Tre registi al bar:
Carmen, Macbeth e Rigoletto
oltre il muro dello Sferisterio

MACERATA - Le scelte di Federico Grazzini, Emma Dante e Jacopo Spirei sull'utilizzo della parete di 90 metri dell'Arena e le curiosità legate alle tre opere liriche che stanno per debuttare al centro dell'incontro di oggi pomeriggio in piazza Battisti. In attesa dell'inaugurazione di stasera della nuova illuminazione

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La direttrice artistica Barbara Minghetti, Federico Grazzini, Emma Dante, il sindaco Romano Carancini, il sovrintendente Luciano Messi, Jacopo Spirei e la vicesindaco Stefania Monteverde

 

di Maria Stefania Gelsomini (foto di Fabio Falcioni)

Quattro chiacchiere davanti a un caffè da Di Gusto in piazza Battisti con i tre registi del Macerata Opera Festival. L’incontro di oggi pomeriggio con la stampa, al quale hanno preso parte anche la direttrice artistica Barbara Minghetti, il sovrintendente Luciano Messi, il sindaco Romano Carancini e la vicesindaco Stefania Monteverde, è servito a raccontare in maniera piuttosto informale lo sviluppo dei progetti, le impressioni personali e alcune curiosità legate alle tre opere liriche che stanno per debuttare. Se c’è un elemento comune che lega Carmen, Macbeth e Rigoletto, oltre al filo-rosso-desiderio, è senza ombra di dubbio il muro dello Sferisterio. È davanti a quel muro lungo novanta metri che ogni regista si ferma, si confronta, si interroga. Come hanno fatto anche Jacopo Spirei, Emma Dante e Federico Grazzini.

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Federico Grazzini, Emma Dante e Jacopo Spirei

Croce e delizia di qualsiasi allestimento, simbolo archetipico del limite che l’uomo deve superare con se stesso, struttura ingombrante da rispettare ma anche, se c’è bisogno, da nascondere. Le tre opere in cartellone sono tre produzioni volutamente diverse, che più diverse non si potrebbe, ma tutte si sono confrontate, risolvendolo in maniera propria e ugualmente interessante, con il limite (che diventa opportunità) dello spazio dell’arena Sferisterio. Uno spazio che Jacopo Spirei, nella sua Carmen liberata dagli spagnolismi di maniera e riportata a casa nella Parigi del cafè chantant e del tabarin, occupa anche con la fisicità dei danzatori. Uno spazio di cui Emma Dante si è detta innamorata e per il quale ha ripensato elementi scenici e movimenti del suo Macbeth creando di fatto un nuovo allestimento, e finalmente il castello di Macbeth, mancante nelle precedenti messe in scena. Uno spazio con cui Federico Grazzini si è già misurato quattro anni fa con il suo Rigoletto da Luna Park e che quest’anno considera un nuovo debutto.

registi-sferisterio-2-325x217Nel caso di Carmen il muro è nascosto, ma dietro la morbidezza, come svela il regista, si sente la durezza. Dietro c’è il mondo femminile costretto a sopravvivere in un mondo maschile che opprime e detta le regole. Nel caso di Macbeth, che secondo la regista palermitana avrebbe dovuto chiamarsi Macbeth e Lady Macbeth perché è femminile la volontà di ascesa al potere che cova e che scatena il dramma, il muro è quell’elemento invalicabile da superare per poter raggiungere la maligna impenetrabilità dei due protagonisti. Il continuo gioco di entrate e di uscite da questo mondo, popolato da dubbi, sospetti e fantasmi, viene reso con il minimo di elementi scenici e la presenza fisica dei personaggi. Nel caso di Rigoletto, la prima impressione di conflitto causata dal muro, che avrebbe reso difficile ricostruire le varie ambientazioni dell’opera in un unico luogo, è stata risolta simbolicamente con l’immagine del buffone che incombe sulla scena e che rappresenta lo specchio di se stessi, un circolo vizioso legato alla maledizione che si chiude sui personaggi.

registi-sferisterio-3-325x217Altro punto in comune fra le tre opere, che siano nuove produzioni, coproduzioni o riprese, è la forte integrazione con quello spazio particolare. Tutti d’accordo anche sull’essenza di questo festival, che deve saper osare, deve saper coniugare sperimentazione di nuovi linguaggi e apprezzamento del pubblico, seguendo il percorso iniziato da Francesco Micheli e rafforzato da Barbara Minghetti. «Un festival deve avere il ruolo di guida – afferma Spirei – e uno spazio particolare come lo Sferisterio dev’essere uno spazio da abitare sempre nuovo». Secondo Grazzini «l’opera può essere un contenitore di storie, ma è importante per la sua sopravvivenza che difenda la vita e le idee sulla scena, e che riesca a emozionare il pubblico». Sperimentare tenendo come punto di riferimento la persona, e operare scelte artistiche che contengano dei messaggi e dei sentimenti capaci di arrivare a tutti è per Carancini la chiave del successo del Macerata Opera Festival degli ultimi dieci anni e un auspicio per il futuro, insieme al coinvolgimento dei giovani. Anche Messi sottolinea la difficoltà della sfida di fare un festival allo Sferisterio, con il superamento di limiti spaziali, sonori, tecnici che a volte sembrano insuperabili ma che alla fine si trasformano in stimoli esaltanti anche grazie a soluzioni innovative, soprattutto quando poi si riesce a mettere in piedi contemporaneamente tre opere e a portarle dentro le persone: «Il risultato è un prodotto unico e irripetibile, il migliore possibile, e negli ultimi anni non abbiamo mai avuto spettacoli scontati». L’augurio di Emma Dante, alla fine della chiacchierata, fa ben sperare per il futuro: «Continuate così e continuate a invitarci!».

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