Fischi per la Tosca povera di idee

LA RECENSIONE - Dopo il successo di Aida, la prima dell'opera pucciniana allo Sferisterio si è rivelata una sonora bocciatura per la regia di Franco Ripa di Meana, con un'originalità sconclusionata e scelte incomprensibili contestate dal pubblico. Bocciati anche scenografia e costumi. Il successo personale della giovanissima Susanna Branchini, appassionata Tosca, non è riuscito a risollevare il livello di un cast non in grado di suscitare emozioni. Bene, invece, il direttore d'orchestra, la coreana Eun Sun Kim

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Tosca viaggia nel tempo, ma il pubblico contesta (Clicca sull’immagine per guardare il video con i commenti degli spettatori)

 

maria stefania gelsominidi Maria Stefania Gelsomini

(foto di scena di Alfredo Tabocchini)

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“Scherza coi fanti e lascia stare i fanti” ammonisce il Sagrestano nel primo atto. Avrebbe dovuto far tesoro di queste sagge parole anche Franco Ripa di Meana nell’affrontare la regia di Tosca allo Sferisterio. Dopo il successo di Aida (LEGGI LA RECENSIONE), tra luci e ombre (purtroppo più ombre che luci) è andata in scena ieri sera la prima dell’opera pucciniana, che si è rivelata una sonora bocciatura per la regia. Inequivocabile e sonora in tutti i sensi, vista la bordata di fischi che il pubblico ha lanciato a fine serata all’indirizzo di regista, scenografo e costumista. Sembra difficile immaginare che lo scenografo e la costumista, Edoardo Sanchi e Silvia Aymonino, siano gli stessi che venerdì sera in Aida hanno incantato il teatro con le loro creazioni. La prima cosa che verrebbe da pensare è che avessero finito i soldi, ma anche qualche idea buona. Si salva Fabio Barettin, che ha cercato di rendere l’atmosfera cupa e fosca del dramma creando lame di luce orizzontali che colpivano i personaggi isolandoli in una fissità spettrale e li scolpivano in una fisicità fredda e metallica, o facendo scorrere un faro avanti e indietro sulla platea nel momento in cui Tosca racconta a Mario come ha ucciso Scarpia.

Tosca (1)Ma ritorniamo ai santi. Il primo è Ken Russell, con la sua geniale dissacrante Bohème del 1984, perché è a questo intoccabile capolavoro che intende rendere omaggio la Tosca 2014. Intento miseramente fallito, sia perché il pubblico questa connessione ideale non l’ha affatto percepita, sia perché al di là della generica ispirazione a quello storico allestimento non c’è altro, sotto il vestito niente per capirci (ma qui non c’era nemmeno il vestito, con la povera Tosca che per affermare la propria identità di eroina tragica universale ha dovuto indossare lo stesso abitino azzurro per tutta la recita). Non basta ambientare i tre atti in tre epoche diverse, così come fece Russell, non basta appoggiare a un albero un altissimo cavalletto metallico che assomigliava più a una scala, o a un traliccio, per ricordare il monumentale cavalletto piazzato in scena da Russell nel primo atto, non basta far fucilare Cavaradossi dai soldati fascisti durante la Seconda guerra mondiale per richiamare il secondo atto di quella Bohème visionaria ambientato nella Parigi occupata dai nazisti.

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Tosca (5)La Tosca di ieri sera è uno di quegli spettacoli che mancano di idee vere, forti, e che cerca di “compiacere” il pubblico in nome di una originalità sconclusionata che diventa fuori luogo. Il “famolo strano” a tutti i costi non funziona più e il pubblico non si lascia ingannare da trovate inutili, discutibili ma soprattutto ingiustificabili. A Macerata, occorre farsene una ragione, non ci sono gli implacabili loggionisti della Scala capaci di decretare un trionfo o un flop, non c’è il Club dei Ventisette di Parma, non ci sono le 35 Verdissime di Piacenza. Quello maceratese, soprattutto quello delle prime, è un pubblico che rispolvera se stesso per le grandi occasioni, che si accontenta di risolvere la serata mondana con un acuto e un tacco dodici, non particolarmente avvezzo a voci e allestimenti con cui entra in contatto, appunto, un’unica volta all’anno. Negli ultimi tempi per giunta un fastidioso politically correct è arrivato a contagiare, oltre a tutto il resto, persino la lirica, e a parte qualche malumore e qualche borbottio sottovoce, si è instaurata nello Sferisterio una tacita auto-censura del pubblico, che aveva quasi rinunciato al (sacrosanto) diritto ad esprimere, accanto al proprio gradimento, anche il proprio dissenso. Di spettacoli mal riusciti se ne sono visti allo Sferisterio, ma di fischi e di buu si erano perse praticamente le tracce. Ieri sera il pubblico si è risvegliato e sono ritornati.

