Il futuro dei grillini
e la buona politica

A sollevare problemi siamo capaci tutti, ma la scienza e l’arte di governare richiedono che si sia in grado, realisticamente, di risolverli

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di Giancarlo Liuti

Nelle elezioni politiche di fine febbraio la provincia maceratese e la città capoluogo furono scosse da un terremoto che nessuno aveva previsto: l’affermazione, al primo posto, del Movimento di Beppe Grillo. Un risultato del genere si ebbe pure a livello nazionale, dove le Cinque Stelle ottennero quasi nove milioni di voti e prevalsero di un’incollatura sul Pd di Bersani . Ma da noi il distacco fu più netto: ben cinquemila voti di scarto in provincia. Meno, solo trecento, in città, ma sufficienti a staccare il Pd. Per gli schieramenti tradizionali, insomma, la mazzata fu dura. Basti pensare che il Pdl di Berlusconi  si fermò, in Italia e in provincia al 21%, e ancora peggio (18%) in città. Le cause?  Inutile, ora, tornarci su. I duri sacrifici imposti dalla crisi economica, certo, e la cattiva qualità della dirigenza politica anche a livello locale. Però ripeto: malgrado siano trascorsi solo sei mesi, il confuso accavallarsi di troppe vicende li fa sembrare un’eternità, e il passato è passato. Perché, allora, ho ripetuto quei dati? Per porre in evidenza che da quella straordinaria affermazione Grillo e Casaleggio – nemmeno loro se l’aspettavano e forse non se l’auguravano – ricevettero l’onere di condizionare il governo del Paese. E per quanto riguarda il presente e il futuro di Macerata non credo si possa prescindere dalla presenza e dalle dimensioni  – ma anche dalle responsabilità – di una così nuova realtà.

 E allora?A questo proposito sono andato a rileggermi , su Cm, l’articolo che il direttore Zallocco scrisse il 14 maggio criticando l’inerzia dei nostri grillini: “Il 7 marzo hanno festeggiato il successo elettorale in un’assemblea piena di idee e buoni propositi, ma da quel momento non si hanno più notizie di loro. Due mesi fa Cm inviò una mail agli attivisti di Cinque Stelle per chiedere una serie di interventi sui problemi della città e dopo alcuni giorni arrivò una risposta arrogante in cui veniva spiegato che il Movimento non aveva bisogno di rapportarsi con la stampa avendo già i suoi canali di comunicazione”. Quali? Aggiungeva Zallocco: “Peccato che in tutto questo tempo né sul loro sito Internet né sulla pagina Facebook siano apparsi contenuti o proposte riguardanti Macerata”. E, riferendosi a questa specie di letargo, concludeva: “Se non cercano da subito una maggiore apertura con la città e se torneranno in azione solo 5-6 mesi prima delle prossime elezioni comunali saranno poco credibili”.

Il risveglio c’è stato il 5 giugno, quando il Movimento ha tenuto un’affollata riunione nel quartier generale di via Indipendenza, all’ordine del giorno della quale figurava, in primis, il tema del centro storico. Ma a un certo punto alcuni iscritti – pare quattro e pare per ragioni procedurali – hanno eccepito l’invalidità dell’assemblea e sono usciti dall’aula. La cosa, in sé, non avrebbe meritato clamore se non avesse manifestato un dissidio interno latente da tempo. Un dissidio che alcuni giorni dopo ha addirittura preso le forme di una scissione, con l’annuncio della costituzione di un altro gruppo con un nome leggermente diverso da quello originario (da una parte il “Gruppo Iscritti al Movimento Cinque Stelle” con sede in viale Indipendenza, dall’altra il nuovo “Macerata 5 Stelle”, che si riunisce a poca distanza, in via Martiri della Libertà”). Non era una notizia? Certamente lo era, come lo sarebbe stata se da un qualsiasi partito – o associazione – si fosse staccato un pezzo, non importa se piccolo, che avesse adottato una sua propria denominazione. E non andava riferita? Sì, ovviamente. I giornali ci sono per questo. Ma, come sempre, le fonti cosiddette ufficiali se la presero con gli organi d’informazione, colpevoli di porre in evidenza soltanto “banali” e “irrilevanti” screzi intestini e non, invece, le proposte serie – sui problemi seri – che fossero emersi dalle loro assemblee secondo il metodo del “word café”: uno vale uno, si discute, non c’è maggioranza, non c’è minoranza, conta la Rete, conta il Web. Risveglio? Sì, rispetto al sonno profondo. Ma, a ben vedere, un dormiveglia popolato di inquietudini.

