Una delle scene della Carmen-machia
di Marco Ribechi
La Carmen del toro trionfa nell’arena, celebrato anche lo Sferisterio nell’apertura della 59esima stagione lirica di Macerata. Si è conclusa tra gli applausi fragorosi del pubblico di casa la prima rappresentazione lirica dell’estate maceratese, quasi un sold out che ha visto riempirsi completamente il teatro d’opera ad eccezione dei settori più esterni. Molti anche gli stranieri giunti in città per scoprire il nuovo allestimento del titolo celeberrimo, proposto dal Mof attraverso la regia di Daniele Menghini che lo scorso anno aveva strappato grandi consensi con il Barbiere di Siviglia. Andalusia terra fortunata per il giovane regista che, insieme al drammaturgo Davide Carnevali e sotto la direzione del Maestro Donato Renzetti, è riuscito di nuovo ad infiammare l’arena con uno spettacolo moderno capace però di guardare alla tradizione da molteplici punti di vista. Una messa in scena densa, ricca sia di dettagli che di movimento sul palco, difficile da decifrare in toto dopo una sola visione ma comunque in grado di appassionare la platea con effetti anche pirotecnici (in un paio di occasioni dal grande muraglione sono stati realmente sparati dei fuochi d’artificio).
L’appuntamento con la 59esima stagione del Mof si apre con la dedica commossa a Francesco Cervigni, macchinista dello Sferisterio scomparso a dicembre la cui immagine, indimenticata sotto al suo caratteristico cappello, viene proiettata sul muro del bracciale. Si va in scena dopo un grande applauso commosso e affettuoso. Nella Carmen-machia, oltre ai personaggi canonici del lavoro di Bizet, ci sono almeno altri tre protagonisti principali in scena fin dal primo istante: la città di Macerata, celebrata nel suo monumento più famoso, un toro veicolo della simbologia su cui interpretare l’opera, e un Arlecchino, forse impersonificazione del teatro stesso. Ma andiamo per gradi. Partendo dalla scenografia chiari sono i richiami allo Sferisterio. Lo spazio del palco è trasformato in un’arena in decadenza dove praticare l’antico rituale della corrida. Questo stesso, con il nome di Giostra dei Tori, era in voga anche nello Stato Pontificio fino al 1930 e quindi non estraneo nella città di Padre Matteo Ricci. Inoltre, in apertura del primo atto, compaiono anche delle palle di pelle molto simili a quelle usate per il gioco del Bracciale, assegnando così allo spazio scenico un forte collegamento con la ritualità delle feste popolari maceratesi. Ma se questo non bastasse, al momento della morte della Carmen, viene realizzata in scena la scritta a caratteri cubitali “A pubblico Diletto”, cioè la frase che campeggia sulla facciata dell’arena voluta dai Cento Consorti. A questo punto l’identificazione è completa, quello che vediamo è lo Sferisterio, è come se il pubblico guardi sé stesso.
Il toro è un secondo aspetto che caratterizza il nuovo allestimento e si incontra fin dal primo istante come elemento scenico. La bestia nera, imponente e possente, è già abbattuta al centro del palco e la sua aurea ritornerà più volte durante la rappresentazione. Sarà decapitato, le sue carni macellate, fatte a pezzi, cotto e le sue ossa gettate nel fuoco di un simbolico inferno. Lo spettacolo del toro vinto si lega quindi alla morte della Carmen in una contrapposizione tra sacro e profano, tra legge e sentimento, tra carne da purificare e morale dello spirito. Il pubblico dell’arena ha bisogno del sangue del ribelle per domare così la sua spinta dionisiaca. Infine l’arlecchino, impersonato dall’attrice Valentina Picello, in un rapporto confidenziale con il pubblico dichiara i suoi obiettivi, ovvero quelli del teatro e della Commedia dell’arte da cui trae origine: mettere lo spettatore davanti ad uno specchio attraverso cui guardare nel proprio intimo. Nelle parole del recitativo: “è facile chiudere gli occhi davanti a quello che fa paura… eppure oggi siete qui” c’è l’invito della maschera che propone ai presenti di affrontare i propri demoni. Ma quali sono i demoni che ci mostra la Carmen-machia?