Tosca (2)Se è vero, come molti hanno detto, che l’Aida di Micheli è un allestimento freddo, algido, privo di emozione, lo è senz’altro (e volutamente) nell’impianto scenografico, ma l’emozione l’hanno data i cantanti grazie a interpretazioni convinte e piene di impeto. In questa piccola Tosca fatta al risparmio sono mancati pathos e suspense, e il successo personale della giovanissima Susanna Branchini, appassionata Tosca, non è riuscito a risollevare il livello di un cast non in grado di suscitare emozioni forti. Davvero brava e senza alcun timore reverenziale, la Branchini tradisce forse in alcuni momenti una mancanza di esperienza e di maturità che la navigata Tosca richiederebbe, e si lascia sfuggire a volte qualche urlo di troppo (come quando esplode la sua gelosia per la marchesa Attavanti nel primo atto, o quando nel finale si sta per suicidare), ma nel complesso regala un’ottima prova. Grande impegno anche per il tenore romano Luciano Ganci, altro giovane al suo doppio debutto allo Sferisterio e nel ruolo di Cavaradossi. La voce è bella, non ha molto volume nei centri e nei bassi, ma nonostante qualche problema nel primo atto (“La vita mi costasse vi salverò” strozzata in gola, dopo un buon inizio con “Recondita armonia”) si è portato a casa la recita senza grossi intoppi, e anzi concludendo, seppur con qualche evidente apprensione, con un convincente “E lucean le stelle”.

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Tosca (3)Quello che è apparso completamente fuori ruolo è lo Scarpia di Marco Vratogna, nonostante compaia spesso nel repertorio del baritono ligure. Un vecchio lussurioso e lamentoso (“Tosca mi fai dimenticar Iddio”) che freme d’amore per la bella Floria ma mai terrificante, mai autenticamente spietato. Uno Scarpia innocuo, che non avrebbe fatto paura neanche al pastorello che passa fra i soldati in divisa fascista con un agnellino vivo in braccio, che non incute terrore neanche nella mefistofelica sentenza “Ah Tosca nel tuo cuor s’annida Scarpia”. Non si discutono la voce, dotata di un timbro molto bello, e il buon fraseggio, ma non è Scarpia. Molto apprezzati il Sagrestano di Roberto Abbondanza e l’Angelotti di Massimiliano Catellani, ottimo comprimario lo Spoletta di Silvano Paolillo, il tenore napoletano che da vent’anni abita a Macerata ed è ormai un habitué del palco dello Sferisterio. Completano il cast Giacomo Medici (Sciarrone), Franco Di Girolamo (un carceriere), Ilaria Frenquelli (un pastorello). Grande affermazione personale invece per il direttore d’orchestra, la seconda signora a salire sul podio dello Sferisterio dopo Julia Jones in Aida, la coreana Eun Sun Kim, che ha saputo condurre l’Orchestra Filarmonica Marchigiana con spiccata personalità e ha colorato le note pucciniane di accenti e sfumature coinvolgenti.