   Non sono pregiudizialmente ostile al Movimento di Grillo, la cui nascita e la cui esplosione trovano mille ragioni nella mediocre qualità della politica istituzionalizzata. Dico anzi che dalla sua giovanissima età – meglio: dalla sua infanzia – non si può pretendere quella maturità e quell’esperienza che sono indispensabili in chi si propone di affrontare e risolvere i tanti problemi della comunità dei cittadini. E non è, intendiamoci, una questione di “competenze”, giacché fra i nostri grillini non mancano laureati in varie discipline con successivi e positivi percorsi professionali. Ad essi, semmai, fanno difetto due cose. La prima sta nel fatto che in loro – e non potrebbe essere altrimenti  – non c’è una sperimentata conoscenza dei modi e dei mezzi del fare politica. La seconda sta nel fatto – assolutamente incolpevole, giacché le elezioni di febbraio non erano amministrative – di non avere alcun esponente in consiglio comunale (non di partito, sia mai, ma almeno di lista civica) cui trasferire o da cui trarre forza propositiva e innovativa.

  Ogni cittadino – me compreso – è capace di denunciare problemi. Ma non tutti – me compreso – sono poi in grado di farne derivare soluzioni . Mi limito a un esempio. Poniamo che esista il bisogno, reclamato da molti, di costruire un nuovo ponte sul Chienti e poniamo che fra i Cinque Stelle militi un ottimo ingegnere civile. Ma immediatamente la questione si trasforma da tecnica in politica ed è appunto la politica – la buona politica – a doverla affrontare. Come? Valutando realisticamente le risorse disponibili, elaborando una scala di priorità contenente anche altri problemi, affidando il progetto agli uffici pubblici oppure ai privati, facendo gare d’appalto per i lavori, scegliendo il luogo anche in base ai legittimi interessi  di altri Comuni, entrando in contatto coi loro esponenti, sondando la possibilità di un’eventuale compartecipazione nelle spese, tenendo conto dell’impatto ambientale, considerando soluzioni alternative, accettando inevitabili compromessi e, infine, cercando di interpretare (dibattiti, voti consiliari, assemblee popolari, collegamento con forze affini per idealità storiche, sociali e culturali, massima visibilità nei media) la volontà della maggioranza dei cittadini: il consenso, sì, quello che in altre parole si chiama “democrazia” e non “word cafè”.

  Questo è infatti il dovere della politica (ripeto: della buona politica). Per il quale non basta la competenza tecnica, ma occorre una competenza – una sensibilità, una cultura, un’attitudine – che non si acquista nelle università, nell’esercizio delle professioni o, ancora meno, nell’essere semplicemente giovani. La politica – ripeto ancora: la buona politica – è la scienza e l’arte di governare, una scienza e un’arte diverse da tutte le altre, una scienza e un’arte che stanno al fondamento del vivere civile e che s’imparano praticandole fin dalle prime e modeste esperienze individuali  in ascolto delle opinioni altrui. Le competenze tecniche e l’onestà delle persone sono certamente d’aiuto alla buona politica, ma non bastano. E’ su questo che i nostri Cinque Stelle debbono pazientemente farsi le ossa in attesa di partecipare alle elezioni amministrative del 2015, senza reagire con immotivato disprezzo verso chi li invita a riflettere sui loro limiti. Potrebbero vincerlo, l’agone elettorale? Sì, in teoria. E il nuovo sindaco potrebbe essere uno di loro. Ma facciano tesoro di quanto è accaduto al grillino Federico Pizzarotti, che nel maggio dell’anno scorso divenne sindaco di Parma grazie a una campagna elettorale fondata soprattutto sulla promessa di non consentire la realizzazione di un inceneritore dei rifiuti. Ebbene, la costruzione di questo impianto, lui sindaco, è andata avanti e proprio in questi giorni  l’inceneritore è stato acceso. Incoerenza? No, soltanto l’illusione che le rabbiose vertigini dell’antipolitica possano fare a meno del sano realismo della politica.



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