Da sinistra Giuseppe Pezzanesi ed Emanuele Tondi
di Federica Nardi
«Ratificheremo l’accordo e indiremo il referendum per dare ai cittadini la possibilità di scegliere». Così il sindaco di Camporotondo, Emanuele Tondi, sereno e deciso verso l’obiettivo della fusione con Tolentino. Un’ipotesi emersa due giorni fa, quando a Tolentino è stato convocato un Consiglio comunale straordinario (previsto per il 10 marzo alle 21), proprio per mettere al voto le modifiche del regolamento che consentirebbero di ricorrere alla consultazione popolare. Al vaglio dell’assise anche i termini dell’accordo, presentati ieri dal Comune in una nota e ribaditi stamattina in conferenza stampa. Critico il Movimento5stelle, che ha definito l’operazione «una furbata per aiutare il traballante bilancio di Tolentino». Al coro dei dissensi si unisce anche il Partito comunista tolentinate, che avrebbe voluto un maggiore coinvolgimento della popolazione prima di accelerare sulle decisioni. Perplessi dai modi della convocazione i democrat, preoccupati soprattutto dalla concomitanza della visita del governatore Luca Ceriscioli, slittata proprio il 10 marzo alle 18. Una sovrapposizione di orari (che non era nota al Consiglio dato che la visita era prevista questo giovedì e il cambio di data era stato annunciato recentemente su Facebook, senza comunicazione ufficiali), che ha portato allo spostamento del Consiglio comunale dopo cena, alle 21.
Nel frattempo, Tondi e Giuseppe Pezzanesi, sindaco di Tolentino, si presentano compatti sulla strada intrapresa e pronti a ribattere a ogni critica. «Abbiamo scelto Tolentino perché l’ipotesi iniziale, di accorpare i cinque piccoli Comuni della zona, avrebbe reso difficile sviluppare servizi e un’azione economica, dato che qui non è come a Camerino, non abbiamo l’ospedale, l’università e il carcere – dice Tondi –. L’accordo con Tolentino nasce dalla necessità di un piccolo Comune come il nostro, di lottare contro i continui tagli statali abbinati al fatto che non possiamo alzare la tassazione. Per cui, anche mancassero poche migliaia di euro, rischieremmo di essere commissariati per non aver chiuso il bilancio. Con gli incentivi per la fusione ci potrebbero arrivare ogni anno da un minimo di 200mila a un massimo di 300mila euro, investiti sul nostro territorio». Prospettiva confermata da Pezzanesi, che ribadisce la «concatenazione tra i due Comuni. Io stesso ho degli avi a Camporotondo, così come altri consiglieri, è un segno del destino – dice Pezzanesi –. L’opportunità della legge Lodolini va colta ora, anche sul piano economico dato che l’unione ci permette per cinque anni di uscire dal patto di stabilità interna e di assumere, con lo sblocco del turnover. Se altri Comuni vorranno unirsi a noi – conclude Pezzanesi – l’iniziativa dovrà partire dai sindaci». Un’ipotesi che per realtà come Cessapalombo dovrà comunque attendere l’esito del referendum di unione tra Tolentino e Camporotondo, per risultare confinante con il nuovo Ente e chiedere quindi l’accorpamento.
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Suicidio di una comunità.
Dati ufficiali del Ministero dicono che nella fascia 5.000 – 50.000 ci sono importanti vantaggi. Sopra e sotto non conviene ed ovviamente all’interno dell’ampia forbice c’è massima libertà e lungimiranza politica. Nessuna realtà locale viene cancellata. Anzi, se non si procede in tal senso le realtà locali si chiudono da sole e con la connivenza di amministratori locali forse troppo attaccati alle poltrone dove siedono.
La fonte, ovviamente, è al di sopra di ogni sospetto: il ministero dell’interno dello stesso governo che promuove la rottamazione dei comuni.
Le dimensioni medie dei comuni italiani sono le stesse dei comuni britannici e tedeschi, due volte e mezza quelle dei comuni svizzeri, cinque volte quelle dei comuni francesi.
Corriamo a dire loro che sono sciocchi inefficienti.
Da anni i trasferimenti ai comuni sono stati tagliati per importi pari a molte volte i risparmi che si dovrebbero realizzare con le fusioni dei comuni, e ora il problema sono i comuni piccoli?
Per Valenti. Forse la dimensione media dei comuni tedeschi è inferiore a quella dei comuni italiani, conseguenza del fatto che la Germania non vuole che i comuni superino certe dimensioni.
“Forse” cosa?
Stiamo parlando di fatti, non di opinioni.
Nel 2015, i comuni tedeschi erano 12066, in Italia erano 8094 (fonte Eurostat, http://ec.europa.eu/eurostat/web/nuts/local-administrative-units). Quindi, di cosa stiamo parlando?
Ammesso e non concesso che ci siano economie di scala, e che questo sia l’unico elemento da considerare, come se i comuni, e le comunità, fossero reparti aziendali, per quale motivo forzare fusioni che alterano i calcoli di convenienza?
L’articolazione di un paese per enti territoriali e per comunità locali non si scassa da un giorno all’altro per il ghiribizzo di qualche politico pseudoefficientista. E i costi di transazione, per i cambiamenti dei codici postali, dei codici fiscali, dei catasti, dei sistemi informatici, delle informazioni sui documenti d’identità, sono stati calcolati?
Finirà come il federalismo, che è stato voluto per accontentare la Lega Nord. Ora ci accorgiamo che, oltre a non aver affatto reso le regioni né più efficienti, né meno corrotte, abbiamo un guazzabuglio di leggi regionali in cui districarci.
Hai ragione. E’ certo, non probabile, che la dimensione media dei comuni tedeschi, espressa come numero di residenti, è inferiore alla dimensione media dei comuni italiani: 6.700 abitanti tedeschi contro 7.500 abitanti italiani.
Per quanto riguarda la nazione svizzera, nell’anno 2000 aveva 2.900 comuni circa, nel 2015 ne aveva poco più di 2.300, ossia in 15 anni ci sono stati accorpamenti di comuni effettuati allo scopo di sfruttare le economie di scala: meno sindaci, meno costi.