Nei costumi adottati dalla grande quantità di attori e comparse sul palco c’è una parte della risposta. Fin dagli esordi abbiamo due gruppi che si contraddistinguono cromaticamente: i militari, vestiti di un nero che richiama gli eserciti delle dittature, e gli zingari, addobbati con giacche e calze composte da coloratissimi rombi. Da un lato l’ordine, la disciplina che però appare allo stesso tempo decadente, dall’altro la follia, il gioco, il rumore e le danze dei gitani che dichiarano solamente il loro desiderio di libertà. Incisiva è la scena in cui due soldati indottrinano un bambino svestendolo dei suoi panni colorati per fagli indossare un completo nero, proprio davanti agli occhi impotenti della madre. In questo contesto Carmen quindi è prima di tutto il simbolo della diversità, dell’affermazione individuale che non viene compresa, e per questo condannata da chi non è come lei. La Carmen si fa toro e allo stesso modo di una corrida viene sacrificata e macellata “A pubblico diletto” tra gli applausi dei presenti. All’interno di questo orizzonte semantico si possono ritrovare molti elementi che richiamano al sacro e al profano: una scena nel secondo atto che mostra l’iconografia di San Giorgio a cavallo che uccide il drago (in questo caso un dragone cinese) scacciando così il demone, la testa del toro portata in processione come simbolo pagano sopra un carro coperto di candele, molto simile a quelli dei rituali del Meridione, persino un diavolo vero e proprio, cioè l’oste Lilas Pastia che si aggira lugubre e funerario tra le scene compiendo dei rituali vicini alla magia nera. Il forte aspetto evocativo delle scene, caratterizzate da grande attenzione ai costumi e ai particolari, viene amplificato spesso durante la rappresentazione dal tema del fuoco, elemento ricorrente che culmina nell’incendio delle balaustre dell’arena accompagnato dall’esplosione di petardi e fuochi pirotecnici. Anche in questo caso il collegamento tra fuoco e passioni è fin troppo evidente.
La Carmen del 2023 quindi travalica a suo modo il proprio tempo per svelare il conflitto sociale alimentato dalla spinta conservatrice che caratterizza la società attuale. L’assassinio della Carmen diventa un male necessario per strappare il velo che nasconde la verità, potenza taumaturgica che però sembra risolversi solamente dentro un’arena per spettacoli. È Arlecchino a rompere la finzione scenica, ad indirizzare le proprie parole direttamente al pubblico accusandolo, mentre si toglie la maschera e si sveste dei suoi panni, di farsi bastare un teatro al posto della libertà. L’invito è quello di comprendere le passioni, di sospendere il giudizio, per far sì che il sacrificio della Carmen non sia vano e per proporre una società in cui la ricerca della libertà non sia vista come una provocazione e una rottura degli schemi prestabiliti. Forse non è stato un caso quindi che lo striscione al termine del primo atto, con scritta la parola “Libertà”, si sia girato al contrario mostrando quindi una libertà solo accennata e intuita: il destino ha forse messo in scena una meta-metafora dei tempi attuali superando persino gli intenti della regia.
Accanto a un allestimento così ricco di spunti di riflessione anche un’esecuzione davvero acclamata non solo nelle prove dei protagonisti ma anche in quelle dei personaggi di Escamillo e di Micaёla particolarmente applauditi nel finale. L’esecuzione della splendida Form, diretta del maestro Renzetti giunto ad oltre cento titoli differenti in carriera, è stata precisa e puntuale ma, ricordando la stessa citazione da lui espressa agli aperitivi culturali riguardo a Robert Schumann: “è difficile verbalizzare la musica, la musica va eseguita”. Da questo punto di vista l’allestimento di Menghini si sposa perfettamente con la versione scelta, ovvero quella di Ernest Guiraud, in francese con i parlati dell’originale trasformati in recitativi cantati. Una scelta motivata dall’essere all’aperto e poter accompagnare con l’orchestra tutti gli attimi di cui è composta la Carmen e che vedono una grande variazione di passaggi differenti così come è ricca di riferimenti la parte visuale. Una Carmen quindi che può definirsi un vero successo, uno spettacolo vivo, denso, accattivante in grado di parlare sia a livello locale alla sua Macerata, sia a livello universale con i grandi temi dell’attualità e le pulsioni insite nel cuore di ogni uomo. Gli applausi e i commenti positivi da parte del pubblico sono il responso più evidente dell’apprezzamento collettivo.
(foto Imbrescia)
(clicca qui per ascoltare la notizia in podcast)
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
…mah, se ho letto bene l’articolo, sembra proprio che sia stata un’opera contro il governo attuale, o perlomeno come viene esso considerato da chi ha inscenato quest’opera. Niente di nuovo sotto il sole, anzi, sotto i fuochi, questa volta, il politicamente corretto vende sempre bene, pare!!! gv p.s.: una domanda, così, tanto per curiosità; se in arena durante lo spettacolo ci fossero stati dei disordini o dei violenti pericolosi, il regista chi avrebbe chiamato a intervenire, i “militari decadenti” o gli zingari gioiosi e “liberi”!!? Ai paccheri l’ardua sentenza…
…è poco un pollice verso, me ne aspettavo di più da certi “intellettuali”…dai, su, datevi da fare, c’è ancora tempo!! gv
…sicuramente per rimettere in ordine avrebbero mandato il generale Figliuolo…