Alberto Batisti
di Marco Ribechi
Acclamato ritorno per Alberto Batisti agli Aperitivi Culturali, la sua spiegazione della Messa da Requiem di Verdi termina con una standing ovation e vari minuti di applausi. Partiamo da un presupposto: il concerto che questa sera sarà realizzato allo Sferisterio di Macerata, con l’orchestra e il Coro del Teatro Comunale di Bologna diretto da Donato Renzetti per l’esecuzione del capolavoro di Giuseppe Verdi, sarà probabilmente un evento assolutamente memorabile se non addirittura epico. Per comprenderlo appieno, quindi, l’appuntamento mattutino agli Antichi Forni non poteva avere come ospite altri se non Alberto Batisti, uno dei massimi esperti musicali italiani e, allo stesso tempo, uno degli oratori più seguiti in tanti anni di incontri pre-opera. Scelta azzeccatissima dal format diretto da Cinzia Maroni visto che il pubblico è rimasto davvero ammutolito per quasi un’ora e mezza di lectio magistralis, salutandolo al termine come un tenore che ha appena concluso un’esecuzione memorabile. Batisti, nel tempo a disposizione, è riuscito infatti sia a spiegare la genesi dell’opera, partendo molto da lontano, sia a valorizzarla oltre che per l’aspetto musicale anche per i suoi contenuti culturali che uniscono in un solo fil rouge alcune delle massime personalità italiane dell’800 ovvero Luigi Cherubini, Gioachino Rossini, Alessandro Manzoni e ovviamente l’autore Giuseppe Verdi. Un lavoro che è alle basi stesse della cultura moderna del nostro paese e che dovrebbe essere per questo conosciuto da ogni italiano ma, come afferma critico lo stesso Batisti: «Agli italiani è negata l’educazione ad ascoltare la musica. Si esce da un liceo ignorando chi sia Giuseppe Verdi e senza il sacrosanto diritto di sapere che cosa ha prodotto l’Italia in musica, ovvero una delle massime espressioni mondiali che ha portato la nostra lingua ad affermarsi in ogni angolo del globo». Una critica severa ma giusta che in parte fa comprendere anche le ragioni della povertà musicale in cui versa attualmente il nostro paese.
Batisti con Cinzia Maroni
«Nell’800 – spiega Batisti – la musica sacra era quasi scomparsa a causa delle idee dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese assolutamente anticlericali. Per questo si era affermata una sorta di liturgia laica ovvero lo stato che celebrava sé stesso in quelle che oggi chiameremo adunate oceaniche, seguendo i nuovi principi repubblicani. In questo contesto si afferma Luigi Cherubini che si trovava in Francia proprio durante la rivoluzione». Con la Restaurazione e il ritorno del re però prende piede di nuovo anche la liturgia cattolica di cui lo stesso Cherubini diventa il modello assoluto. «È l’autore di due requiem – prosegue Batisti – uno lo tiene segreto perché pensato per la propria morte, l’altro invece, in Do minore, è una sorta di grande affresco sacro che riprende in alcuni aspetti anche quella liturgia laica che lo aveva visto coinvolto alcuni anni prima. Per questo il suo requiem è anche un requiem alla storia e a tutti i morti caduti nei grandi sconvolgimenti di quegli anni. Evidente ciò ad esempio nell’uso del gong, inaudito per una messa che però derivava da quelle cerimonie che venivano fatte in strada, con enormi folle marcianti». Verdi quindi, nella stesura della sua Messa da Requiem, aveva senza dubbio in mente proprio quello di Cherubini che era diventato il modello della nuova musica sacra. Ma non solo: «C’era stato anche il Requiem incompiuto di Mozart – prosegue l’ospite – reso celebre dal fatto che l’autore era morto scrivendolo con la penna in mano. Ovviamente esisteva anche quello di Brahms ma in questo caso si fa riferimento alla cultura luterana per cui la morte è una sorta di ritorno, di liberazione, tutta un’altra impostazione culturale rispetto a quella cattolica medioevale derivata dal Dies Irae attribuita a Tommaso da Celano, una sequenza che mostrava un dio quasi terroristico, tutt’altro che vicino all’uomo e al sentimento della caritas cristiana. Infine vale la pena citare anche la Grande Messe des morts di Hector Berlioz, un pezzo quasi delirante per l’eccesso a cui tende ma che segnò molto l’impostazione orchestrale».
Da questo percorso musicale nasce una prima idea di Requiem verdiano. L’occasione è la morte di Rossini, avvenuta dopo circa 40 anni di silenzio di quello che era stato uno dei maggiori artisti italiani, la cui scomparsa aveva toccato da vicino il cuore di Verdi. Proprio per ricordarlo Verdi decide di scrivere una lettera molto autoritaria all’editore Giulio Ricordi chiedendo, ma di fatto quasi ordinando, di realizzare una composizione che vedesse la partecipazione dei più grandi musicisti italiani (con Lauro Rossi direttore dei lavori) che avrebbero dovuto scrivere ciascuno un pezzo del requiem da proporre per la morte di Rossini. «Purtroppo in questo caso, come accade spesso, – prosegue Batisti – emerse tutta la meschinità italiana e il progetto, che pure era stato portato a compimento, non trovò realizzazione per motivi economici ma anche di protagonismo. La partitura quindi rimase conservata in casa Ricordi rappresentando una ferita aperta per Giuseppe Verdi che ne uscì estremamente amareggiato».
Gli applausi del folto pubblico degli Antichi Forni
Nel frattempo però Verdi incontra Alessandro Manzoni, l’uomo che più ammirava al mondo e che chiamava il Santo. Nel 1872 muore il figlio di Manzoni e l’autore dei Promessi Sposi non si riprenderà più dal dolore cadendo in una forma di demenza. Verdi quindi si chiede “perché dio, ammesso che esista, costringe gli uomini a vivere in una condizione così misera e meschina per poi finire nel nulla?”. «Questa domanda è centrale per capire la Messa da Requiem – tuona Battisti – dove Verdi mette in scena il grido di un’umanità che si spaventa davanti all’idea che ci possa essere un Dio». Ecco che Verdi, un mese circa prima della morte di Rossini, chiede all’editore Ricordi di poter riavere la parte che aveva scritto per il requiem di Rossini mai realizzato (Verdi aveva composto la chiusura) e da questa base scriverà il capolavoro assoluto trasferendolo da Rossini a Manzoni. «Bisogna dire, in conclusione – termina Batisti – che Verdi era anche affascinato dall’idea di chiudere la sua carriera con un ritorno alla musica liturgica dopo aver raggiunto le vette massime nel teatro, questo nonostante poco prima avesse affermato, tramite lettera indirizzata a Alberto Mazzucato, che riteneva inutile scrivere una messa in più. Meno male che Verdi in quest’occasione ha ben pensato di contraddire se stesso lasciando uno dei suoi più grandi capolavori».
L’incontro come già detto si è concluso con applausi a non finire e con il consueto aperitivo offerto dall’Antica Gastronomia di Mogliano. Domani sarà la volta dell’aperitivo giuridico accreditato per la formazione forense con Antonella Calcaterra che tratterà il tema della pazzia nella legge.
Il proprietario dell’Antica Gastronomia di Mogliano
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