 

La direttrice d'rochestra Eun Sun Kim

La direttrice d’rochestra Eun Sun Kim

Il primo atto della Tosca firmata da Ripa di Meana è ambientato come da libretto nel 1800, nel giorno della battaglia di Marengo e della vittoria di Napoleone. Il secondo atto, con un salto di un secolo, si colloca ai primi del Novecento, e lo studio di Scarpia a Palazzo Farnese si trasferisce nel Vittoriano. Col terzo atto si fa un altro balzo in avanti, durante il regime fascista e la Seconda guerra mondiale. Vabbè che la Tosca viaggia nel tempo insieme al suo dramma, ma utilizzare lo spazio enorme dello Sferisterio nella sua interezza (palco, platea, corridoi laterali, persino scalette e palchetti) avendo a disposizione scarni elementi scenici risulta inutilmente dispersivo. I fuggitivi che scappano dalle guardie in mezzo alla platea ancor prima che Eun Sun Kim alzi la sua bacchetta, le processioni di preti e di fedeli di nero vestiti che lente sfilano ai lati del palcoscenico e scendono dietro al pubblico per tutto il primo atto, i soldati che conducono in carcere i ribelli catturati che passano di nuovo in mezzo alla platea creano distrazione dalla scena principale e molta confusione.
A destra della scena due alberi, con una sorta di tabernacolo, una corona d’alloro e due bandiere francesi. Un’asta graduata appesa orizzontalmente lungo tutto il muro di fondo indica allo spettatore il misurarsi del tempo. È lungo questo enorme metro che scorrono atto dopo atto i tre pannelli che fanno da fondale: il primo, posizionato a sinistra, è come un arazzo chiuso in un frammento di cornice che ricorda una veduta del Piranesi, con dei ruderi romani e il Colosseo in lontananza. Tra le panche di legno della chiesa di Sant’Andrea della Valle si svolge il primo atto, qui sta il pittore Cavaradossi che non dipinge, qui arriva Tosca col suo temperamento focoso e folle di gelosia, qui arriva Scarpia coi suoi scagnozzi in cerca del bonapartista Angelotti, ex console della Repubblica Romana fuggito da Castel Sant’Angelo, qui sfilano i cortei devoti alla Madonna, qui Scarpia cerca di instillare in Tosca il dubbio del tradimento di Cavaradossi, qui il Sagrestano intona con chierici e chierichetti il coro finale del Te Deum al giungere della falsa notizia della sconfitta di Napoleone.

Tosca (7)Nel secondo atto il tempo scorre di un secolo e il pannello, che ritrae un particolare del Vittoriano con tre colonne e la dedica a Vittorio Emanuele II padre della patria, scorre al centro della scena. Lo studio di Scarpia è molto spoglio, solo un pianoforte, un divanetto, una sedia e la statuina della Madonna. Scarpia è un damerino in tight, Poletta e Sciarrone indossano cappotto e bombetta, Tosca col solito abito azzurro, porta ora i capelli raccolti e la borsetta. Mentre Mario catturato da Spoletta come complice di Angelotti viene interrogato, Tosca canta al piano superiore di Palazzo Farnese (in realtà canta, ammantata di luce come un’apparizione divina, nell’ultimo palchetto superiore destro dello Sferisterio). Non articolarmente intimorita dalla convocazione di Scarpia, si accende una sigaretta e si sistema i capelli mentre attende di parlare con lui. Cavaradossi viene torturato per costringere Tosca a rivelare il nascondiglio di Angelotti (“Aprite le porte che n’oda i lamenti” tuona Scarpia) e immagini di altri uomini torturati si illuminano da alcuni palchetti laterali. La vicenda drammatica si consuma tra le urla del torturato, la resistenza di Tosca e le minacce di Scarpia, mentre entrano in scena coi loro carnefici altri prigionieri che alla fine stramazzano a terra. Quando Tosca cede e ottiene di vedere Mario giunge la notizia della vittoria di Napoleone, e Cavaradossi che canta vittoria viene trascinato via nello strazio di Tosca. Scarpia non accetta soldi né altro, vuole solo lei. È il momento dell’aria più famosa, “Vissi d’arte, vissi d’amore”, è il momento di implorare il perfido barone Scarpia per l’ultima volta e Susanna Branchini la canta con voce sicura, potente, imprimendo una forte drammaticità. La tragedia inizia a compiersi, con Tosca che finge di cedere a Scarpia e Scarpia che con un inganno degno della sua perfidia finge di cedere a sua volta, e firma un salvacondotto per i due amanti promettendo di fucilare a salve Cavaradossi. Nel buio rotto da sottili fasci di luce accecante che investe i due protagonisti, Tosca, per sottrarsi alle brame di Scarpia, lo ammazza con due colpi di pistola (“E avanti a lui tremava tutta Roma”).

