Il presidente della comunità afghana:
«A Macerata in fuga dai talebani,
li conosciamo e temiamo rappresaglie»

MACERATA - Ali Riza vive in città così come altri 180 suoi connazionali da diversi anni. In una lettera inviata a Cronache Maceratesi parla della situazione del suo Paese: «Eravamo fuggiti dalla guerra e dal regime degli anni passati. Qui abbiamo ricostruito la nostra vita, abbiamo iniziato a lavorare, messo su famiglia»
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Ali Riza, presidente Acpam (associazione Culturale Profughi Afghani Macerata)

 

Afghanistan, la lettera di Ali Riza, presidente della Comunità afghana di Macerata, composta da circa 180 persone, molti dei quali qui risiedono da oltre dieci anni. Si dice «affranto per il disastro che si sta consumando nel nostro martoriato Paese per l’ennesima volta, sento la necessità di raggiungere con questa mia lettera i miei concittadini: sia quelli afghani che, come me, da qui assistono impotenti al dramma che coinvolge molti dei nostri familiari, vittime innocenti di tante, troppe ingiustizie; e sia i nostri concittadini italiani. Purtroppo noi conosciamo il regime talebano; e nonostante i proclami di moderazione, temiamo convintamente che ci saranno rappresaglie contro chi ha lavorato e collaborato con l’occidente, chi aveva creduto nella rinascita libera e graduale del nostro Paese. Temiamo inoltre in particolare per la condizione delle donne, a cominciare dalle ragazzine, costrette a sposarsi in tenera età e a vivere in regime di schiavitù. E temiamo infine anche per l’arte, la cultura e ogni altra libertà, già in passato cancellate dal loro controllo sulla nostra gente. Mi rivolgo dunque ai miei concittadini afghani, ma anche ai nostri concittadini italiani e specialmente maceratesi, presso i quali abbiamo ricostruito la nostra vita, provenendo a nostra volta dalla guerra e dal regime talebano degli anni passati; qui a Macerata abbiamo iniziato a lavorare, messo su famiglia, fatto nascere i nostri bambini. Vorrei ringraziare la comunità locale che ci ha accolti così bene e presso la quale i nostri figli, come noi peraltro, si sentono – e ci sentiamo noi – realmente italiani. Nel cuore già lo siamo. Ci manca il riconoscimento della cittadinanza; e se già i profughi allora non potevano tornare in patria per ottenere il certificato di nascita e penale originale, figuriamoci nell’attuale contesto! Infatti, gli unici documenti mancanti al completamento di quanto richiesto, dopo oltre dieci anni di stabile residenza, non vengono riconosciuti se prodotti dalla nostra ambasciata a Roma. Ci si chiede di produrli nel nostro Paese! Questo ci sembra una beffa, quasi tutti infatti siamo arrivati fuggendo dalla guerra; di fronte a questa perentoria richiesta, non bastano la retta condotta, il pagamento puntuale delle tasse, l’integrazione compiuta della nostra gente, il rispetto delle leggi e infine il desiderio autentico di poterci dire italiani. L’Italia ci soccorra almeno in questa legittima aspirazione, visto che qui molti di noi hanno comprato la casa con tanti risparmi e fatiche; permettetelo ai nostri bambini che vanno a scuola e parlano italiano come loro prima lingua; Dio protegga il popolo afghano e rinsaldi sempre più l’amicizia tra afghani e italiani».

 

 

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