Yuliia, Valentyna e Yevhenii
di Francesca Marsili
«I Mig volavano sopra le nostre teste, le bombe esplodevano. I miei ragazzi entrambi sordomuti erano spaventati a morte. In dieci minuti ho fatto la valigia e siamo scappati». Valentyna, 51 anni, suo figlio Yevhenii di 32 e Yuliia, la fidanzata, di 31, la gatta Katijia e il cane Margot, hanno viaggiato per venti ore in treno da Odessa sino a Uzhorod, la capitale della Transacarpazia, a ridosso del confine slovacco. Poi altri venti chilometri a piedi fino a Višnè Nemecke, in territorio slovacco. Soli, stremati, impauriti, senza una meta. Mamma Valentyna pensava solo a salvare i due giovani, fragilissimi nella loro disabilità. Poi l’incontro, emozionate e provvidenziale con Leonardo Profili e Ives Van Couwenberghe arrivati fin lì da Matelica a bordo di un furgone per consegnare aiuti umanitari e il desiderio di portare in salvo qualcuno dei profughi. I loro sguardi si sono incrociati su quella linea di confine. «Ci hanno chiesto se volevamo venire in Italia. Ho risposto di si, ci siamo abbracciati, siamo saliti sul furgone e siamo scoppiati a piangere», racconta Valentyna a cui è bastato un battito di cuore per decidere di affidare la sua vita, ma soprattutto quella dei due ragazzi che non parlano e percepiscono solo vibrazioni, nelle mani di Leonardo e Ives. «E’ stata una scintilla, una sensazione a pelle che mi ha detto che loro erano la nostra salvezza».
Il B&B dove sono ospitati
Cosi, da sabato mattina i tre ucraini vivono a Matelica, nel B&B gestito da Ives e sua moglie Heidi, entrambi di origine belga. Accolti come in una nuova grande famiglia. Valentyna è minuta, ha gli occhi scuri e vivi, dai modi aggraziati. Nel suo Paese era una parrucchiera e da quando è arrivata a Matelica non fa altro che cercare di rendersi utile; si sente in debito di tanta generosità dimostrata nei loro confronti. Yevhenii, dal sorriso sincero, era un fotografo di eventi e lavorava per un giornale nazionale. Yuliia, viso angelico, lunghi capelli e occhi castani, lavorava saltuariamente negli alberghi come inserviente. I due, che stanno insieme da otto anni, comunicano con il linguaggio dei segni. Ma la lingua universale dell’amore rende tutto chiarissimo a chi ora li sta aiutando. Ives li sente come figli. Cosa la famiglia ucraina ha vissuto nelle ultime settimane, da quando la loro vita è stata totalmente stravolta lo racconta Valentyna che ha sempre preso ogni decisione con l’istinto protettivo che solo una madre può avere. «Un mese fa, quando sapevamo che la guerra sarebbe scoppiata perché Putin aveva annunciato l’invasione, abbiamo venduto la nostra casa di Cherson per andare a vivere tutti e tre a Odessa, che speravamo fosse più sicura – spiega mentre al ricordo il suo viso si incupisce – poi il primo marzo sono iniziate le esplosioni. Yuliia tremava di paura. Ho deciso all’istante di partire, ho preso i documenti, quello che entrava in una sola valigia e via. Ma se non fosse stato per loro sarei rimasta ad aiutare il mio popolo».
Poi il lunghissimo viaggio fino al confine slovacco, a Uzhorod. «Siamo riusciti a salire grazie un amico che ci ha trovato posto; l’attesa per prendere un treno è di giorni. Nei vagoni, i bambini piccoli erano addirittura stipati nelle reticelle portabagagli». Da lì i tre ucraini si sono diretti verso la frontiera slovacca mescolandosi alla marea umana di profughi. Lì, le autorità dopo aver controllato i documenti hanno chiesto loro se avessero un posto dove andare. «No» ha risposto Valentyna, ignara del fatto che qualche metro oltre il confine, a Višne Nemecke, il destino gli avrebbe fatto incontrare Leonardo e Yves: era il 4 marzo. Per loro un improvviso raggio di sole dopo quattro giorni di viaggio e disperazione. Poi, come in un sogno un giorno di viaggio verso sud: l’Italia, le Marche, Matelica. Via dall’inferno della guerra. «Mia madre ha settantadue anni, è rimasta in Ucraina, a Morovani Kurylivtsi, un paesino in campagna ad un giorno di viaggio da Odessa che ad oggi non è stato ancora conquistato dai russi. Non ho avuto il tempo di andare a prenderla per portarla via con me», spiega la donna che dice di riuscire ancora a sentirla telefonicamente.
Profughi al confine
In un attimo il viso di Yuliia, seduta accanto alla suocera, si rattrista, lo sguardo si perde nel vuoto, il sorriso appena ritrovato scompare perché la sua mente torna in Ucraina, ai suoi genitori rimasti là. Sua madre è rimasta a Vulytsya Kozats’ka, suo padre a Nadezhdivka, e non riesce a non pensare cosa sarà di loro. Yevhenii sorride, vorrebbe rimanere in Italia e non vede l’ora di riprendere in mano la macchina fotografica, Valentyna pensa che qui, i due ragazzi, possano avere maggiori possibilità. Leonardo Profili si è già attivato con uno specialista che si prenderà cura della loro sordità. La ragazza, che ha ha un deficit di udito tardivo, con un nuovo apparecchio acustico, potrà su una scala di sette frequenze, sentirne quattro. Lui, più grave, sordo dalla nascita, con un piccolo intervento e un nuovo apparecchio, riuscirà a sentirne due su sette. Ives Van Couwenberghe, al quale brillano gli occhi perché sente che la sua famiglia arricchita di tre, anzi cinque, nuovi affetti, si è mosso per renderli più autonomi e integrati nella società. Ora, la priorità, è far recuperare alla famiglia, che non smette di ringraziare per l’affetto e l’aiuto ricevuto, un po’ di serenità. Per parlare del futuro della loro vita, è ancora troppo presto.
Da sinistra, in alto: Kristina Arteconi, traduttrice. Heidi Bosmans. Yuliia Kharchenko, Valentyna Revenko, Leonardo Profili, Yevhenii Revenko, Ives Couwenberghe
La gatta Katijia e la cagnetta Margot in treno
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Bravissimi
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