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Tosca (6)Nel terzo atto il pannello-fondale scorre ancora in avanti e si posiziona nella parte destra della scena, mentre al centro è appeso un simbolo fascista. È una vecchia foto in bianco e nero di Roma degli anni Quaranta con uno scorcio del Tevere e di Castel Sant’Angelo. La scena ora è vuota, a parte una staccionata di legno sistemata dai soldati e gruppi di prigionieri condotti nelle carceri. Mario imprigionato si strugge per la sua Floria (la celeberrima “E lucean le stelle”), ma lei arriva e gli racconta dell’uccisione di Scarpia, del salvacondotto, e della finta fucilazione, raccomandandogli di “morire” in modo credibile. Mario viene seduto su una sedia, di spalle, e quando i tre soldati stanno per sparargli si gira e li guarda in faccia. Colpito a morte, cade a terra. Tosca disperata si accorge della sua morte, e inseguita dalle guardie che hanno trovato il corpo di Scarpia, anziché gettarsi da Castel Sant’Angelo, resta lì in piedi travolta da una folla (anzi sarebbe meglio dire una mandria) di turisti e di romani che vanno di corsa, vestiti con abiti attuali, mentre sul muro di fondo si srotola l’ultimo pannello: è la foto della visuale che ha Tosca nel momento in cui si getta da Castel Sant’Angelo, e come quelle scattate dalle odierne telecamere o dai telefoni cellulari, reca in basso la data, 19/07/2014.

Tosca (4)È questa la scena che ha lasciato basito il pubblico, disorientato da quella massa di gente che correva, tra l’altro, in maniera sgraziata, e da Tosca che rimane sola, in piedi, al centro del palco, senza capire se si fosse buttata oppure no, se fosse morta oppure no. L’ultimo colpo di scena, l’ultima delle numerose idee registiche incomprensibili: come la guardia che veste col mantello azzurro la Madonnina vivente su un palchetto, e sul palchetto di fronte, all’altra estremità dello Sferisterio, Scarpia che prega inginocchiato mentre canta Tosca nel primo atto; come i fastidiosi braccialetti che Tosca indossa per tutto il primo atto, e che in uno sbattere continuo disturbano la musica e persino il suo canto (“Dio mi perdona”); come quando Tosca sta entrando in chiesa in cerca di Mario e le persone che stanno in processione ai lati estremi del palco la trattengono; come quando Tosca, ritornata in chiesa a cercare Mario trova Scarpia, e cominciano a salire sul lato destro del palco decine di coristi con le torce in mano e si rivolgono verso gli alberi e il cavalletto lì appoggiato prima di intonare il Te Deum finale; come quando Scarpia, una volta creduto che lei ceda alle sue avance, la ammanetta e si infila i guanti di pelle; come quando Tosca ammazza Scarpia con una pistola anziché con un tagliacarte, e poi canta “Io quella lama gliela piantai nel cor” mimando platealmente il gesto di sparare, rendendo quel gesto privo di qualsiasi credibilità; come quando i due musicisti che fanno risuonare le campane che precedono l’esecuzione di Cavaradossi vengono posizionati in bella evidenza sul prato sotto il palco, ai lati della platea, disturbando tra l’altro, al momento di riporre i loro strumenti, il tenore Ganci che sta attaccando la sua l’aria; come quando, durante l’aria “O dolci mani” nel terzo atto, il canto di Cavaradossi è ancora distratto dall’entrata rumorosa di soldati e prigionieri.

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Tosca viaggia nel tempo, ma il pubblico contesta (guarda il video a cura di Gabriele Censi e Claudio Ricci).

– Su Quid Culturae il commento di Filippo Davoli (leggi l’articolo).

 

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