Arrivano nuovi migranti in via Prezzolini
Il primo giorno a Macerata di 12 pakistani

REPORTAGE - Richiedenti asilo, attesa all'Ufficio immigrazione tra speranza, controlli e storie di un viaggio infinito. Alì, 25 anni: "Vorrei trovare una casa, lavoro e innamorarmi"
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I controlli ai pakistani

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Alcuni dei richiedenti asilo arrivati ieri sera a Macerata

 

di Federica Nardi

Non si ferma il flusso di richiedenti asilo provenienti dal Pakistan a Macerata. Altre dodici persone ieri notte hanno raggiunto via Prezzolini, nel quartiere di Collevario, accampandosi nell’area verde di fronte all’Ufficio immigrazione in attesa di essere identificati. Sono ragazzi, hanno dai 18 ai 35 anni. Arrivano in città dopo settimane di incertezza e solitudine, nel lungo viaggio dal nord al centro della Penisola. Alcuni sono arrivati a piedi, chi poteva permetterselo ha viaggiato in treno dalla Germania o dall’Austria. Molti di loro non si conoscevano prima di condividere la lunga attesa di fronte all’Ufficio immigrazione. Una, due notti passate in strada, poi questa mattina più di sei ore tra la consegna delle schede di identità e i controlli della questura, avvenuti nel primo pomeriggio. In fila in piedi o seduti a terra sotto il sole, i nuovi arrivati sono stanchi ma contenti. Dopo qualche indugio raccontano il loro viaggio, le loro vite in Pakistan e le speranze di costruire un futuro migliore. Ma hanno anche molte domande, tante piccole curiosità da soddisfare sulla cultura italiana che stanno imparando a conoscere.

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«Ho fiducia. Ognuno è diverso, ognuno è in grado di fare qualcosa. Sono fiducioso delle mie capacità, in Pakistan lavoravo come meccanico. L’importante è non perdere la sicurezza in se stessi, continuare a inseguire i propri sogni e le proprie speranze. Vorrei vivere in Italia il resto della mia vita, lavorare, trovare una casa, innamorarmi – dice Alì, 25 anni, senza mai perdere il sorriso o la voglia di scherzare, anche quando racconta del lungo viaggio in solitaria dal Pakistan all’Italia –. Sono venuto a piedi dal Pakistan e sono arrivato a Macerata due giorni fa. È stata dura, ho viaggiato da solo e a volte sono stato giorni senza mangiare. Ad arrivare a Macerata da Milano ci ho messo due settimane. Ho chiesto a chiunque ma a nord nessuno mi sapeva dire dove andare per i documenti. Ma ho insistito, ho proseguito e alla fine un ragazzo africano alla stazione ferroviaria di Ancona mi ha consigliato di venire a Macerata. Non capisco l’italiano, non ancora almeno, voglio impararlo il prima possibile. Ho dormito sempre in strada in questo periodo, ora ho questo foglio (mostra la scheda di identità fornita dall’ufficio immigrazione, ndr). Aspetto che mi portino da un’altra parte ma non so dove, non ho capito». Tutti stringono in mano la scheda d’identità, il primo passo verso la possibilità di ricevere lo status di rifugiato. Verso l’una cominciano i controlli. Due alla volta i ragazzi sono chiamati alla porta d’ingresso dell’ufficio immigrazione, dove gli zaini vengono aperti e il contenuto controllato. L’attesa la consumano tutti insieme tra chiacchiere e sigarette. Alì è uno degli ultimi a essere chiamato. Sale la rampa prima di raggiungere gli altri nel cortile della questura. Uno degli ultimi due uomini rimasti, i più anziani del gruppo, racconta: «In Pakistan ho lasciato moglie e figli, un bambino e una bambina di nove anni – dice mostrando le foto salvate nel cellulare, un Samsung di ultima generazione –. Da noi il lavoro non è un problema, ma il clima sociale è terribile a causa dei talebani. La polizia deve continuamente intervenire. Ho vissuto alcuni mesi in Turchia, a Istanbul, poi in Grecia. Sono passato per tanti paesi, la Svizzera è bellissima, ma qui in Italia le persone sono più gentili. A consigliarmi di venire a Macerata è stata una conoscenza di un mio amico, quello che era seduto qui (indica lo spazio di marciapiede dove poco prima un altro ragazzo attendeva il suo turno, ndr). Sono arrivato in treno due giorni fa». Finiti i controlli, sul piazzale di via Prezzolini si affacciano i pakistani arrivati a Macerata due settimane fa, e che da tempo dormono tra la zona di via Prezzolini e i locali concessi dal parroco di Santa Croce, don Alberto. Anche loro stanno ancora aspettando risposte, come racconta Irafn: «Ora grazie agli aiuti stiamo meglio. Ma da noi non c’è più posto, non so dove dormiranno i nuovi».

 

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