrecciati e rincorsi per tutta l’opera. La nuova Carmen maceratese si preannunciava pruriginosa per via di alcune scene di nudo, ma in realtà di scandaloso quei nudi non hanno nulla. I seni e i lati B parzialmente in vista delle ballerine non infastidiscono e sono anzi coerenti con il loro ruolo di entraineuse del locale notturno in cui è ambientato il primo quadro. La volgarità che qui si vuole spiattellare, semmai, è la sottomissione a cui quelle donne sono costrette, l’umiliazione di doversi dimenare e di dover strisciare ai piedi di uomini volgari.
C’è però volutamente, in questa Carmen, molto del mondo trash, che nelle scene iniziali piomba addosso allo spettatore con un’esplosione di colori sgargianti, paillettes, brillantini e tessuti luminosi. Persino il pubblico viene investito da fasci di luce gialli, rosa e azzurri durante il primo cambio scena (dopo la fuga di Carmen e l’arresto di Don Josè), le stesse luci che accompagnano l’apparizione di Carmen impacchettata come un cioccolatino in una voluminosa veste d’argento e l’ingresso di Escamillo su una pedana d’oro mentre si sta svolgendo uno spregiudicato spettacolo di pole dance, in cui danzatrici in costume e parrucche fosforescenti si avvinghiano a pali sormontati da maxi bocche gonfiabili, in un crescendo orgiastico sempre più esplicito. Gli zingari amici di Carmen sono uomini di malaffare che conducono loschi traffici e vivono nei bassifondi, ai margini della società, e sfruttano le donne costrette a esibirsi in spettacoli di dubbio gusto e a spogliarelli per sopravvivere.
Anche il coro dei bambini è una baby gang di ragazzini con felpe oversize che si sfidano a colpi di hip-hop su pezzi di cartone appoggiati in terra. Il torero Escamillo è una via di mezzo tra un trapper di periferia e un boss della malavita uscito dalla serie Gomorra, uno spaccone eccessivo che ama mettersi in mostra, ostenta la sua ricchezza, e perciò è venerato dalle donne, che sculaccia e tratta come oggetti e porta al guinzaglio come fossero cani. Don Josè è un ragazzotto di paese, un sergente di buoni sentimenti, attaccato ai valori della patria e della famiglia, al suo paese e soprattutto alla madre. Valori che butterà alle ortiche, con tormento, ubriaco d’amore per Carmen. Carmen è una donna astuta e sicura di sé, che sa sopravvivere in un mondo difficile e che difende sopra ogni altra cosa la propria libertà, persino quando pesca la carta della morte e viene a conoscere il destino che l’aspetta: “Carmen mai cederà! Libera è nata e libera morirà” canta nel finale. È una donna volubile, che consuma gli amori con gli uomini come sigarette, le stesse che qui fuma, e non fabbrica come nella versione originale del libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, che lo trassero da una novella di Prosper Mérimée. Come contraltare ha Micaela, la ragazza semplice del paese di Don José che il giovane soldato avrebbe dovuto sposare. Non si capisce perché la facciano sempre correre, a ogni ingresso e uscita di scena.
Questi i personaggi e le atmosfere che popolano la nuova Carmen, opera inaugurale del Macerata Opera Festival 2019, il cui tono dominante è sì un rosso ma che sfuma verso il rosa. La gigantesca gamba di donna glitterata che sovrasta il palco (l’insegna del night-club dove fa il suo spettacolo Carmen) è rosa, le scarpe che indossa la Carmencita (prima con il tacco e poi da ginnastica) sono rosa, così come sono rosa numerosi altri dettagli di costumi e parrucche. Ma soprattutto è rosa il simbolo della presenza femminile, fortissima e dominante anche se dominata, da Carmen a Mercedes e Frasquita, da Micaela alle ballerine venditrici di sigarette e di piacere.
L’americana Irene Roberts è bravissima a calarsi nei panni spesso succinti di una Carmen suadente e seducente, con una potenza interpretativa e una capacità attoriale non comuni. Il mezzosoprano fa il suo primo ingresso vestita da uomo, con frac e cilindro, e inizia ammiccante il suo spogliarello, pezzo dopo pezzo, sulle note della celebre habanera. Balla, canta sollevata dai ballerini, persino a testa in giù, fino a restare disinvolta in mutande, reggiseno e reggicalze. Questa sua Carmen non è esplosiva e carnale ma piuttosto morbida e ironica, secondo la cifra che sembra caratterizzare questa idea di allestimento. Lei è coraggiosa a mettersi in gioco, così come gioca la sua Carmen sempre sorridente. Un sorriso che forse toglie un po’ mordente al suo personaggio e diluisce il rosso vivo, la passione impetuosa, che si perde un po’ per strada nel passaggio dalle montagne spagnole ai paesaggi urbani francesi.
L’aver sottratto tutto ciò che di spagnolo poteva esserci nella messa in scena tradizionale produce, in generale, un certo scollamento con la musica carica di fascino di Georges Bizet, che dall’habanera al Toreador è quanto di più visceralmente andaluso ci possa essere e che il direttore Francesco Lanzillotta trasmette con grande efficacia. Nel passaggio dalla Siviglia ottocentesca a un Crazy Horse parigino degli anni Duemila il racconto perde molti orpelli di maniera ma perde anche molta della sua forza. Nelle atmosfere ora rarefatte ora disinibite da café chantant dei giorni nostri le sigaraie sono le ragazze che vendono sigarette (e non solo) agli avventori del locale, un pubblico elegante comodamente seduto in file ordinate per godersi lo spettacolo sexy dove Carmen è la stella assoluta.
