di Luca Patrassi
Ai tempi del Coronavirus la percezione del sistema sanitario e dei suoi protagonisti è radicalmente mutata. Quanto ai protagonisti, non solo di medici vive la lotta al coronavirus nelle corsie dei vari ospedali. I volti più significativi sono anche quelli delle infermiere e degli infermieri, delle oss. Maria Paola Gava è una coordinatrice infermieristica dell’Area Vasta 3 dell’Asur diretta da Alessandro Maccioni che, dopo varie esperienze lavorative, negli ultimi 15 anni ha lavorato nelle Cure Palliative domiciliari e nell’Hospice di Macerata fino all’avvio di questa emergenza sanitaria. Ora, con la collega Fattore, coordina il nuovo reparto di Medicina Covid di Macerata nella palazzina ex malattie infettive.
L’emergenza ha riversato negli ospedali tanti contagiati, anche gravi. Quali sono stati i sentimenti iniziali provati nel trovarsi di fronte un virus sconosciuto?
«È successo tutto così in fretta e inaspettatamente, mai avrei pensato di dover dire ai pazienti appena ricoverati in Hospice che li avremmo trasferiti da un’altra struttura ma è successo proprio così. Poi buona parte del gruppo, tranne chi ha continuato le Cure Palliative domiciliari e la Terapia del dolore, ha iniziato insieme ad altri colleghi questa nuova avventura. Non è stato facile cambiare completamente il modo di lavorare, indossare i dispositivi di protezione per molte ore e soprattutto scegliere di non tornare a casa dai propri cari e dai propri bambini, ma l’abbiamo fatto e lo stiamo facendo sperando che al più presto si possa tornare alla normalità. Abbiamo cambiato completamente il nostro modo di lavorare, ci siamo trovati a lavorare insieme senza conoscerci e venendo da esperienze completamente diverse, ma quello che ho visto e vedo è tanta, tanta competenza, disponibilità e collaborazione da parte di tutte le figure coinvolte: infermieri, medici operatori sanitari».
La sua esperienza in corsia tra i pazienti l’ha portata a rilevare differenze di comportamento tra i malati ‘normali’ e quelli Covid? Più fragili, più ansiosi o altro?
«Abbiamo dovuto cambiare completamente l’approccio, le cure palliative sono le cure sulla persona, migliorare la qualità della vita residua. Il Covid impone distanza, tempi ridotti e barriere indispensabili per proteggersi e non ammalarci a nostra volta e soprattutto non permette l’ultimo saluto e questa condizione aumenta il dolore della perdita, quando accade, in modo esponenziale».
Emergenza sanitaria di portata storica ma è anche vero che mai come oggi avete il pieno sostegno dell’opinione pubblica… pensa che possa e debba rimanere in futuro?
«Sì, questa emergenza sanitaria di portata storica ha portato l’opinione pubblica a comprendere l’importanza del nostro lavoro e della nostra professione. Mi fa un po’ pensare il fatto che per essere riconosciuti nel nostro lavoro sia servito tutto questo, ma spero, e anzi ne sono sicura, che sarà così, ce ne ricorderemo. Ce ne dovremo ricordare tutti: le persone cercando ora di non peggiorare questa situazione che sta piano piano rientrando, e noi operatori chiedendo sempre più attenzione verso chi è impegnato nel favorire e mantenere la salute di tutti. Attenzione in termini di considerazione per questo lavoro così impegnativo, poco riconosciuto e poco remunerato se teniamo conto dell’impegno, dei rischi e della responsabilità. La Sanità è un bene di tutti e ne dobbiamo aver cura, ognuno con le proprie competenze e con il proprio ruolo. Bisogna essere coraggiosi, lungimiranti e non legati ad interessi personali».
Cosa rimarrà dopo questi mesi di emergenza?
«Niente sarà più come prima. Questo virus ha portato dei cambiamenti tali che rimarranno, io credo, in ognuno di noi: spero che apprezzeremo di più ciò che ora ci è mancato come i contatti umani, lo stare bene, il poter disporre del proprio tempo e poter stare con i propri cari».
Grandissima professionista!
Brava Maria Paola. Sei proprio speciale!
Grande Maria Paola!!!
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Tutto OK. Ma almeno danno una indennità speciale a chi si sacrifica in questo lavoro pericoloso?