Di grande impatto, le figure dei quattro ballerini che leggeri come libellule volteggiano ai due lati del muro, ci camminano e lo scalano in verticale appesi a dei tiranti d’acciaio. Ma se la prima volta c’è l’effetto wow, e alla seconda ci si aspetta di vedere se faranno qualcos’altro, alla terza si capisce che l’azione è ripetitiva e perciò non stupisce più: l’effetto wow è passato e anzi ha tolto magia alla prima apparizione, peccato. Ritorniamo alla scena finale da cui siamo partiti, che chiude il cerchio del racconto rosso desiderio: la cuadrilla dei toreri diventa la sfilata cafonal dell’ultimo atto, con look improbabili, chiome cotonate e gioielli spropositati, l’apoteosi dell’eccesso e del cattivo gusto. È la cornice d’oro finto che inquadra una tragedia reale che sta per consumarsi, una tensione che si percepisce nell’aria carica di elettricità, che sale e contrappone i due innamorati Carmen ed Escamillo all’amante abbandonato per sempre, senza possibilità di ripensamento. Tra la proposta di matrimonio del nuovo amante e la supplica di Don Josè c’è la consapevolezza di Carmen, la sfida alla morte che l’attende e che accoglie fiera e ingioiellata come una gran signora.
Diciamolo subito, il pubblico ha fatto il callo ormai a trasposizioni contemporanee e ha applaudito seppur con qualche perplessità, ma non sono mancati anche dei dissensi all’indirizzo del regista, forse preventivati. Per essere un’apertura di stagione comunque l’accoglienza è stata piuttosto tiepida, con un’unica chiamata alla ribalta per i protagonisti a fine recita. I più apprezzati e applauditi la soprano Valentina Mastrangelo e il maestro Francesco Lanzillotta, entrambi al debutto rispettivamente nel ruolo di Micaela e alla conduzione di Carmen. Applausi anche per i tre protagonisti principali al loro debutto assoluto in Italia: il mezzosoprano Irene Roberts, il tenore Matthew Ryan Vickers, un Don Josè vocalmente corretto ma non troppo incisivo dal punto di vista della personalità, e il baritono David Bizic (Escamillo), che in prova aveva convinto di più. Completano il cast Francesca Benitez (Benitez (Frasquita) e Adriana Di Paola (Mercèdès), Tommaso Barea (Le Dancaïre), Saverio Pugliese (Le Remendado), Gaetano Triscari (Zuniga), Stefano Marchisio (Moralès), Andrea Pistolesi (Un Bohémien), Olga Salati (Une Marchande d’oranges). Le scene e i costumi sono di Mauro Tinti, le coreografie di Johnny Autin, le luci di Giuseppe Di Iorio, calzature e accessori di Les Jeux du Marquis.
La parte musicale è affidata all’Orchestra Filarmonica Marchigiana diretta dalla bacchetta di Francesco Lanzillotta, al Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” diretto dal maestro Martino Faggiani e dal maestro Massimo Fiocchi Malaspina, ai Pueri Cantores “D. Zamberletti” diretti dal maestro Gian Luca Paolucci e alla Banda Salvadei. La rappresentazione è andata in onda ieri sera in diretta su Radio Rai 3 e la prossima replica, già sold-out, andrà in scena il 28 luglio, mentre le successive il 3 e 10 agosto. Intanto stasera c’è attesa per il debutto del Macbeth di Emma Dante, che si preannuncia come un vero e proprio evento.
(foto di Alfredo Tabocchini e Massimo Zanconi)
Molte perplessita'... Direi che la platea era molto stupita e insoddisfatta
Il fatto è che ormai da decenni chiunque voglia rivisitare qualunque opera lo fa "in chiave sexy"... tutto è rivisitato in chiave sexy... sembra che abbiamo perso tutte le altre chiavi del mazzo! Quindi non è più una novità, non è più niente di originale.
Quando c'è il rispetto degli autori lo spettacolo è un successo. La Carmen è stata una profanazione e per carità di patria mi fermo qui. Parlare del regista anche male è fargli un regalo. DAMNATIO MEMORIAE
Magari non l’hanno capita , le prime file e non solo sono piene di raccomandati che non sanno che differenza c’è tra Franco Corelli ed Il Volo . Gli appassionati in piccionaia
la versione tradizionale è sempre la migliore, da opera diventa operetta
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Ogni volta che si va fuori del classico la platea non è soddisfatta…..quando si cambia
la maggior parte non accetta….
mi domando ma vedere tutti gli anni la stessa opera non viene voglia di rapportarla ai giorni nostri ? senza nulla togliere alla
alla classica.
Finché non ve mena chidù non sete contenti.
Seppur sollecitato da più parti questa sarà la mia unica critica.”E’ quella sopra,già espressa”. Quando avrà voglia di rivedere Carmen pienamente tuffata nelle atmosfere spagnoleggianti non c’è che l’imbarazzo della scelta. Mi è piaciuta molto l’espressione di Ferrara all’uscita del teatro. vale più di un Requiem.
Alla fine quanto sarebbe costata questa pagliacciata??
per ammissione di alcuni orchestrali ..l’opera piu’ trash mai vista a Macerata che e’ riuscita a superare…la spazzatura della Turandot di due anni fa’ e del Flauto Magico dello scorso anno..